From Europe, with love

La Francia tra populismo, sovranismo e l’ombra del Cremlino

Guglielmo Fasana
The Lighthouse
6 min readApr 19, 2017

--

(grafica The Lighthouse)

Prima di cominciare, una premessa è dovuta: questo breve articolo non vuole essere, nel modo più assoluto, una fonte di verità, ma un semplice punto di vista. Credo che il dibattito e la facoltà di esprimersi su soggetti cruciali come quello della crisi dell’Unione Europea debbano rimanere quanto più possibile aperti e privi di preconcetti. A riguardo, molte sono le interpretazioni autorevoli, e, per l’appunto, è mio dovere rimandare i lettori alla consultazione di quotidiani e riviste specializzate. Sicuramente, quelli sono i mezzi tramite i quali, con un po’ di fortuna e una buona dose di pragmatismo, riuscirete a formarvi una solida opinione sul tema.

A 60 anni dalla firma dei Trattati di Roma, siamo di fronte ad una Europa estremamente bisognosa di attenzioni. Nella più ottimistica delle analisi, viviamo in un frangente storico non favorevole agli - ormai - 27 paesi membri. Nella peggiore, invece, rischiamo di vedere l’Unione disintegrarsi sotto i nostri occhi. Che forse non sono stati educati a comprendere a fondo i valori e la missione di questo progetto così ambizioso.

Certo, sarebbe fin troppo facile additare come colpevole quella massa sempre più nutrita di cittadini disillusi che, cercando di far spiccare la propria voce al di sopra del coro degli interessi dei “poteri forti”, delle élites e della globalizzazione, finisce col minare la struttura stessa del più grande mercato unico mondiale.

Oppure scaricare la colpa su quelle forze populiste, che spesso fanno del nazionalismo il loro motto e degli slogan le loro campagne elettorali, ma che soprattutto all'estero cominciano ad apparire come l’alternativa credibile all’establishment.

Durante la sua campagna per le presidenziali in Austria, il candidato dell’estrema destra Norbert Hofer ben riassunse (almeno agli occhi dei suoi sostenitori) il concetto di populismo con queste parole, rispondendo ad una domanda dell’avversario dei Verdi Alexander Van der Bellen:

“You have the haute volée [high society] behind you; I have the people with me.”

Eppure, a ben guardare, sembra proprio questa la ragione principale per cui la stabilità delle istituzioni europee e della moneta unica vacilla così vistosamente.

Consideriamo per esempio l’UKIP di Nigel Farage in Gran Bretagna. È innegabile che il contributo del suo partito nella campagna in favore della Brexit sia stato determinante, visto l’esito del referendum. Fin’ora, l’Unione non aveva fatto che allargare i suoi confini. Ora però sappiamo che tale processo non è scontato, e, soprattutto, che può essere invertito.

Il 24 aprile, la palla passerà alla Francia, dove la corsa per le Presidenziali rischia di tramutarsi in un nuovo, e non meno pericoloso, referendum popolare sulla permanenza dell’Héxagone in Europa.

Da una parte Emmanuel Macron, ex del Parti Socialiste, ex Ministro dell’economia, dell’industria e del digitale, ex banchiere d’affari alla Rothschild, ex allievo della Scuola Nazionale di Amministrazione. Insomma, un curriculum da non sottovalutare.

Convinto europeista, tiepido socialista, dopo essersi defilato dal governo di Manuel Valls il 30 agosto 2016, ha fondato un nuovo partito, En Marche!, con il quale si è candidato alle elezioni presidenziali. Tramite una retorica politica tipicamente centrista, mira a raccogliere consensi fra l’elettorato di sinistra deluso da François Hollande, ma allo stesso tempo ad attirare a sé un elettorato di stampo liberale/moderato di destra.

Nonostante questo potpourri di credo politici assemblati insieme per l’occasione, Macron ha tenuto a precisare che l’etichetta di centrismo non gli si addice per nulla. Piuttosto, preferisce definirsi un sostenitore del cambiamento della classe politica e del liberalismo, inteso come ampliamento delle libertà individuali.

In questo breve video tratto da un comizio elettorale a Lione, è facile rendersi conto delle caratteristiche della linea politica di Macron: europeismo, critica al sistema politico francese attuale, riforme e toni pacati ma non per questo meno vigorosi.

Dall'altra, Marine Le Pen, diventata leader del Front National dopo aver prevalso in una sorta di faida intestina con il padre Jean-Marie (escluso dal partito dopo aver definito l’Olocausto “un dettaglio della storia”).

Non molto tempo fa anche la front-runner della destra si è messa in luce per una controversa dichiarazione sulla responsabilità della deportazione degli ebrei francesi da parte delle autorità collaborazioniste di Vichy. L’opinione pubblica non ha tardato a far trasparire la propria avversione al tentativo di riscrivere uno dei capitoli più bui della storia del Paese.

Tuttavia, una fetta sempre più ampia dell’elettorato ha voluto riconoscere in lei la donna adatta a guidare la Francia: acerrima nemica delle politiche di integrazione e paladina del sovranismo. Da candidata, non ha mai lesinato quanto a stoccate e affondi nei riguardi dell’Unione.

Il sovranismo, uno dei punti cardine della sua campagna, risuona molto del motto Trumpiano “America first”; in una recente intervista rilasciata alla rivista statunitense Foreign Affairs, Le Pen ha dichiarato:

“[…] independence is not isolation. And what strikes me is that France has always been much more powerful being France on its own that being a province of the European Union. I want to rediscover that strength.”

Appare quasi scontato che, in caso di una vittoria elettorale del Front National, la permanenza della Francia nell'Unione Europea sarà messa in discussione.

Perdere uno degli Stati fondatori sarebbe un colpo difficile da accusare, tanto più che fu proprio l’intuizione di due statisti francesi, Jean Monnet e Robert Schumann, a dare l’avvio alle negoziazioni in campo europeo. Quando si dice l’ironia della sorte.

Marine Le Pen e Vladimir Putin a Mosca nel marzo 2017

Sullo sfondo della già difficile situazione politica attuale, si staglia l’ombra del Cremlino e del suo attuale inquilino, Vladimir Putin.

In diverse occasioni, Marine Le Pen si è espressa in favore di una partnership tra Francia e Russia su temi cruciali, quali politiche di difesa ed energia, esplicitamente tentando di scavalcare l’autorità europea che, da statuto, è preposta alla negoziazione di questi aspetti della vita comunitaria.

Infine, il 24 marzo scorso, è arrivato l’endorsement ufficiale. Putin ha infatti deciso di ricevere la leader del Front National a Mosca.

Per analisti e politici, il pericolo che Putin voglia (nuovamente) tentare di manipolare a proprio vantaggio l’esito di una consultazione elettorale esiste, ed è concreto. In tal caso, rischieremmo di vedere un remake in edizione europea del Russiagate.

Il mese scorso, il J’accuse è arrivato, forte e chiaro, da parte di Hollande: secondo il Presidente francese, il Cremlino sta tentando di “influenzare l’opinione pubblica” tramite “operazioni ideologiche”, grazie ad una “strategia di disinformazione”.

E non solo. Il Front National si sarebbe legato alla Russia anche per quanto riguarda il finanziamento della propria campagna elettorale, vista la difficoltà riscontrata ad ottenere tale somma da parte di istituti finanziari in Francia. 9,4 milioni di Euro circa sarebbero stati concessi al partito dalla First Czech Russia Bank, con base a Mosca.

Per concludere, è opportuno ricordare come, per la prima volta nei 65 anni di storia della Quinta Repubblica, i due candidati favoriti nei sondaggi non provengano dalle fila dei partiti tradizionali.

Inoltre, non è solo ‘il partito’ a soccombere ad una logica fino a poco tempo fa inedita nel panorama politico internazionale, ma soprattutto la dicotomia tra schieramenti di destra e di sinistra.

Emmanuel Macron e Marine Le Pen

Né Emmanuel Macron né Marine Le Pen sembrano volersi sporcare le mani con una tradizione politica ormai ritenuta obsoleta, non più al passo con la velocità della vita odierna e dei cambiamenti strutturali introdotti dalla globalizzazione.

Per tutti questi motivi l’esito è incerto, e, sebbene il candidato di En Marche! sia dato come vincitore con un ampio margine al secondo turno, non è da sottovalutare una possibile improvvisa virata verso il Front National. Che, in modo sintomatico, risulterebbe come primo partito al primo turno.

Nel lontano 1849, esattamente a 101 anni dalla Dichiarazione Schuman, un uomo di nome Victor Hugo pronunciava queste parole, in un discorso tenuto al Congrès de la Paix:

“Un giorno verrà dove voi tutte, Nazioni del Continente, senza dimenticarvi delle vostre qualità distintive e della vostra gloriosa individualità, vi fonderete strettamente in una unità superiore, e voi costituirete una fraternità europea.”

Forse, in certe circostanze, la cosa più saggia da fare sarebbe mettere finalmente in pratica i saggi, o forse visionari, auspici di un illustre compatriota.

--

--