Troppo tardi

Storie dall’Età del Risentimento

The Catcher
The Catcher
8 min readMar 15, 2017

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di Alessia Lingua

Io sento un sacco di ritornelli ripetitivi
e cattivi ripetitivi e ribelli ripetitivi
tu m’ammazzi ma io non strillo io non mi arrendo al figlio di Dio
non gli somiglio capito perché se mi assilli tu ti assillo io
Altrimenti ci arrabbiamo, anzi siamo già arrabbiati

Anzi siamo già arrabbiati, Rancore e Dj Myke

CARLO

Carlo è un’uomo di trent’anni, un bel tipo. Alto, atletico, capelli castani, occhi marroni. Pratica sport da quando è bambino, calcio, ovviamente, e crescendo tennis. Tifa Milan, così come suo padre, suo zio e suo nonno. Non si perde una partita, Carlo, dalla Coppa Italia alla Champions League. A volte va allo stadio, altre invece se la guarda al bar.

Aveva provato anche a giocare, Carlo, ma non era niente di speciale e aveva deciso di abbandonare, che se c’è una cosa che proprio non sopporta è essere mediocre, un perdente qualsiasi.

Quando era bambino, una volta, Carlo andò a pescare con suo nonno al laghetto artificiale poco lontano da casa. Ad un certo punto qualcosa — un pesce — abboccò. Il bimbo tutto orgoglioso urlava felice, il nonno tutto serio lo spinse via, tirò fuori dall’acqua il pesce e, buttato sull’erba, prese a colpirlo forte forte in testa per finirlo. Carlo, terrorizzato, schizzi di qualcosa di viscido in faccia, iniziò a piangere come un disperato. Quella fu l’ultima volta che andò a pescare con il nonno, né lui glielo chiese più. Non dormì per una settimana, e quando ci riuscì sognò gli occhi grandi, vuoti, supplichevoli del pesce. Sognava di ridargli la libertà nel mare — anche se era un pesce d’acqua dolce — di salvarlo dal bastone del nonno. Ma era troppo tardi, ormai, e con il tempo gli incubi passarono, anche se a volte ripensava ancora a quel dannato pesce. Anche quella mattina, senza motivo, gli ritornò in mente mentre puliva l’acquario.

Carlo ha un acquario e cura i suoi pesci in modo maniacale.
Il padre è geometra e lavora in uno studio di associati. Odia profondamente architetti ed ingegneri, che pensano di saperne più di lui, che da trent’anni fa ’sto mestiere, dall’alto della loro laurea del cazzo e, ovviamente, gli interisti, che secondo il padre devono morire tutti quanti. Carlo anche odia gli interisti. Anche il nonno odia gli interisti.

Che gli interisti siano molto odiati nella famiglia di Carlo è più che chiaro.

Quella mattina la sveglia suona prima del solito. Lui la spegne scazzato, la solita sensazione di aver dormito solo mezz’ora. Fanculo. Si alza trascinandosi al lavandino del bagno e si butta acqua fredda sul viso gonfio di sonno. Si guarda allo specchio per un attimo, poi si siede sul cesso a cagare. Mezz’ora dopo è pronto per uscire, profumato, lavato, il caffè in una mano, il giornale nell’altra. Carlo è una di quelle persone che si lavano i denti appena sveglie, poi fanno colazione. Odia la sensazione di marcio che sente in bocca quando apre gli occhi. Lo disgusta, gli fa ribrezzo. Gli piace uscire di casa con il gusto di caffè, invece. Gli da la carica per la giornata, la forza di fare il suo dovere. Carlo vive ancora con i suoi genitori. Qualche mese prima ha provato a cercare una casa per lui e Veronica, ma poi quella puttana l’ha lasciato. Diceva che lui era un pazzo, che non ce la faceva più, la stronza. Però non le aveva mai fatto mancare nulla, la portava in vacanza, le comprava i vestiti, e per quello non si era mai lamentata. Quando aveva scoperto qualche piccola distrazione che Carlo s’era concesso, si era arrabbiata.

Ma non si rendeva conto: lui è l’uomo, ha delle esigenze che quella frigida del cazzo non poteva esaudire.

Per lei si era sorbito una marea di cazzate, tutte quelle stronzate romantiche che le piacevano tanto. Ma sì, sta meglio ora. Può scopare tutte quelle che vuole, Carlo. Si può dire che è felice. Non ha bisogno di nessuno.
Se Carlo fosse un colore, sarebbe il viola, il colore che prende la tua pelle dopo che è stata colpita.

BIGGYC_XXX

BIGGYC_XXX, che per comodità chiameremo semplicemente Biggy, è chiuso in camera al buio, la sola luce del computer, viziata, finta, illumina la stanza. È seduto alla scrivania, i pantaloni abbassati sulle caviglie, ai piedi un paio di crocs arancioni e calze di spugna bianche. Vicino allo schermo del pc c’è il lubrificante Durex, Biggy ha gli auricolari dell’iPhone per non farsi sentire e indossa la sua maglietta preferita, quella di Maldini. Dietro la finestra VLC che proietta il filmino, si intravede il logo dei Red Hot Chili Peppers, il suo gruppo preferito. Li ha anche sentiti dal vivo, l’anno scorso. Che giornata è stata: a San Siro, insieme a tutta la compagnia di sempre. C’era anche quella troia di Veronica. Gliel’aveva comprato lui il biglietto, a quella succhiacazzi. La foto che si erano fatti al concerto è ancora lì, appesa sopra il letto, ma la faccia di Veronica è stata tagliata.

Quando viene tira un sospiro, niente di più, ha troppa paura che lo possano sentire.

Si pulisce alla bell’e meglio con un fazzoletto, si tira di nuovo su i pantaloni e si accende una sigaretta. Non è un fumatore incallito, ma dopo essersi masturbato ha bisogno di nicotina. Apre la finestra e si affaccia fuori, ne approfitta per prendere aria. Le macchine passano in continuazione, anche se sono le undici, ma Biggy non le vede, perché sta all’ultimo piano e la strada è coperta dai rami degli alberi. Quando si rimette al pc si sente rinvigorito, l’aria fredda sul viso gli ha fatto bene.

Apre Facebook e va sul suo profilo: ha dovuto creare un fake, perché il suo account è stato bloccato e per altre tre settimane non lo può utilizzare. Si fa un giro qua e là, cercando una vittima. Decide di prendersela con un nuovo ristorante per vegani che hanno aperto dall’altra parte della città: hanno rotto il cazzo. Manda il link agli altri e in mezz’ora la pagina del locale è piena di merda, recensioni pessime, foto di animali morti, insulti ai gestori.

L’adrenalina scorre nelle vene, Biggy si sente Dio: decide chi vive e chi muore, chi è degno e chi no.

Si fa un giro sulla home. Quella zoccola di Veronica ha aggiunto una nuova foto, c’è lei al tavolino del bar che beve il caffè e ride. Brutta puttana, ti faccio vedere io. Scarica la foto e la carica in bacheca nel gruppo chiuso che lui ha creato. Inizia la festa. Insulti, volgarità. Qualcuno suggerisce modi più o meno originali di ucciderla, sicuramente dolorosi, qualcuno pensa a come violentarla, altri vorrebbero chiuderla in una stanza e scoparsela quando ne hanno voglia. Qualcuno le ficcherebbe un tubo nel culo. Godrebbe come una cagna. Biggy è sempre più potente, sente un formicolio sotto la pelle, che gli attraversa la schiena. Qualcun altro pubblica la foto di una topa stratosferica che indossa un mini abito blu elettrico e sorride all’obbiettivo provandosi un paio di sandali col tacco e la giostra riparte. Se lo meritano, ’ste zoccole. Pensano di farla franca, di poter fare tutto il cazzo che vogliono. Facebook è pieno di merda, il mondo è pieno di merda, è loro compito fare pulizia. Si sentono imbattibili, intoccabili.

Lui, gli altri membri del gruppo Facebook, non li ha mica mai visti. Ma è gente che ci capisce, sicuro. Si danno man forte l’un l’altro, si capiscono, si difendono. Ci sono anche delle donne, e se pure loro dicono che quelle altre sono delle zoccole, un motivo ci sarà. Biggy si accende un’altra sigaretta, è soddisfatto, potente. Sono quasi le due. Le giornate non gli passano mai, sono eterne, invece la notte, davanti alla tastiera a fare il giustiziere, la notte il tempo vola. Fa il suo dovere, si sente appagato. A volte si eccita e deve masturbarsi di nuovo, sennò non riesce a dormire, nemmeno due ore.

Domani è lunedì, una nuova settimana inizia. Domani a quest’ora sarà troppo tardi, non si potrà più tornare indietro.

Biggy spegne l’ultima sigaretta, è ora di andare a dormire. I suoi continuano a commentare sotto la foto di Veronica, grandi ragazzi! Si butta a letto, non si lava i denti, domani mattina avrà un topo morto in bocca, ma se ne fotte, domani sarà troppo tardi. Se Biggy fosse un colore, sarebbe il nero, come il petrolio che inquina le acque limpide del mare.

VERONICA

Veronica è una bella ragazza. Le piacerebbe viaggiare, ma non è mai stata fuori dall’Italia, non è mai salita su un aereo e spesso si chiede se avrebbe paura a prenderne uno. Adora Marco Mengoni, si è regalata i biglietti del concerto e non vede l’ora che arrivi quella sera. Se Veronica fosse un colore sarebbe certamente il rosa, delicato, ma allegro, che quando riflette i raggi del sole luccica. Sua sorella frequenta ancora le elementari e la adora. Lei l’aiuta a fare i compiti, la va a prendere a scuola, le compra il gelato e le legge tante storie. Quando Veronica aveva la sua età sognava il principe azzurro: un ragazzo bello, gentile, forte, che la proteggesse e la portasse ovunque, intorno al mondo, solo loro due. Ora, dopo quella storia, Veronica ha i brividi solo a pensare di farsi avvicinare da un altro uomo. Lavora come segretaria, ma, per ora, ha solo un contratto da tirocinante. Il mese prossimo scadrà e lei spera tanto glielo rinnovino, che vorrebbe andare in vacanza con le amiche — prendere l’aereo! — e, magari, l’anno prossimo andare a vivere da sola.

Stamattina va davvero bene, come non succedeva da tempo. Sono stati mesi molto duri, la rottura è stata difficile da digerire, l’ordinanza restrittiva l’unica strada. Ma da qualche settimana la situazione sembra essersi calmata. Magari lui — non lo voleva nemmeno pensare, il suo nome — ha perso interesse, si è stancato, ha trovato un’altra, non le importa, Veronica vuole solo dimenticare e recuperare il tempo perso.
C’è aria di primavera in strada, il vento porta in giro odore di fiori. Veronica sorride, mille progetti le girano per la testa. Guarda dritta davanti a sé quando esce, il portone si chiude alle sue spalle, pesante.

Le STORIE DELL’ETÀ DEL RISENTIMENTO sono come delle fotografie, scattate con le parole. L’idea è quella di raccontare una delle tante facce di quel movimento sotterraneo che abita questo momento storico (e sociale e geografico), in forme e modi diversi: accendiamo una luce sul momento in cui il risentimento s’innesca, o inizia a germinare, o si trasforma in altro. O.

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