10. Auron

Federico Ruysch
Planetarium
Published in
2 min readDec 9, 2015

Ad Auron si era tanto più ricchi quanto più sconfinate erano le riserve di oro sulle quali si poteva fare affidamento.

Sul pianeta si scambiava oro per cibo, e si vendeva cibo per ottenere oro con il quale acquistarne dell’altro. Ad Auron si combatteva e si uccideva, per l’oro. E non si aveva nemmeno più il tempo di chiedersi come mai quel metallo valesse così tanto, giacché il tempo era denaro. Ed il denaro, su Auron, era l’oro. Dunque, la regola era che il tempo fosse oro, sebbene alcuni sostenessero che la vera ricchezza sarebbe riseduta nello scoprire come fare, dell’oro, altro tempo. Tempo da vivere, da regalare, da ardere nella passione o da impreziosire tra i libri. Quelli che credevano nel valore del tempo, però, erano pochi e, il più delle volte, erano poveri in canna; al punto da far sospettare che le loro teorie si fondassero più su un rifiuto della povertà che su una profonda speculazione intellettuale.

La cosa certa è che, ad un certo punto, le quantità di oro disponibili sul pianeta cominciarono a risultare insoddisfacenti: briciole sulla tavola di famelici ed ingordi. Aumentarono gli omicidi e le morti, la povertà assoluta e la smodata ricchezza (come flagelli d’uguale intensità e di segno opposto) dilagarono per le strade e nelle banche. Fino a che, ad un uomo venne in mente di importare altro oro, dalla Luna di Pirra, orbitante attorno al vicino pianeta Deucalion, per far sì che tutti fossero felici. Convinto che, per far ciò, bastasse che tutti fossero ricchi.

Ecco, dunque, che le montagne di Auron furono scavate, svuotate di terra e colmate di oro; e così pure nelle valli iniziarono a scorrere ruscelli d’inossidabile ricchezza fluida, e la sabbia delle spiagge fu sostituita con polvere bionda. Con l’oro furono forgiati fili d’erba e fiori, riproduzioni d’alberi e vitelli.

Sino al giorno in cui gli abitanti di Auron si accorsero che l’oro aveva il difetto di non essere edibile, bevibile, coltivabile…

Ecco perché Auron, oggi, è una lucente distesa di cadaveri, sulla quale, di tanto in tanto, si possono incontrare un femore, una mano scheletrica, una cassa toracica spaccata, oppure un cranio, nel cui sorriso beffardo s’intravvede il lucore d’un dente dorato.

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