Niente più sinistra dal 2018

Le conseguenze del complicato algoritmo prodotto dall’attuale quadro politico

hamilton santià
The Catcher
6 min readNov 16, 2017

--

Falce e anonimato (via)

Quest’articolo è originariamente apparso sul numero di ottobre 2017 (anno 53, numero 10) della rivista «Linus».

È praticamente impossibile che le prossime elezioni politiche (che saranno tra febbraio e aprile 2018, preparatevi) risolvano in qualche modo la situazione che si è creata nel 2011, quando la fiducia al governo tecnico di Mario Monti non scatenò solo l’irreversibile crisi di valori del centrosinistra, ma iniziò un processo di trasformazione radicale — e per certi versi ontologica — della politica italiana. Una trasformazione ancora in essere, da cui non si vede una convincente via d’uscita. È una Grande Transizione che parte da molto lontano — dalla Seconda Repubblica, almeno, che non è altro che una lunga elaborazione del lutto della Prima — e non si sa ancora dove e quando arriverà. Quello che è certo, però, è che il voto del 2018 che dovrebbe sancire la sostanziale ingovernabilità del Paese porterà questa Transizione al suo stadio conclusivo e resta solo da capire la lunghezza di questo ultimo capitolo.

Un Paese in trikini

Dalle urne uscirà un paese ufficialmente tripartito nel tifo elettorale (non si tratta più di appartenenza ideologica o vicinanza valoriale, bensì di «empatia per contatto»), ma unito da alcuni punti fermi dettati più dall’agenda mediatica che da quella politica: la paura del diverso (l’immigrato, il povero, l’escluso); l’odio tribale verso l’Altro (il meccanismo di omofilia che ci porta ad accasarci con chi sentiamo puzzare come noi); la diffidenza verso l’esperto, il razionale, il meditabondo (la retorica sarà sempre più polarizzata e isterica: parole forti per passioni deboli); il terrore di una crisi permanente della condizione, con il ceto medio impoverito spaventato dall’avere ancora meno e di essere diventato il ceto diseredato (che genera ancora più sudditanza, filiazione e servilismo, in un meccanismo psichiatrico di amore/odio verso il padrone, sia esso privato o pubblico).

Italian Gothic (via)

Dalla polarizzazione alla polverizzazione

La legislatura è all’ultima curva. Voci di palazzo dicono che lo scioglimento delle camere arriverà all’approvazione della legge di bilancio. Senza lo Ius Soli, senza una compiuta riforma degli ammortizzatori sociali, senza aver risolto il dramma della rappresentanza, con una legge elettorale che continuerà a garantire semplicemente una politica della rappresentazione. Una legislatura per certi versi esemplare, che racchiude in cinque anni tutti i vizi e tutte le virtù della nostra vita pubblica. Il vecchio spacciato per un nuovo, ormai privo di qualsiasi elemento generativo; l’eterno conflitto tra padri e figli (vecchia guardia contro Renzi, e Renzi contro tutti) che si traduce nell’ennesimo fratricidio (Renzi che uccide Letta); l’incapacità di far di necessità virtù, con scissioni dell’atomo che partono dalla polarizzazione e portano alla polverizzazione; l’eterno ritorno dell’identico, a mantenimento degli equilibri più alti e imperscrutabili (il governo Gentiloni); la ragion di Stato portata al suo paradosso estremo, con tutta la crudele cattiveria di cui il potere è capace quando si tratta di mantenere l’assetto sociale con la forza, togliendo dal campo visivo il problema scatenante (i migranti e Marco Minniti). La sinistra che diventa destra, ormai, è un non-argomento cui non sappiamo più cosa e come rispondere. La ragion di Stato è un mix tra House of Cards e Games of Thrones.

Le serie tv non hanno inventato nulla, ma hanno semplicemente narrativizzato ciò che viviamo ogni giorno, là dove non riusciamo bene a interpretare perché le cose della politica accadono nel modo in cui accadono.

Legge, ordine e un pizzico d’isteria

Nel tempo dell’incertezza, con la sfiducia nella politica ai massimi storici, nel mezzo di questa Grande Transizione dove i partiti parlano tutti la stessa lingua nella speranza sia di mantenere l’elettorato storico, sia di rubare quello degli altri, un meme non ci salverà. Il Partito Democratico abdica al suo ruolo di sintesi dei progressismi per abbracciare un’idea oscura di autoproclamata sinistra law & order che vede in quella ragion di Stato la sua missione ultima e assoluta (ed è in questo il suo essere erede della Democrazia Cristiana, non nel programma politico ma nel fine); il MoVimento 5 Stelle si prepara a diventare la casa di tutti gli isterismi, rinunciando a ogni afflato per la novità e pescando a piene mani in quella età del risentimento ben tratteggiata dai critici letterari e culturali, caratterizzata da invidia, disperazione, disagio e tensione tra titanismo sociale e nanismo personale; la Lega Nord, che può permettersi di trasformare il rancore generando odio, tratteggia la sua Internazionale sovranista dai palchi di Bruxelles e Strasburgo, diventando «mandante politica» di una rivolta forcaiola che non vuole la rivoluzione, ma resta comoda nel suo alveo minoritario, additando il nemico e togliendosi di torno quando si tratta di giocare per davvero; la galassia atomistica di una sinistra in cerca d’autore e in cerca di attore, che sa benissimo cosa non vuole (Renzi) ma non sa bene cosa vuole, e che rischia di portare agli estremi il suo storico problema d’incertezza identitaria, con il pericolo che uno sbarramento elettorale possa minare, una volta per tutte, la sua stessa sopravvivenza. Probabilmente, nel 2018, l’Italia non avrà una sinistra. E poi, beh, c’è Angelino Alfano, che troverà un modo per sopravvivere ed essere forse la realizzazione più alta di questo periodo storico, di chi riesce sempre a saltare sulla nave: l’eroe della sopravvivenza a tutti i costi, n’importe quoi.

Politica italiana, it’s in the game (via)

The king

In mezzo a tutto questo lui, Silvio Berlusconi, l’Eterno per definizione. L’uomo che vede ora, 23 anni dopo, la piena realizzazione di un gioco politico dove è stato lui a dettare le regole: per paradosso, nato come rivoluzionario antipolitico, adesso è il più politico di tutti. Politico nel suo sapere ancora intercettare (quando non inventare) le istanze profonde del Paese; politico nel suo riuscire a essere popolare e pop al tempo stesso; politico nella sua capacità di attirare l’attenzione del dibattito con colpi di teatro e macchiette che distolgono l’attenzione e rischiano di mettere la polvere sotto il tappeto.

Un agnellino (e non un Angelino)

È la Berluscuteness, crasi del cognome «Berlusconi» con l’aggettivo inglese «cute», vezzeggiativo che sta per «tenero», «carino». Insomma, è Silvio Berlusconi che posa con gli agnellini, il cagnolino Dudù e le noci di prosciutto al pepe dell’Autogrill. Il volto nuovo dell’Eterno al tempo della memification della politica. Dall’Homo Videns all’Homo Memer.

Non nuovo, ma diverso

Qualcuno dica qualcosa di sinistra, sant’iddio! Qualcuno pensi qualcosa di sinistra che non sia solo contrapposizione o stanca riproposizione di ricette del secolo scorso. È il tempo di idee nuove, è il momento di ragionare sul futuro, dando scacco a questo «presente permanente» che può tradursi nella peggiore delle campagne elettorali, fatta di inseguimenti e parole d’ordine identiche a ogni latitudine. Una campagna elettorale vuota, senza passione, senza popolo. I giorni del referendum costituzionale ci sembreranno bellissimi, a confronto. Il governo che inaugurerà la XVIII legislatura sarà forse di nuovo transpolitico, di «larghe intese», a mantenimento degli equilibri e votato alla ragion di Stato. Quello che è certo è che il giorno dopo bisognerà cominciare a pensare non tanto a qualcosa di nuovo, ma a qualcosa di diverso.

--

--