“V per Vendetta” o “L’arte di trarre un film da un fumetto”
Ignorando momentaneamente quello che potrebbe essere un bel dibattito, ossia se “valga” di più un’opera originale, primitiva, o una derivata, concentriamoci su un particolare tipo di adattamento, quello da fumetto.
Se è vero che film tratti da fumetti esistono dalla notte dei tempi, è altrettanto vero che il termine “cinecomic” inizia a essere utilizzato intorno all'anno 2002, quando nei cinema del mondo usciva lo Spider-Man di Sam Raimi, che l’anno seguente sarebbe stato seguito da Hulk di Ang Lee.
Un lettore attento potrebbe ricordare a questo punto che già nel 1989 Tim Burton aveva realizzato un adattamento cinematografico basato sul personaggio di Batman, recentemente ripreso anche da Christopher Nolan; di questi tempi però, quando si dice cinecomics, il pensiero corre automaticamente alla Marvel, e non si può negare che questo termine sia ormai quasi sinonimo di “Avengers”.
Film magnificamente realizzati, divertenti e con buona azione, ma in cui un vecchio romantico ormai da tempo non può più scorgere il caro “amore per il mestiere”: queste (ormai non più) pellicole non sono niente di più che un bel prodotto da vendere (cosa che il Cinema, giustamente, fa dagli esordi, ma a cui noi romantici ancora non ci siamo rassegnati).
Perché dunque il signor V compie anche la Vendetta dei nostalgici comparendo sul grande schermo? Per via del suo rassicurante sorriso? Per il lieto fine che rasserena lo spettatore? Per la rappresentazione arbitrariamente manichea del Bene e del Male nella società? O forse proprio perché non cerca di raccontare nessuna di queste menzogne?
Intendiamoci, Avengers è una bella favola, con i buoni che alla fine riescono a sconfiggere il Male e salvare il mondo, qualunque cosa possa succedere nel frattempo.
Ma il signor Alan Moore era stanco delle favole già negli anni ’80, quando comincia a lavorare ai fumetti che cambieranno la visione che il pubblico cinematografico ha dell’eroe, trasformando l’invincibile personaggio bello e buono in una figura solitaria, cupa, addirittura negativa, come appunto il nostro V, che sì combatte per eliminare la dittatura in Gran Bretagna, ma lo fa con bombe e coltelli. E non si fermerà a questo, anzi: la rivalutazione dell’eroe sarà definitiva nel 1987 con l’uscita di “Watchmen”, il primo e unico fumetto (pardon, graphic novel) nella storia ad aver vinto un riconoscimento letterario, il prestigioso premio Hugo. Da Watchmen l’odiatissimo Zack Snyder ha tratto nel 2009 uno dei film più belli, complessi, commoventi e duri degli ultimi anni.
Perché dunque la lotta di V contro l’Alto Cancelliere, dittatore del Regno Unito, la sentiamo più forte, più vera di quella degli Avengers contro un computer impazzito? Perché ci ricorda la nostra lotta per quello che, a dispetto degli altri, ancora riteniamo giusto, ci dimostra che una sola persona si può ergere contro un potere organizzato, e ci mostra anche come quella sola persona è destinata a perire e la sua eventuale vittoria a durare poco.
Perché in fondo l’happy ending ci fa sorridere ma non ci fa uscire dal cinema soddisfatti, perché se chiedete a chiunque vi attraversi la strada chi preferisce tra Topolino e Paperino vi risponderà col nome dell’eterno sconfitto, perché le favole le leggiamo ma non possiamo più crederci.
O forse apprezziamo maggiormente “V per Vendetta” solo perché ci hanno detto che Alan Moore lo odia e disconosce qualunque film tratto dai suoi fumetti, e il brivido del proibito dà sempre un pizzico di sale in più a tutto.