Street art, una storia di formazione

Ovvero fare i conti con l’età adulta

Francesco Giugiaro
The Catcher
11 min readNov 8, 2017

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Multistrato (l’autore è Pichi Avo; via)

Since I was born I started to decay
Placebo, Teenage Angst

Quando si parla di un movimento artistico ci si confronta più o meno sempre con gli stessi elementi.
Un gruppo di giovani, giudicati come dei presuntuosi sovversivi dal mondo che li circonda, si dedica a una nuova forma espressiva che piano piano si guadagna il rispetto dei grandi, entra nelle gallerie e nei musei e diventa mercato.
La street art (e con questa definizione metto insieme graffiti art, stencil art e mural art, non me ne vogliano i puristi ) sta seguendo più o meno lo stesso percorso.

Ci sono due elementi che la rendono speciale e che sono poi due delle sue peculiarità principali: l’illegalità e la decadenza.

È fondamentale, però, per capire cos’è diventata la street art oggi, che si parta dall’inizio, da quando era appena uscita dalla pancia della mamma.

Piccoli artisti crescono (l’autore è Adres; via)

Infanzia

A wall is a very big weapon. It’s one of the nastiest things you can hit someone with.
Banksy

Cercare di trovare un’origine a una forma espressiva artistica è impresa difficile e spesso incompleta. Come si fa a stabilire chi sia stato il primo ad aver avuto l’istinto di dipingere un muro a scopo artistico?

La storia è il luogo della semplificazione, per questo si può risalire ad alcuni precursori che furono i primi artisti a dedicarsi a questa forma di disegno a cielo aperto, che usava i muri delle città al posto delle tele e che ancora non aveva un nome.

Scommettiamo che…(via)

La macchina del tempo ci porta indietro fino all’Impero Austro-Ungarico, nella decade tra il 1820 e il 1830. Un tale di nome Joseph Kyselak cominciò a taggare il suo nome sui muri, si dice per scommessa.
Dopo aver vinto la scommessa Kyselak non si fermò e i suoi
I Kyselak” si trovano ancora oggi, protetti e conservati dalla soprintendenza, un po’ dappertutto nell’ex impero.

A quanto pare imbrattò anche il palazzo imperiale dopo aver promesso all’imperatore stesso che avrebbe smesso seduta stante.

Irriverente e provocatorio, Kyselak è il padre della tag secondo la storia della street art e come tutti i graffitari del mondo non ha fatto altro che scrivere il suo nome per affermare la sua presenza e il suo passaggio.

Niente di meno di un primordiale selfie che manifesta il desiderio di Kyselak di dire ad altri esseri umani: io c’ero.
Dopo di lui occorre fare un balzo in avanti di un secolo e teletrasportarsi a Sidney, dove Arthur Malcom Stace, alias Mr. Eternity, passava le sue giornate a scrivere la parola Eternity in giro per la città.
Lo ha fatto per 35 anni, mattina più, mattina meno, scrivendo per mezzo di milione di volte questa parola, dove gli capitava, a scopo religioso.
Dopo il bisogno di affermazione tutto personale di Kyselak, Mr. Eternity fa emergere un’altra caratteristica peculiare dell’arte impressa in un luogo pubblico: veicolare un messaggio.

Shadow man (Richard Hambleton; via)

A questi precursori ne seguiranno altri: Gerard Zlotykamien che disegnava negli anni ’40 fantasmi sui muri di Parigi distrutta dalla guerra; Richard Hambleton autore di Mass Murder, una serie di 620 silhouettes di se stesso fatte di gesso che, a partire dal 1976, riproducevano sui muri in giro per gli Stati Uniti l’artista morto; il Chicano Mural Movement, un gruppo di artisti di origine messicana che dipingeva negli States grossi murales con messaggi politici affinché arrivassero più diretti a tutta la comunità chicana del Paese.

Fantasmi tra le macerie, l’artista raffigurato morto, grandi disegni con slogan politici. Torniamo sempre agli stessi due concetti: identità e appartenenza, bisogno di affermarsi e bisogno di affermare qualcosa.

La street art al suo stato infantile si può semplificare così.
Poi sono arrivati gli anni ’80 e Keith Haring: i bambini sono improvvisamente diventati grandi.

Piccoli artisti sono cresciuti (l’autore è Keith Haring, via)

Adolescenza

The Art we look at is made by only a select few. A small group create, promote, purchase, exhibit and decide the success of Art. Only a few hundred people in the world have any real say. When you go to an Art gallery you are simply a tourist looking at the trophy cabinet of a few millionaires.
Banksy

Per l’arte l’età dell’innocenza si conclude quando le creazioni finiscono in un museo.
Keith Haring e Jean-Michel Basquiat sono diventati i portavoce di un movimento che andava ben al di là di loro, ma che grazie a loro è diventato global. I graffiti di questi due artisti, che varcheranno poi le porte delle gallerie e dei musei di tutto il mondo, sono forse le prime vere riconosciute rappresentazioni di quella che verrà definita street art.
Ma dietro di loro c’erano centinaia di ragazzini newyorkesi che taggavano i loro nomi sui treni della metropolitana ed erano forse la vera anima del movimento.

Alcuni di loro hanno trovato spazio nelle gallerie, altri sono rimasti anonimi e oggi non è possibile vedere le loro opere se non andandole a cercare in giro, o sfogliando le foto dei loro pezzi sui treni della metropolitana.

L’amministrazione pubblica fece una vera e propria battaglia contro le azioni di questi writers: i treni venivano periodicamente lavati e le opere cancellate, i depositi recintati da filo spinato. Tutto questo, unito alla carcerazione, non fermò il bisogno di questi artisti che continuarono imperterriti a imbrattare i treni con le loro tag e a vandalizzare le stazioni della metro.

Il duro mestiere del writer

Nel film Style Wars del 1983 vediamo alcuni di loro in azione, mentre sfidano le leggi e parlano della loro arte dicendo che è fatta unicamente per se stessi e non per farsi conoscere.

Un altro tema ricorrente quando si parla di street artists è il restare nell’ombra.

Seen, Min One, Dez, sono alcuni di questi artisti fuorilegge di cui si ha memoria ancora oggi. Il loro bisogno di uscire dall’anonimato vince su tutto ed è questo il vero motore della street art di quel periodo. Come per Kyselak, il bisogno dei giovani newyorkesi di quella stagione è quello di dire a una società che non li considera: ci sono anche io e ti sfido, sfido le tue leggi.
Ai galleristi poco importa delle vere ragioni per cui gli street artists sentivano il bisogno di esprimersi. Così, per esporli, si appropriano fisicamente dei graffiti strappandoli letteralmente dal loro luogo di origine e di creazione. Vediamo per la prima volta frammenti di stazioni della metropolitana esposte nelle gallerie di Manhattan, immagini grottesche di opere deportate completamente e fisicamente fuori contesto. Già in Style Wars è chiarissimo come finirà.

La street art decontestualizzata perde la sua luce?

Ci torneremo.

Banksy omaggia Basquiat (via)

Età adulta

Che cos’è, propriamente, l’aura? Un singolare intreccio di spazio e di tempo: l’apparizione unica di una lontananza, per quanto questa possa essere vicina. Seguire placidamente, in un pomeriggio d’estate, una catena di monti all’orizzonte oppure un ramo che getta la sua ombra su colui che si riposa — ciò significa respirare l’aura di quelle montagne, di quel ramo.
Walter Benjamin

E veniamo a noi.
Forse oggi non c’è più quel moto spontaneo e genuino di quando il movimento esplose a New York, ma ci sono comunque delle sacche di resistenza.
Ci sono Banksy e Blu, e ci sono anche i Berlin Kidz e i Pixadores brasiliani.

Bimbi berlinesi

I Berlin Kidz sono un gruppo di artisti e agitatori di strada berlinesi che prendono spunto direttamente dai newyorkesi degli anni ’80. Le loro azioni si dividono tra i muri dei palazzi e le stazioni della metropolitana berlinese.
Li vediamo nel loro documentario mentre si calano dai tetti per realizzare le loro tag o mentre si dimenano in azioni illegali nelle stazioni della metropolitana salendo sui treni in corsa e passeggiandoci sopra come negli action movies americani.
A New York c’erano il rap e la breakdance.
A Berlino ci sono l’elettronica e il parkour.
Emblematica la tag di uno dei membri del gruppo, Life, che ci riporta a ciò che abbiamo già detto.
I Pixadores vanno ancora oltre arrampicandosi sui palazzi senza alcuna forma di sicurezza per poter disegnare i loro pezzi più in alto. Lo stile grafico di questi writers, originari di São Paulo, è del tutto particolare con le lettere allungate e la grafia pressoché illeggibile.

Facciata pixadoresizzata a São Paulo (via)

I Berlin Kidz hanno preso ispirazione per il loro stile di scrittura dai cugini brasiliani, perseguitati severamente dalla polizia per le loro azioni.
Oggi a fianco di questi movimenti ci sono personaggi del mondo della street art che il mainstream considera Artisti, con la maiuscola.

Inutile parlare troppo della biografia di Banksy, colui che ha reso popolare ai giorni nostri la stencil art e che mantiene sempre più difficilmente segreta la sua identità. L’artista originario di Bristol è forse la figura più emblematica per spiegare a che punto è arrivata la street art. Le sue opere sono esposte nei musei, in mostre che vengono realizzate senza il suo consenso, e non ce ne sarebbe neanche bisogno perché i pezzi provengono tutti da collezioni private.

La street art è viva (e lotta insieme a noi)

Un suo pezzo, comparso a Londra, realizzato vicino all’ambasciata francese per denunciare l’uso dei gas della polizia francese contro gli immigrati a Calais, è stato oscurato e asportato non per censurarlo, ma per preservarlo.
I proprietari del palazzo hanno pensato semplicemente di poter lucrare su questo prezioso graffito: ecco come si formano le collezioni private dei pezzi di Banksy. Nel suo film, Exit through the gift shop, lo stesso artista ironizza sulla riproducibilità tecnica della street art contemporanea.

Thierry Guetta, alias Mr. Brainwash, diventato street artist per caso, è il simbolo della decadenza del movimento. Per sua stessa ammissione, è dedito più a photoshoppare e scannerizzare che a creare.

Le sue opere non sono altro che un prodotto di quello che il mercato vuole dalla street art. Immagini facili che ammiccano alla pop art, riproducibili su magliette e tazze, fatte potenzialmente da chiunque, senz’anima se non quella della commerciabilità.

Banksy, vittima suo malgrado di questo fenomeno che svuota e spersonalizza il lavoro degli artisti, beffeggia Guetta, senza che lui neanche se ne accorga. Tanto Mr. Brainwash, nel frattempo, è diventato miliardario, pur essendo la caricatura contemporanea di uno street artist delle origini.

Chi a questo gioco sembra non starci è l’artista italiano Blu. Non che Banksy sia d’accordo, intendiamoci: l’artista inglese, semplicemente, non fa nulla di eclatante per combattere il mercato dell’arte che vuole appropriarsi della sua street art, al contrario di Blu.
Tutti sappiamo dall’enorme polverone scatenato dopo che Blu ha deciso di cancellare a Bologna tutte le sue opere per non renderle parte di una mostra locale sulla street art che si chiamava proprio Banksy & co.

Meno note sono alcune vicende legate ad altri suoi pezzi.
Prima della cancellazione volontaria di tutti i suoi murales bolognesi, Blu aveva eliminato altri due suoi lavori dai muri berlinesi di Kreuzberg per proteggerli dalla speculazione edilizia.

Un altro suo grande lavoro, realizzato nel quartiere romano di San Basilio — con lo scopo di ricordare la morte di Fabrizio Ceruso nel 1974 durante i moti per la lotta per la casa — è stato mutilato.

La Polizia non ha gradito e ha coperto la parte di murales in cui i celerini sono, o meglio erano, animalizzati in pecore e maiali. Blu ha gradito ancora di meno e ha scritto “censurato” sulla parte di murales cancellata.

La cosa curiosa è che, mentre questo pezzo di Blu ha scatenato così tante polemiche, a pochi passi dal suo murales ce ne sono molti altri realizzati da artisti di fama e finanziati dal comune di Roma.
Sorge il dubbio più che legittimo che questi interventi di arte urbana, come altri che si vedono oggi in molte realtà metropolitane, siano solo uno specchietto per le allodole funzionale, oltre che all’abbellimento estetico di alcune aree, anche e soprattutto all’innalzamento del prezzo degli immobili.

Una delle opere di Millo nel quartiere torinese Barriera di Milano (via)

Gli ultimi pezzi di Obey, alias Shepard Fairey, a Berlino sono stati finanziati proprio dai proprietari dell’immobile con questo scopo. Insomma: se non dà fastidio a nessuno, la street art va bene a tutti, anzi è bella da vedere. Ma gli artisti non sono sempre liberi di esprimersi come meglio credono, anche perché poi un pezzo di street art non lo puoi nascondere nello scantinato di un museo.

Da un lato quindi c’è lo sdoganamento del murales come forma d’arte, dall’altro c’è la battaglia di chi rivendica libertà di espressione.

E poi ci siamo noi che, forse, quando fruiamo di un pezzo, a queste problematiche non ci pensiamo. Al di là del discorso della mercificazione del genere, la street art rimane un fenomeno di strada. E in strada il 90% dei pezzi prodotti rimane. Tocca armarci di buona volontà e santa pazienza, fare buone ricerche su internet per scoprire dove si trovano i murales che ci interessano e andare di persona a vederli, con il rischio di non trovarli proprio.

Ci sono pezzi nascosti, pezzi di cui non si trova l’esatta collocazione, pezzi che quando andiamo a cercarli non esistono già più perché la facciata è stata ridipinta o il palazzo demolito, e allora non resta altro da fare che vagare per le città con lo sguardo attento, a caccia di tesori nascosti.

Capita di scoprire pezzi del proprio artista preferito anche vicino casa, e di trovarli senza saperlo. Giurin giuretta: mi è successo davvero.
Quasi tutti gli street artist, oggi, vengono pagati per fare i loro pezzi sulle facciate dei palazzi o nelle fiere dedicate al genere. Ma alla fine nessuno può frenare il loro irresistibile bisogno di disegnare qualcosa anche di piccolo su un muro in cui non sono autorizzati a farlo.

A noi tocca farci stupire quando meno ce lo aspettiamo: giriamo un angolo, sovrappensiero, e ci troviamo davanti un grande disegno nel bel mezzo della città.

Stupore in 3D (opera del portoghese Bordalo II; via)

È forse questa l’aura della street art?
Forse sì, perché i pezzi di street art scompaiono all’improvviso, cancellati dalle amministrazioni locali, dai proprietari dei palazzi o a volte dagli artisti stessi e sono quindi più che transitori. Non dimentichiamoci, tra l’altro, che sono esposti allo smog e agli agenti atmosferici e quindi si deteriorano molto rapidamente.
L’unico modo di tenere una memoria storica di queste opere — se assumiamo che staccarle dai muri per metterle in un museo non sia cosa da fare, perché questo sì che ne cancella l’aura — è fotografarli, diffonderli, farli girare in rete, perché il maggior numero di persone ne conosca l’esatta ubicazione e vada a vederli. Prima che sia troppo tardi.
La street art è arte di tutti, ma quando nasce non nasce per durare.

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