Cuor di sapone

Vittoria Duò
The News Train
Published in
4 min readNov 23, 2020

La crema che voleva cambiare il mondo

Solo chi ha studiato a Padova sa quanto sia difficile, almeno per i primi tempi, distinguere con chiarezza Piazza delle Erbe da Piazza della Frutta. Di fatto, in entrambe ci fanno il mercato ogni giorno. Ho vissuto ben otto anni a Padova, e l’unico modo efficace che ho trovato per distinguerle è stata una bottega. Una bottega un po’ diversa, nascosta tra i portici di Piazza delle Erbe, anche se è impossibile non accorgersi che ci sia. Lo senti: è una questione di naso.

Io quando cerco di capire quanto dista il negozio di Lush più vicino

Miele, patchouli, lemongrass, cocco, menta, frangipani, vaniglia, mandorle. Li senti anche quando il negozio è chiuso e le serrande sono abbassate.

Il mio problema è che sono sempre stata più una persona da vetrina. E la cosa non ha nulla a che fare con il mio tasso di esibizionismo; semplicemente, come gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere, così per le strade del centro ci sono persone più inclini alla ricognizione e gli spettatori, come me. Per cui, nonostante sognassi le saponette di Lush non mi sono mai arrischiata ad entrarci fino al primo anno di Università.

Poi è arrivata la svolta, quando un mio compagno di università mi ha regalato uno scrub. Uno scrub blu che odorava di oceano e agrumi: un vasetto di Atollo 13 di Lush che andava reso una volta finito. È grazie a Enrico, il mio compagno di studi, che cinque anni fa sono entrata per la prima volta in un negozio di Lush per riciclare un contenitore di plastica.

All’ ingresso spiccava una piramide di vasetti di crema idratante con un nome un po’ particolare: Charity Pot. Una crema per i diritti umani, insomma.

io ogni volta che la commessa di Lush mi consiglia di applicare POCO prodotto

E considerato che il tempo per la skincare non è MAI tempo sprecato, perché non cambiare il mondo a colpi di burro di karitè?

Negli ultimi tredici anni, i clienti Lush che hanno scelto di acquistare questa crema fatta di cose buone in tutti i sensi (con burro di cacao Fair Trade della Colombia, burro di karitè Fair Trade del Gambia e gel di aloe vera del Kenya) hanno contribuito a finanziare progetti per i diritti umani, quelli degli animali e la protezione ambientale.

Nemmeno gli enti benefici sono scelti a caso da questa azienda: organizzazione di base, indipendenti, che spesso sfidano le opinioni più diffuse e combattono per cause spesso trascurate dai grandi finanziatori.

Nel 2010 l’azienda di Poole (U.K.) ha deciso di fondare lo SLush in base ad un’esigenza molto chiara: poteva, Lush, fare qualcosa di più oltre a comprare “semplicemente” prodotti equosolidali? A distanza di dieci anni la risposta è:

Oltre a quello che Lush annualmente spende in materie prime e packaging, fino a 1,15 milioni di euro vengono donati al fondo. Questi soldi sono poi usati per avviare da zero progetti di agricoltura sostenibile e sostegno alle comunità locali, alcuni dei quali producono e trasformano splendidi ingredienti per i nostri prodotti.

Gli ingredienti dei progetti SLush Fund si possono trovare in molti prodotti Lush, ma solo la Charity Pot ne raggruppa sei: tutti insieme e tutti buoni. L’intero importo (meno l’Iva) viene donato a cause e progetti capaci di dare una mano concreta a cambiare il mondo.

Riuscirà una crema a salvare l’umanità dal declino? Forse no. Non da sola almeno. Non finché tante altre realtà non si renderanno conto che questo può non essere l’unico modo di stare sul mercato… Ma è l’unico che merita i soldi dei suoi consumatori. Ecco perché dà soddisfazione scegliere realtà del genere: perché, quando esci da un negozio Lush hai una borsetta rigorosamente di carta e dentro ci sono coccole a forma di sapone e creme che sanno di paradiso. Non hai solo il portafoglio più leggero, ma anche il cuore. Senti di aver fatto qualcosa di buono, per te e per gli altri. E questa è la vera esperienza che si fa da Lush.

Ispirato alla tesi numero 26 del New Train Manifesto

Vittoria Duò

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