Egregio direttore, le scrivo il mio risentimento

Quando il silenzio è come un frastuono

The Catcher
The Catcher
9 min readNov 9, 2017

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In pezzi (di Todd Mclellan, via)

di Sara Benedetti, docente e coordinatrice del College Cinema

Egregio direttore commerciale di BetaAlfacom,

questa mia vuole essere al contempo un reclamo e una richiesta di rimborso. Mi trovo infatti nella spiacevole situazione che vado a illustrarLe:
nel settembre dell’anno scorso sottoscrivevo un abbonamento per la smart card che, secondo una campagna pubblicitaria ingannevole, a opera della vostra Azienda, avrei potuto utilizzare sul mio decoder. Dall’ottobre seguente pago regolarmente un canone per il servizio televisivo incrementato dall’abbonamento alla smart card, la cui fruizione però di fatto risulta incompatibile con il modello di decoder in mio possesso.
Ho provato diverse volte in questi mesi a far presente l’increscioso accaduto agli operatori del Vostro call center, (con la maggior parte dei quali non condivido la madrelingua), senza ricevere l’attenzione e le spiegazioni che io, come qualsiasi Vostro cliente, ritengo di meritare e dover esigere.
Mi trovo pertanto a scrivere alla Sua persona per sottoporLe quanto sopra riportato e non vorrei abusare del Suo tempo ma mi pare importante risalire a un altro avvenimento, simile a quello occorrente, del quale il disguido causato dalla vostra strategia commerciale aggressiva e irresponsabile mi ha risvegliato il ricordo.

Se telefonando (di Hollis Brown Thornton, via).

Nel 1995 ricoprivo il ruolo di agente commerciale per una ditta di telefonia fissa che allora gestiva il traffico telefonico del centro Italia, quando fui convocato dal Responsabile della mia area che mi impose di prendere una scelta entro una settimana: trasferimento in Germania o prepensionamento con un piano di uscita che sicuramente mi avrebbe permesso di garantire alla mia famiglia e a me stesso il tenore di vita a cui eravamo abituati. Tutto questo sembrò un colloquio informale, quasi amichevole. Aver prestato servizio venticinque anni per quell’azienda italiana, che ora un colosso tedesco acquisiva in poco meno di sei mesi sconvolgendo vite e organigrammi, sembrava una garanzia contro i rovesci della fortuna non solo mentre ne eri dipendente, nell’età attiva quindi, ma anche in seguito.
Il fatto è che io la Germania non l’avevo presa in considerazione neanche nell’immediato di quel colloquio che aveva la parvenza di una chiacchierata tra intimi. Non avrei portato mia moglie così lontano.
Perché, vede, mia moglie ha un buco e so che Lei è un uomo di una certa statura che non cede alla bassezza di taluni doppisensi e a cui certe cose si possono confidare.

Mia moglie ha un buco nero dentro di lei che divora tutto quello che in tanti anni ho provato a produrre, inventare e regalarle per colmarlo.

Una coppia felice? (di Hollis Brown Thornton, via).

Non le nascondo che l’inquietudine e il buio che tento di descriverLe si lasciavano intravedere ogni tanto in mia moglie quando era una ragazza e neanche ancora la mia fidanzata, e forse erano parte del fascino che ha sempre esercitato su di me. Da allora, dal fidanzamento, e ancora di più con il matrimonio, io ho trascorso la mia vita a tentare di colmare qualcosa che a un tratto mi accorsi stava risucchiando anche me, il che mi portò a cercare appigli nel mondo esterno, fenomeno a cui l’acquisto della smart card in oggetto non è estraneo. Le dicevo quindi che la Germania non era neanche un’opzione per me, tanto che la scartai subito e già un paio di giorni dopo ero nell’ufficio del Responsabile a comunicare il frutto delle mie riflessioni: accettavo il prepensionamento. L’entusiasmo del Responsabile — si sarebbe detto quasi un tirare il fiato — il sorriso mentre mi stringeva la mano, complimentandosi per la scelta che secondo lui era ben fatta, nascondeva altro. Esattamente come i colori brillanti e le belle ragazze seminude degli spot della Vostra Azienda.
Il contratto che firmai non conservava nessuna traccia dei dettagli esposti nell’amichevole conversare all’origine di tutto. Era un piano d’uscita sì, ma per un livello inferiore a quello che io avevo raggiunto e al quale ero stato retrocesso due settimane prima della firma dell’accordo. Me ne andavo a casa troppo giovane, con una scatola piena di matite a mina, scotch e tutta la cancelleria che ero riuscito a sottrarre, e una pensione notevolmente più bassa di quella che mi spettava.

Identità (di Hollis Brown Thornton, via).

Nell’ufficio dove ero stato seduto per venticinque anni non c’era più il mio posto e a casa, dove ero stato obiettivamente poco per venticinque anni, un posto mio non c’era mai stato. Fu un sentimento di umiliazione a impadronirsi di me e ancor più una sensazione di essere stato tradito, vilipeso, schiacciato nella volontà da qualcuno che non avrei mai visto negli occhi e che non mi avrebbe mai risposto al telefono. Il mio corpo fu attraversato da una percezione risalente ai miei primi allenamenti di boxe, quando ero solo un ragazzo, in un passato talmente lontano da non sembrare neanche il mio: quella di non trovare il sacco, dopo aver caricato il destro, e fendere l’aria con un colpo a perdere. L’allenatore riteneva che, così facendo e cioè sottraendomi il sacco proprio all’ultimo, il colpo successivo sarebbe stato più forte.
Quella palestra non c’era più, era stata rilevata per farne prima una toilette per cani e poi una sala scommesse.
Io ero un uomo alla finestra che guardava fuori. E qui mi trovo nuovamente a dover risalire la catena delle cause e degli effetti e a esporle l’altro ricordo che la lunga attesa a cui mi ha costretto sovente il Vostro call center, ha riportato alla luce.

Ritratto di famiglia (di Hollis Brown Thornton, via).

Era l’inizio degli anni ’80. In una grande città del Nord, il cui toponimo nella mia famiglia risulta ora impronunciabile perché sinonimo di ogni fallimento, c’era una clinica che pubblicizzava, senza lesinare in investimenti su cartelloni riviste e tv, un intervento miracoloso per risolvere definitivamente l’artrite reumatoide di cui mia moglie soffriva. L’artrite la affliggeva quotidianamente, contestualmente al buco nero di cui sopra. Mia moglie si stava spegnendo, non nell’accezione in cui abitualmente si usa questo eufemismo, non stava davvero morendo ma si lasciava andare a un lento defluire di qualsiasi slancio vitale dalla sua persona, sorte che, ne converrà anche Lei, è temibile, più del decesso stesso. Non mi riusciva di vederla così, dovevo fare qualcosa. L’interesse destato dall’assoluta novità, egregiamente promossa, fece sì che io passassi tutte le mie pause pranzo al telefono dell’ufficio confidando nella buona sorte di trovare libero il numero del centralino della Clinica, al fine di chiedere ulteriori informazioni e un appuntamento. Questo accadde di giovedì, quando già i tentativi di tre giorni lavorativi, per non citare quelli delle settimane precedenti, fiaccavano perfino la mia volontà e scalfivano la certezza che la strada fosse giusta e giusta la determinazione di percorrerla.

Attenda in linea

Quel giovedì ebbi fortuna, la centralinista rispose al telefono e velocemente alle domande che mi ero diligentemente appuntato con la mia matita a mine su un foglio che tenevo sempre sulla scrivania.
Presi appuntamento per una visita con il luminare da cui mi recai con mia moglie qualche mese dopo. E di lì in poi, tutto precipitò. Alla visita ne seguirono altre, dalle quali il quadro clinico risultò compatibile con la metodica rivoluzionaria, e quindi l’intervento. Mia moglie uscì dalla sala operatoria e, settimane dopo, dalla Clinica in condizioni di grande prostrazione fisica e mentale ma la speranza di vederla migliorare nel tempo non mi abbandonava.
Perché avevo lottato così tanto altrimenti? Dopo nove mesi, quando i miglioramenti avrebbero già dovuto manifestarsi e stabilizzarsi — come recitava la brochure informativa — mia moglie non solo continuava a soffrire del problema a cui avevamo cercato una soluzione, ma aveva perduto totalmente l’olfatto e la sensibilità delle mani, senza mai recuperare né l’uno né l’altra. Situazione che perdura tuttora.

Cancellata (di Hollis Brown Thornton, via).

Di questo ritengo che mia moglie sporga reclamo tutti i giorni quando mi guarda in quel modo, di traverso, tradendo un’insofferenza che la sua educazione cattolica e la sua eleganza le impediscono di esternare altrimenti. Eppure io me ne accorgo, mi accorgo di essere molesto perfino nei gesti più semplici che non so immaginare di poter fare in altro modo per arrecare meno disturbo: girare lo zucchero nel caffè, cedere alla sonnolenza seduto sulla poltrona nel tepore della domenica pomeriggio, tardare nei preparativi perché alla mia età è faticoso persino infilarsi i calzini (sembra che i piedi non ne vogliano più sapere e sognino di tornare a camminare nudi, in casa e al parco, come i bambini ai loro primi passi).
In tutte le mie giornate mi trovo a interrogarmi, imputato e pubblico ministero al contempo, spinto dallo sguardo di mia moglie sulla sedia di un tribunale di cui nessuno può sospettare l’esistenza. Di fare e di non fare, sembra che si sia sempre colpevoli di qualcosa. Mia cognata per esempio accusa spesso suo marito di non averla mai portata in vacanza e di non aiutarla con la spesa. Io invece ho sbagliato per il troppo fare.

Eppure non c’è modo di uscirne, la stasi mi risulta insopportabile ed è, alla fine, alla radice della mia più grande sofferenza nel vivere l’età della pensione, ora che l’ho effettivamente raggiunta.

Mia moglie è spesso sdraiata nel letto per i motivi che le esponevo, la casa è vuota e silenziosa a tal punto che il silenzio diventa frastuono. Le confesso di aver pensato che avrei potuto perfino voler bene a quell’operatore del Vostro call center. Se solo fosse riuscito a risolvere il mio problema e farmi avere un rimborso, stavo pensando di fargli recapitare una bottiglia di vino. Era una bella voce la sua, voce di ragazzo. Somigliava a quella che fino a qualche anno fa mi accadeva di sentire qui dentro.

Figli, o il loro ricordo (di Hollis Brown Thornton, via).

Perché, vede, avevo due figli: un maschio e una femmina. Erano belli. La ragazza lo era di più, somigliava a sua madre da giovane in un modo che mi lasciava annichilito, se capisce cosa voglio dire. Era come un miraggio, come coltivare ogni giorno l’idea che tutto avrebbe potuto ricominciare. A volte mi sbagliavo perfino a chiamarla, confondevo i nomi e mia figlia ne era disturbata. Se uso il passato rispetto ai miei figli e a un senso di possesso nei loro confronti è perché se ne sono andati e non ne ho più notizie. Credo, semplicemente, di averli spaventati.

Mia moglie con il suo buco da una parte, io con il mio sconsiderato sporgermi verso l’esterno, come da una ringhiera, per chiedere aiuto, siamo sembrati ai loro occhi la peggior minaccia a un’esistenza che speravano (come tutti) serena. Minaccia di fronte alla quale si dava solo una via: la fuga.

Ma temo di stare dilungandomi. Eccomi quindi a rinnovare la richiesta con cui aprivo questa mia lettera: poiché ritengo che sia tardi per tutto, per scegliere la Germania o licenziarmi prima che lo facciano loro, per impedire che mia moglie entri in quella sala operatoria e per riportare indietro i miei figli, tranne che per il rimborso della sottoscrizione al servizio di smart card, Le scrivo perché mi sia restituita l’intera quota finora versata per l’abbonamento di cui non ho mai usufruito e di cui allego ricevuta dei bonifici eseguiti tramite domiciliazione bancaria. In calce, trova i miei contatti e il mio iban per la risposta che mi auguro non tarderà ad arrivare.

Distinti saluti,
Aurelio Marchetti

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