Perché (ri)guardare Trainspotting 2 dopo vent’anni

Alessandra Villa
The Lighthouse
Published in
4 min readFeb 25, 2017
La locandina di T2: Trainspotting (particolare)

“Choose Facebook, Twitter, Instagram and hope that someone, somewhere cares.”

Sono queste le nuove iconiche parole che Mark Renton pronuncia, 20 anni dopo, mentre guarda fuori da un lussuoso ristorante della sua vecchia città, Edimburgo, lontana anni luce da quella Edimburgo sporca e spietata in cui era cresciuto e da cui, a tradimento, era scappato.

Storia semplice: stesso cast, stesso regista, stesso sceneggiatore, stessa città. Vent’anni dopo i tossici scozzesi più amati e spiantati di sempre, ritornano con i loro fantasmi, il loro humour nero, il loro spirito punk ribelle che non se ne è mai andato, nonostante la cocaina (per Sick Boy), il carcere (per Begbie), il miraggio della riabilitazione dall’eroina (per Spud).

Trainspotting: cosa è rimasto, cosa è cambiato.

È cambiato il secolo, sono cambiate le priorità dei personaggi, sono cambiate le droghe, gli attori hanno qualche capello bianco, alcuni i capelli li hanno persi quasi del tutto.

Ebbene Mark, Simon, Francis e Spud hanno scelto la vita.

Hanno scelto la vita. Hanno vestiti firmati, mogli e fidanzate, figli, un lavoro, mangiano al ristorante e vanno a fare jogging, usano l’iphone, si tingono i capelli, prendono il Viagra e guardano le foto sbiadite di quando erano bambini.

Se prima Mark Renton correva in crisi d’astienza e disperato su Prince Street con i vestiti strappati, oggi corre su un tapis roulant di Amsterdam con una lucida tuta della Adidas. Tutto è cambiato, adesso i protagonisti si destreggiano con Twitter, si mandano mail, chiedono prestiti in banca, consultano avvocati, si inviano Snapchat a vicenda. Certo, ora tutto è più veloce, complesso, connesso. Restare fermi nel passato è impossibile: non si torna più indietro, anche se nulla si è di fatto mai cancellato. Nessuno di loro ha deviato dalla strada che aveva intrapreso vent’anni prima. E questo perché la risposta ai problemi della vita continua a essere la stessa: non smettere mai di fare quello che si vuole, pensare sempre in grande, ottenere il miglior risultato con il minor sforzo possibile, non adeguarsi mai.

“Quand’è che tutto ha iniziato ad andare storto?”_cameriere a Giorgie Best, dopo averlo ritrovato sdraiato su un mucchio di soldi in una camera d’albergo.

Perché rivedere Trainspotting 2?

Semplice, perché tutto è una farsa. Chi si aspetta di vedere una trasposizione cinematografica di “Porno”, libro successivo a Trainspotting, scritto sempre da Irvine Welsh, o un film che rispetti lo stile del primo, rimarrà deluso. Questo non è Trainspotting, non è Porno, è Trainspotting 2.

Come ho detto, è da (ri)vedere proprio perché è tutto una farsa.

Perché dopo 20 anni non siamo ancora capaci di lasciar andare via il sorriso da tossico di Mark Renton, la retorica subdola di Sick Boy, gli occhioni da cucciolo di Spud e la follia psicotica di Francis Begbie.

Gli attori danno allo spettatore esattamente quello che vuole: risse da pub, inganni meschini, battute taglienti, discorsi deliranti, amicizia, riso amaro, tradimento. Gli attori tengono lo spettatore nelle loro mani, lo portano dove vogliono, avanti e indietro tra passato e presente, lo incantano dolcemente con inquadrature sapientemente calibrate e oniriche, e con le parole usate per arrivare esattamente dove loro vogliono arrivare.

Il mitico duo Rent Boy-Sick Boy è ancora in affari, è ancora capace di tramare, di architettare piani assurdi per ingannare il sistema. E alla fine è qui la chiave: continuare impuniti a prendersi gioco di tutto e di tutti, della legge, dei soldi, della vita e della morte, di te spettatore, seduto al buio con gli occhi appiccicati allo schermo.

Sono passati vent’anni e loro si sono adeguati: non rubano più nei negozi ma copiano i PIN delle carte di credito. Eppure in fondo restano sempre i due ragazzini maniaci del calcio, amanti delle droghe, che scorrazzano nella brughiera scozzese e che bevono birra mentre guardano TV spazzatura sul divano.

È vero, sono meno cattivi, ma solo perché così non ce li aspettavamo. Ora sanno chi sono, si citano da soli, sanno di essere dei “personaggi”. Ma il vero problema è che ci dicono che forse siamo personaggi anche noi, noi che siamo accecati dal bisogno di popolarità, che non non riusciamo più a staccarci dallo smartphone, che recitiamo continuamente il ruolo di qualcun’altro, noi che abbiamo smesso di essere creativi. Noi che…

“Scegliamo un lavoro, la carriera, la famiglia. Scegliamo gli amici, la macchina, la buona salute, la televisione, il colesterolo basso. Noi che scegliamo di guardare la storia che si ripete, un contratto a zero ore, scegliamo di fare 2 ore di viaggio per andare al lavoro e infine anneghiamo il dolore con una dose sconosciuta di una droga sconosciuta, preparata nella cucina di qualcuno.”

Non resta molto altro da dire se non…

Choose Life.

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