Una notte al Fila

Un racconto di Luca Rinarelli

The Catcher
The Catcher
6 min readDec 28, 2017

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Un sogno lucido, ambientato a Torino. Con gli occhi di un bambino nottambulo, Valentino, scopriamo un luogo caro alla tradizione calcistica del capoluogo piemontese, fino a poco tempo fa un rudere, ma in tempi recentissimi portato a nuova vita. Ci aggiriamo tra gli spalti dello stadio Filadelfia, ma lo indaghiamo da dietro le quinte, di notte, sorprendendo un brulicare di personaggi misteriosi, avvolti da un’umida caligine. Sarà poi la stessa innocente fantasia di Valentino ad accendere lo stadio di mille riflettori e di gloriosi “fantasmi” dello sport.

Questo racconto è apparso sulla rivista «Carie», ed è stato selezionato per Atlante Nazionale da Fabio Soriente.

Zona: Piemonte, Torino

Ogni tanto apriva gli occhi. Giusto quel poco che gli confermasse di esser solo. A parte Ruff. L’orso di peluche lo fissava immobile. Ne poteva intuire solamente un leggero riflesso negli occhi di vetro. Oltre il buio, qualche linea sbiadita ricordava i mobili della cameretta. Strisce più nette partivano dalle fessure della tapparella per proiettarsi sui muri.
Si alzò seduto sul letto. Il cigolio delle molle lo fece trasalire. Trattenne il respiro per un secondo, poi si rese conto del freddo che gli trasmetteva il pavimento sotto le piante dei piedi. Si avvicinò alla finestra e appiccicò gli occhi a una delle strisce luminose che tagliavano il vetro.

La via inzuppata da giorni di pioggia, le auto parcheggiate. Nessuno per strada. Normale, a metà di una notte fredda e di una settimana qualunque di novembre.

Dall’angolo con corso Unione Sovietica spuntò una sagoma pesante, ricurva in avanti. Man mano che si avvicinava, Valentino riusciva a riconoscerne meglio le forme. Le due sporte che pendevano dalle mani, l’impermeabile troppo lungo. Tolse di dosso il pigiama. Sua madre insisteva a non capire che quella lana gli causava un prurito insopportabile. Si vestì ed aprì la porta della stanza. Dal fondo del corridoio poteva percepire il respiro pesante di sua madre. Prese gli scarponcini e raggiunse il portone blindato dell’appartamento. Dopo averlo richiuso senza produrre alcun rumore, indossò le scarpe sul pianerottolo.
Pativa un caldo soffocante e le ascelle colavano liquido tiepido.
Lo sto facendo. Lo sto facendo davvero.
Non accese la luce delle scale. Sai mai che i vicini s’accorgessero della sua fuga. Raggiunse l’androne con il cuore che pompava rapido.
In strada il vento freddo gli permise di respirare. Via Spano era come l’aveva vista dalla sua finestra. I lampioni si moltiplicavano nelle pozzanghere e coloravano di arancione la nebbia che fluttuava sotto i balconi più bassi. Valentino alzò gli occhi verso casa sua. Tutto spento. Continuavano a dormire.
Prese una lunga boccata d’aria e fece i primi passi in direzione di quel che rimaneva della curva del vecchio stadio. Raggiunse il prato spelacchiato. Il troncone di spalti mostrava tratti di tondini arrugginiti che spuntavano dal cemento esausto. L’uomo, che Valentino aveva spiato dal quinto piano per tante notti, chinava in avanti la schiena. Il trench trasandato gli scivolava dalle spalle alle scarpe come gelatina.

Valentino spostò in avanti il piede sinistro e perse l’equilibrio. Ruzzolò a terra. Un fruscio strano e tante piccole macchie scure si dileguarono.

Il tizio raddrizzò la schiena e si voltò di scatto. Lo squadrò, con la testa pelata e le guance gonfie. A terra giacevano i due sacchetti di plastica e qualche vassoio di stagnola, pieno a metà di una massa informe.
Il bambino non riuscì a chiudere la bocca, spalancata come l’ingresso di una galleria autostradale. Schiacciò sul terreno molliccio i palmi delle mani, sperando che il tremore svanisse.

«Mi scusi…»

L’uomo rimase muto. I suoi lineamenti si distesero poco a poco. Sorrise e fece cenno a Valentino di avvicinarsi. Gli scompigliò i capelli per poi dargli di nuovo le spalle. Cominciò a emettere mugolii sommessi verso i cespugli sotto gli spalti mozzati.
Valentino vide apparire tanti punti luminosi. Gialli, verdi. Gli parvero coppie di lucciole ferme, immortalate in una fotografia. Prese tutto il coraggio che potevano dargli i suoi sette anni e si tirò su.

Una pressione morbida sulla sua caviglia sinistra.

Gatti. Non riusciva a capire quanti fossero e non ne distingueva i colori, nell’oscurità. Lo avevano circondato. Non percepiva nulla di minaccioso e lo strano personaggio non smetteva di sorridergli.
Poi un rumore sommesso. Continuo, morbido. I felini sempre più attaccati alle scarpe. Fanno le fusa. Tutti assieme. Il ronzio aumentò d’intensità. Stava sudando e si sentiva soffocare. La testa prese a girargli e Valentino perse l’equilibrio.
Un bagliore potente illuminò a giorno il campo. Due porte scintillavano di vernice bianca. I pali e le traverse reggevano la rete a maglie quadrate. Le linee di calce parevano appena disegnate e l’erba rasata luccicava, sotto i riflettori.
Ma… non c’era niente, prima…
Il vociare della folla. Valentino non avrebbe saputo dire quando fosse iniziato, ma in quel momento lo udiva con chiarezza. Aumentava. Si stropicciò gli occhi. Spalti gremiti di gente festante. Il suono allegro di una tromba.
In quel momento entrarono undici uomini vestiti da calciatori. Le maglie avevano qualcosa di insolito. Una tinta rosso scuro, attillate e ruvide. Gli ricordavano il suo pigiama. Sul petto, a sinistra, delle patacche di stoffa tricolore quasi quadrate. Enormi pantaloncini bianchi e calze nere da montanaro.
Una mano sulla spalla sinistra. Il bambino si voltò di scatto.

L’uomo con l’impermeabile gli stava ancora sorridendo. Gli porse un mazzo di rose rosse, confezionate con un fiocco enorme. Poi gli fece un cenno vago, come per indicargli qualcosa alle spalle.

Allora il piccolo si rivolse di nuovo verso il centro del campo. La squadra era allineata in mezzo al cerchio bianco. Uno dei giocatori si staccò dal gruppo per venirgli incontro. Una risata dolce e malinconica. Portava una fascia stretta al braccio sinistro. Il fisico non era slanciatissimo. Trasmetteva una sensazione di duro, resistente.

L’uomo lo prese in braccio e annusò le rose.
«Sono bellissime, grazie. Come ti chiami?»
«Valentino»
«Ma pensa! Anch’io»
Un breve silenzio.

«Trattali bene, i gatti di questo stadio. Se porti loro da mangiare, succede sempre qualcosa».

ATLANTE NAZIONALE è una collana di racconti con un’ambientazione circoscritta e ben delineata, che si pone l’obiettivo di rappresentare, da nord a sud, l’Italia attuale.

Racconti apparsi negli ultimi anni su alcune delle più interessanti riviste letterarie indipendenti, riscoperti e selezionati dagli allievi del corso “Editoria per esploratori coraggiosi”, impreziositi dai collage di Andrea Falcone e dagli acquerelli di Alice Rebolino. Una collana a cura di Francesco Sparacino, per raccontare l’Italia di questi anni e approfondire il mondo delle riviste letterarie.

Luca Rinarelli è nato nel 1975 a Torino, città in cui vive. Per anni si è occupato di persone senza fissa dimora ed è uno degli autori di Dalla parte degli ultimi (Edizioni Gruppo Abele, 2011). Fa parte del collettivo di scrittori Torinoir ed è autore di tre romanzi: In perfetto orario (Robin, 2009 e a breve ripubblicato da GoWare), La gabbia dei matti (Agenzia X, 2011) e Inverno rosso (Eris, 2014).

«Carie» è una rivista letteraria fondata a Torino, per l’esattezza in un centro dentistico. È fondamentalmente online, ma di ogni numero vengono anche realizzate poche, preziosissime, copie cartacee. Vuole offrire da un lato buone letture ben illustrate, dall’altro uno spazio in cui gli autori possano mettersi in luce.

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