Dal libro del profeta J.G. Ballard

Stefano Rossetti
The Lighthouse
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6 min readMar 2, 2017

Il sorriso che spunta su un viso da tranquillo professore universitario, chi direbbe mai che quest’uomo è stato il primo a parlare di attrazione sessuale verso gli incidenti stradali?

La biografia di James Graham Ballard è facilmente consuntabile su Internet, i pigri sappiano che nasce a Shangai nel 1930, i tipici tratti orientali non si scorgono sul suo viso per il fatto che è figlio di genitori inglesi. Rinchiuso durante la guerra in un campo di prigionia giapponese insieme alla famiglia, raggiunge la madrepatria nel 1945 e comincia gli studi di psichiatria a Cambridge, per poi abbandonarli una volta scoperta la passione per la scrittura.

Ballard si farà presto un nome, a Londra ma non solo, con la letteratura fantascientifica, ma è nel 1970 che pubblica il libro che darà vita all’aspetto della sua carriera di cui andiamo a parlarvi: “La Mostra delle Atrocità” (The Atrocity Exhibition, 1970) è un libro allucinato, una raccolta di appunti quasi non riveduti in cui ci vengono raccontate le diverse personalità di Travis/Talbot/Traven/Tallis/Talbert/Travers, paziente (o dottore?) di un istituto psichiatrico in cui viene organizzata una mostra sull’ipotetica Terza Guerra Mondiale. Un lucido salto nella follia che si interroga sul significato che dovremmo dare alla morte delle celebrità (Marilyn Monroe, James Dean…) e immagina gli Stati Uniti governati da uno di questi divi, Ronald Reagan (Ballard ha effettivamente previsto il futuro, anticipando quelle elezioni di undici anni). L’attore/presidente è protagonista sia del capitolo che costò al romanzo una denuncia per oscenità (ci limitiamo a citarne il nome originale, “Why I Want to Fuck Ronald Reagan”) sia di un surrealistico racconto in appendice che ci racconta di un mondo in cui è avvenuta la guerra nucleare ma nessuno tranne il narratore se n’è accorto.

“The Atrocity Exhibition”

L’ossessione per gli incidenti stradali, presente tanto nel libro quanto in una effettiva mostra di auto distrutte organizzata dallo stesso Ballard nel 1970, lo porta a scrivere tre anni dopo quello che è forse il suo romanzo più discusso: “Crash” (id. 1973), storia di un certo James Ballard (i più attenti avranno notato la somiglianza col nome dell’autore) che, dopo un quasi mortale sinistro in automobile, si trova invischiato con la moglie nel giro di alcuni feticisti di incidenti stradali che pianificano di far morire in questo modo l’attrice Liz Taylor (anche la morte delle celebrità è un argomento che affascina questo simpatico individuo) sullo sfondo di una Londra che ci mostra il suo lato oscuro e che sarà anche l’ambientazione di tutti i romanzi descritti in seguito.

“Crash”

Un completo pazzo? Il contrario, un attento osservatore dell’epoca che stava diventando moderna, un profeta del disagio che la società automatizzata avrebbe creato da lì a pochi anni in individui che ancora sono fatti di carne, sangue, acidi gastrici e neuroni, anche se a volte lo dimenticano (dev’essere la formazione medica che rende la prosa di Ballard molto vicina a un referto medico: la descrizione dei pensieri di un personaggio che si è rotto una gamba si accompagna a quella della cancrena che si sta diffondendo).

Dopo “Crash” la sua vena antropologica lo porta a interrogarsi sul rapporto tra individuo e società, seguendo un uomo catapultato (letteralmente) fuori dal contesto urbano con “L’Isola di Cemento” (Concrete Island, 1974). A causa dell’ennesimo incidente stradale, il protagonista si trova intrappolato nel crocevia di due autostrade e, novello Robinson Crusoe, deve sopravvivere proprio nel mezzo della civiltà così vicina nello spazio ma impossibile da raggiungere.

“Concrete Island”

In seguito, con “Il Condominio” (High Rise, 1975), osserva l’individuo inserito nella società, nello specifico all’interno di un lussuoso grattacielo i cui abitanti, a causa di una serie di blackout, perdono progressivamente il contatto con la tecnologia e di conseguenza diventano più umani, ossia “regrediscono” all’età della pietra e cominciano ad assumere comportamenti che un lettore inserito nel contesto sociale può giudicare animaleschi, ma che per Ballard altro non sono che l’essenza stessa di quella cosa che chiamiamo “Uomo” e che sempre più spesso dimentichiamo cosa significhi.

Particolare dalla locandina della trasposizione cinematografica di “High Rise”

“Homo homini lupus” potrebbe essere il grido di battaglia di quest’ultimo libro e di Ballard stesso, ma bisognerebbe spogliare la citazione latina del suo intento moralistico e accettare la realtà dei fatti: la società è una prigione in cui l’uomo si chiude consapevolmente e volentieri, ma se qualcosa nella società non risponde alle sue aspettative non si fa problema a ottenerlo con la forza, a scapito dei suoi simili.

“Empire of the Sun”

Successivamente a questa ideale trilogia, Ballard pubblica un romanzo semi autobiografico che racconta la sua esperienza nel campo di prigionia giapponese, quel “L’Impero del Sole” (Empire of the Sun, 1984) che Steven Spielberg tradusse in pellicola nel 1987 con un tredicenne Christian Bale come protagonista. Altri due adattamenti per il grande schermo caldamente consigliati sono lo scandaloso “Crash” di David Cronenberg (id. 1996) e “High Rise” di Ben Whitley (id. 2015), sebbene l’uscita nelle sale italiane di quest’ultimo non sia ancora stata decisa. Esiste poi una versione cinematografica de “La Mostra delle Atrocità” (The Atrocity Exhibition, 2001), unico film del regista Jonathan Weiss e praticamente introvabile, se non in qualche oscuro meandro di Internet, ma inviteremmo il lettore a ricordare che la pirateria è reato…

Prima di dedicarsi alla tetralogia iniziata da “Cocaine Nights” (id. 1996) che chiuderà la sua carriera da romanziere, stroncata nel 2009 da un cancro alla prostata, Ballard pubblica un libro che forse non possiede la forza narrativa degli altri di cui abbiamo parlato, ma che, si può dire, non poteva mancare nel suo curriculum. “Un Gioco da Bambini” (Running Wild, 1988) è la raccolta di appunti di uno psichiatra che collabora con la polizia nella risoluzione di un enigma più che un caso: in un lussuoso agglomerato di poche villette appena fuori città vengono ritrovati i cadaveri di tutti gli occupanti adulti del villaggio, mentre i bambini sono scomparsi. Saranno il solo psichiatra e un agente di basso grado a capire che cosa sia effettivamente successo, ma solo anni dopo e in un contesto in cui ormai né le autorità né il pubblico vogliono più sapere la verità, in parte perché inaccettabile in parte perché l’interesse per la strage è andato scemando col tempo.

“Running Wild”

L’articolo si conclude (finalmente) qui perché questi sono i romanzi che ci premeva farvi conoscere, ma di certo vi consigliamo di correre presto in libreria a cercare altre testimonianze del genio di questo autore così famoso e poco citato allo stesso tempo, un uomo che è riuscito a parlarci del presente prima ancora che accadesse e il cui tono non è mai critico o moralistico, ma da bravo uomo di scienza (non dimentichiamo gli studi in psichiatria) si limita a registrare una realtà umana che, però, la sua vena umanistica riconosce essere raccapricciante.

P.S. giusto per annoiare ancora con qualche riga, per chi fosse interessato ecco “Crash!”, un cortometraggio del 1971 diretto da Harley Cokliss e interpretato dallo stesso Ballard e da Gabrielle Drake che indaga la passione dell’autore per la tematica dell’incidente stradale e che anticipa il romanzo omonimo (fatta eccezione per il simbolo “!”) di due anni dopo

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