Perché la regina vale meno del re?

Serena Vanzillotta
The News Train
Published in
5 min readJun 17, 2020

Queeng: “spesso dietro le grandi rivoluzioni si nascondono le più innocenti delle domande.”

Photo by Dainis Graveris on Unsplash

Why is the queen worth less than the king? La storia che può dare il via alla più semplice e geniale delle rivoluzioni culturali comincia così: con una domanda dal ritmo di una filastrocca.

A farla è Maayan Segal, una ragazzina islraeliana, che un giorno, giocando a carte con la sua famiglia, si pone il più puro e ingenuo degli interrogativi:

perché mai la regina vale meno del re?

Non riuscendo a trovare una risposta che la soddisfi, Maayan si rende conto ben presto di essere di fronte a un cliché ormai del tutto naturalizzato, al punto da apparire scontato. Eppure le carte sono state inventate secoli fa, secondo i ruoli e la cultura di un tempo e

solo perché le cose sono sempre state così, non significa che debbano rimanere per sempre così.

Tanto più che ormai la realtà è ben diversa rispetto al passato. Parliamoci chiaro, chi come me è nata nell’era dei rollerblade e di Beverly Hills può dire di essere cresciuta con un’unica grande certezza nella vita: la regina Elisabetta, colei che ha messo in dubbio il concetto stesso di re, al punto che suo figlio, re, non lo diventerà mai. Possibile allora che le carte da gioco debbano rappresentare un mondo che non ci appartiene più?

No di certo, e a suggerircelo è proprio questa giovane ragazza che con una semplicità disarmante ci spiega i nuovi ruoli sul tavolo da gioco del mondo che vorrebbe. Maayan ci racconta come da un’idea tanto ovvia quanto visionaria, l’unione di queen e king, nasca Queeng, un mash-up che ha in sé il seme della rivoluzione.

Queeng playing card sono infatti le nuove carte da gioco cha rimettono in discussione l’intero sistema gerarchico, basato sull’identità di genere, su cui il gioco delle carte si è fondato per secoli.

Non esiste più un re che viene prima della regina, bensì quatro monarchi, parola non a caso neutrale, per una distribuzione equa tra gerene femminile e genere maschile, muniti entrambi di spade, simbolo di potere.

A seguire, al posto della consueta regina, si trovano due duchesse e due duchi, ma la battaglia rivendicazionale non finisce qui e i quattro cavalieri devono essere sacrificati: nella postazione dei jack regnano ora trionfanti due principesse e due principi.
Perfino i Jolly si polarizzano, dimostrandoci ancora una volta che le carte sono sì un gioco ma che ora non si può più continuare a scherzare.

E per Maayan concretizzare l’idea non è stato certo un gioco da ragazzi. Suo padre, Uri Segal, CEO di una madia company, l’ha sostenuta solo a patto che intraprendesse questa avventura come un’opportunità di business e ne ricavasse tutti gli strumenti necessari per il mondo del lavoro, libera di prendere le sue decisioni in autonomia e di sbagliare da sola.

Così Maayan studia. Studia da sola il nuovo sistema di gioco, la qualità migliore di carta e di plastica, i metodi di stampa e di spedizione, i principi del marketing e dell’advertising, seleziona un eccellente illustratore per il design delle sue carte, fino a realizzare una straordinaria campagna di crowdfunding su Indiegogo, la piattaforma degli innovatori e degli early adopter, superando di gran lunga ogni aspettativa.

Insomma il suo stesso impegno è un vero e proprio esempio di imprenditoria femminile, oltre che giovanile, che non può che confermare il necessario cambio di paradigma che per troppi secoli ha visto le regine un gradino più sotto dei re.

Ma la cosa che più sorprende di questa ragazza non sono solo l’entusiasmo e la motivazione, quanto l’umiltà con cui si approccia a questo lavoro: basta scrollare il feed della pagina Instagram di Queeng per rendersi conto della dedizione e della profonda considerazione che ha dei suoi follower, quando, su loro consiglio, decide di dipingere il volto pallido dei suoi jolly, per una maggiore inclusività.

A chi obietta

è solo un gioco

Maayan risponde che non è più questa la percezione con cui vogliamo educare i bambini, ricordandoci che è proprio attraverso il gioco che la bambina e il bambino fanno esperienza e acquisiscono gli strumenti per la vita reale.

E se è vero che la tendenza a giocare è innata, è anche vero che i modi in cui il gioco si esprime, con le sue regole, i suoi oggetti, sono prodotti da una cultura.

Di fatto l’orientamento del mercato del gioco e del giocattolo acutizza sempre più il divario di genere, costituendo mondi separati per l’universo maschile e per quello femminile, alimentando così il falso storico su cui poggia tutta la nostra cultura e il nostro immaginario collettivo.

Ed è così che gli stereotipi si insinuano fin dall’infanzia: nel modo in cui vengono educati i bambini, nelle attività, nei giochi, perfino nelle filastrocche, per poi approdare nella lingua e nel tessuto sociale senza soluzione di continuità.

Tutto questo, spesso, senza che vi sia una reale presa di coscienza del sistema di segni in cui siamo immersi, segni che riescono a passare, per l’appunto, inosservati, camuffati da un falso diritto di natura, talmente son ben radicati nella cultura.

Fin quando non arriva una ragazzina che, con una ventata di aria fresca, riesce a far crollare il castello di carte di tutte le nostre certezze.

Serena Vanzillotta

Ispirato alle tesi numero 14, 16, 17 e 30 del Newtrain Manifesto.

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Serena Vanzillotta
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