C’è vita oltre il mainstream

Intervista a Valerio Mattioli

Martina Scalini
The Catcher
5 min readOct 17, 2017

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(via / elaborazione grafica The Catcher)

Valerio Mattioli scrive “tanto in giro”, da poco lo si può leggere su «Not», la rivista online di «NERO» che si occupa di arti, cultura, teoria e immaginari del prossimo presente. Superonda. Storia segreta della musica italiana è il suo libro, uscito per Baldini & Castoldi nel 2016. Un libro necessario per comprendere gli anni della musica italiana dal 1964 al 1976 al di là dei soliti noti, e un ottimo strumento per colmare le proprie lacune storiche, oltre che musicali.

Più che un libro sulla musica, Superonda sembra un trattato (narrativo) socio-culturale per la sua contestualizzazione puntuale e approfondita. Ti va di raccontarci la genesi, da un punto di vista personale, di Superonda?
All’inizio a dire il vero pensavo solo di concludere la fantomatica trilogia dell’Asse inaugurata da Julian Cope coi suoi Krautrocksampler e Japrocksampler, rispettivamente dedicati alla Germania e al Giappone e alle relative scene avant-psichedeliche-scoppiate tra anni Sessanta e Settanta
— insomma, lo stesso nucleo portante di Superonda.

(via)

Poi non so, inserire le vicende raccontate nel libro in un più ampio quadro sociale-culturale-politico-artistico mi sembrava il modo migliore per rendere la specificità di quelle musiche, l’ambiente in cui erano nate e il contesto da cui muovevano; ho quindi provato ad allargare un po’ (tanto) l’obiettivo. Non definirei Superonda un trattato, o quantomeno non avevo questa ambizione.

Lo penso più come una storia sull’Italia di quegli anni che si articola attraverso una serie di personaggi e situazioni a vario titolo legati al mondo musicale.

Area (via)

Dopo aver scritto dei segreti della musica italiana, ci riveli qualche segreto della musica britannica di oggi e di ieri che noi comuni mortali ignoriamo?

Per quello immagino dobbiate chiedere a Rob Young, il cui Electric Eden è uno splendido saggio non solo sul folk revival inglese degli anni Sessanta e Settanta (con appendici che arrivano fino ai giorni nostri), ma su un intero immaginario che permea in profondità la cultura britannica, si tratti di trasmissioni per bambini della BBC, filmati educational, rapporto tra città e campagna, hauntology contemporanea e così via. È davvero uno dei libri di musica più belli che abbia letto negli ultimi anni, spero che prima o poi qualcuno si decida a tradurlo in italiano.

Ieri lo slogan era No Future, oggi There Is No Alternative, passando per la tappa obbligata della Retromania; in un’intervista di maggio Stefano Isidoro Bianchi ( fondatore e direttore della rivista mensile «Blow Up»), si lamenta della morte della musica popular, soppiantata dai talent e dagli algoritmi; morte che sarebbe annunciata da un mercato che si muove solo quando intravede una possibilità di guadagno. Nel frattempo la musica accelerazionista — che tu hai raccontato alla perfezione — spintona e si presenta come un’alternativa percorribile, se non altro in senso politico. Io non ci capisco più nulla. Tra pessimismo, slogan e movimenti politici, qual è il futuro della musica che si muove nelle retrovie del mainstream? E il mainstream, invece, sarà davvero solo una questione di algoritmi?

Adorabili (via)

Non ho davvero idea di quale sia il futuro della musica. Certo, Stefano Bianchi è un noto pessimista con scarsa simpatia per la musica di oggi, quindi diciamo che le sue affermazioni non mi stupiscono. Proviamo però a metterla così: in un certo senso la cosiddetta musica mainstream è sempre stata una faccenda di algoritmi, di prodotti pianificati a tavolino, di imponenti campagne di marketing, quindi uno potrebbe tranquillamente dire “niente di nuovo” e chiuderla lì. Anche negli anni Ottanta (a cui Bianchi è molto affezionato, se non altro per motivi anagrafici) c’era chi se la prendeva con Madonna perché era solo immagine, no? Al tempo stesso, nel mainstream convivono da sempre personalità di spessore e fenomeni anche beceri destinati a durare lo spazio di mezza stagione, e questo succedeva tanto nella supposta Golden Age del pop quanto oggi, dove da una parte hai una Rihanna (o un Kanye West o qualunque sia il vostro artista mainstream preferito) e dall’altra hai Despacito, che comunque essendo un tormentone ce lo ricorderemo anche tra vent’anni. A me a dire il vero interessa molto quella specie di area grigia che sta giusto al limite del mainstream senza ancora essere riuscita a fare i numeri veramente grossi — potremmo chiamarlo mainstream di culto o tuttalpiù indie di massa.

FKA Twigs

Oddio, messa così sembra che voglia parlare di roba tipo Thegiornalisti. No, non è a loro che penso, quanto a fenomeni tipo FKA Twigs o a tutta la post-trap di gente come Future: sono musicisti che perlomeno nelle loro intenzioni non si accontentano della “nicchia”, ma che al tempo stesso portano avanti un discorso musicale molto — non so come dire — strano, avanzato, di sicuro attuale e orgogliosamente antinostalgico, intrattenendo tra l’altro un rapporto stretto e non scontato con le migliori esperienze underground (specie di area elettronica e dintorni). In effetti quello che vedo messo peggio, ormai da tanti anni, è quello che una volta avremmo chiamato rock, inteso proprio come musica per chitarre o tuttalpiù come musica firmata da autori con la A maiuscola e dalle immacolate credenziali in termini di autenticità e messaggio. È indicativo come la salvezza del rock venga adesso individuata in una pletora di gruppi e cantautori indie dagli atteggiamenti apertamente dimessi, rinunciatari, introversi nel senso deteriore del termine. È musica che trovo irriducibilmente reazionaria, sia dal punto di vista musicale che più genericamente politico. Magari è solo una fase.

In fondo la storia del pop è piena di corsi e ricorsi, strappi e ricuciture, fughe in avanti e ritorni sui propri passi.

Domenica 22 ottobre sarai al FILL con Rob Young per l’incontro The Secret History of italian (and British) Music. Ci proponi una playlist per prepararci all’appuntamento?

Certo!

Franco Battiato, Sequenze e frequenze
Shirley & Dolly Collins, God Dog
Comus, Song to Comus
Canzoniere del Lazio, Canti a mete di Barbarano
Paul Giovanni/Magnet, Willow’s Song
Egisto Macchi, I cammelli

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