7. Pòlemos

Federico Ruysch
Planetarium
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2 min readDec 9, 2015

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Esisteva un pianeta — maculato da ardenti deserti di sabbie dai colori molteplici — che era abitato da genti e da stirpi assai molteplici. Su quel pianeta regnava un uomo corrotto. Un uomo corrotto non più di quanto fossero corrotti — dalla bramosia di potere — tutti gli altri uomini.

Ciò che differenziava il despota dai suoi sudditi era unicamente il fatto che possedeva sufficiente potere per potersi permettere di desiderarne dell’altro. Sufficiente potere per potersi permettere di uccidere, pur di ottenerne dell’altro…

Il despota — signore e sovrano di Pòlemos — aveva deciso di riunire sotto il proprio potere le tante genie che solcavano quelle roventi sabbie con l’ausilio del terrore, della violenza, e della forza.

Accanto ai mercati degli allevatori, il despota aveva quindi posto i soldati del proprio esercito.

Tra le maestre che si recavano a scuola, al mattino, accompagnate dal vociante codazzo degli alunni, erano comparsi i militari nelle divise scure e minacciose.

Dappresso alle botteghe dei panettieri, o nei paraggi delle cartolerie, piuttosto che in quelli delle chiese, carri armati e fuoristrada avevano cominciato a fare la loro comparsa, divenendo ogni giorno più numerosi…

Accadde anche, nella storia di Pòlemos, che qualche capo tribù, avesse rifiutato di sottomettersi al despota e di consegnargli le proprie genti, le proprie ricchezze, e la propria libertà. In quei casi, tuttavia, il despota aveva subito saputo che fare… e ogni oppositore aveva finito i propri giorni penzolando da una trave, con il cappio al collo.

Questa cosa, tuttavia, non passò inosservata.

Accanto a Pòlemos, di fatti, orbitava il pianeta Pàlin VI, governato da un uomo che, eletto dal popolo, decideva anche cose che il popolo non approvava affatto. Una di queste decisioni fu quella di attaccare il despota di Pòlemos, di rovesciare la sua monarchia, e di processarlo in quanto colpevole di troppe morti.

Il despota fu condannato a morte con l’accusa di aver condannato a morte altre persone. E penzolò da una trave, con un cappio al collo, reo d’aver fatto ad altri quello che qualcuno fece a lui.

Il tutto in attesa che qualcun altro vedesse, in quel gesto di giustizia, null’altro che una colpa da punire.

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