Il malinconico romanticismo di Alone With You

Aurelio Maglione
The Shelter
Published in
6 min readSep 27, 2016

Leslie sta avendo un attacco di panico. Si sente viva come non lo era stata da anni, eppure è consapevole di essere un ologramma, la copia di backup delle memorie appartenenti alla sua vera io. Cosa ancora più terribile, sa bene che se ci stiamo rivolgendo a lei in questa forma vuol dire che la sua esistenza mortale è giunta al capolinea. La difficoltà nel processare questi sentimenti le ha procurato un malessere non indifferente e, percependo la sua sofferenza, devo confessare che anche a me sta salendo il magone. Del resto, anche il nostro alter ego non si trova in una situazione rosea.

In Alone With You vestiamo la tuta dell’ultimo sopravvissuto a una catastrofe nota come il “Rift”, la cui spaventosa violenza ha disintegrato la colonia che avevamo contribuito a fondare circa quindi anni prima degli avvenimenti correnti. Stando ai calcoli effettuati dall’IA della base spaziale, ci restano appena tre settimane prima di essere inghiottiti dalle viscere del misconosciuto pianeta in cui siamo stati abbandonati. L’unica speranza che abbiamo è di riparare una vecchia navicella d’emergenza (de facto, l’equivalente spaziale di una scialuppa di salvataggio) e, una volta raggiunta l’altitudine sufficiente, lanciare un SOS nella speranza che venga intercettato da un buon samaritano.

Durante le sezioni esplorative sarà necessario armarsi di scanner e una buona dose di pazienza.

Per quanto immediato, il piano non è affatto di semplice esecuzione. Per riuscire nell'impresa dovremo recuperare una serie di manufatti utili per riparare i propulsori e il sistema di comunicazione della navetta, oltre a immagazzinare abbastanza viveri e carburante da permetterci di portare a termine il nostro viaggio. Come se non bastasse, a causa dei danni provocati dalle piogge acide e dai sismi che stanno flagellando l’atollo dove siamo spiaggiati, la nostra fedele IA ha perso qualche pezzo. Nello specifico, non dispone di tutte le informazioni necessarie per garantire il corretto funzionamento dei sistemi di cui sopra, oltre a come comportarci per gestire le risorse deperibili per noi indispensabili. Per fortuna, all'interno della colonia è presente una sala olografica, nei cui server sono immagazzinate le copie di backup delle memorie di tutti i suoi abitanti (e non solo). In realtà, la struttura è nata a scopo ricreativo, ovvero per concedere un momento di svago a chi, dopo una giornata di duro lavoro, volesse illudersi di fare due passi su una spiaggia terrestre in compagnia dei propri cari. Noi la useremo per tutt'altro motivo: parlare con i colleghi che possano aiutarci per preparare al meglio la nostra odissea.

Leslie si sente viva come non lo era stata da anni, eppure è consapevole di essere un ologramma, la copia di backup delle memorie appartenenti alla sua vera io

Come in Groundhog Day (o, volendo rimanere in ambito videoludico, come in Flower, Sun and Rain) ogni giorno ripeteremo ossessivamente la stessa routine. Dopo esserci svegliate di buon mattino, a bordo del Rover raggiungeremo una delle location segnate sulla mappa alla ricerca delle risorse di cui abbiamo bisogno. Saremo armati unicamente di uno scanner, da utilizzare per ottenere dati sui manufatti che attireranno la nostra curiosità. L’unica difficoltà da affrontare è rappresentata da una serie di enigmi da risolvere per poter raggiungere aree in prima istanza inaccessibili. A onor del vero, gli enigmi in questione sono di una semplicità disarmante, per risolverli dovrete soltanto premurarvi di scansionare con attenzione ogni oggetto presente nelle location visitate. Se la sfida proposta non è certo entusiasmante, girovagare fra i resti della base spaziale è ben più piacevole. Anche il più insignificante dei corridoi contiene manufatti capaci di raccontarci la storia della colonia e dei nostri compagni di dis(avventura), arrivando a tracciare in modo organico un Decamerone di personaggi e vicende degno della migliore letteratura di genere.

How Can Mirrors Be Real If Our Eyes Aren’t Real (Jaden Smith).

Le informazioni raccolte torneranno utili quando, di notte, torneremo alla base per parlare con gli ologrammi dei colleghi che possono fornirci assistenza per equipaggiare al meglio l’astronavicella di salvataggio. In questa fase il gioco si trasforma in un dating sim sui generis dove, mediante un classico sistema di dialoghi a scelta multipla, dovremo cercare di accaparrarci i loro favori, in modo da spingerli a lavorare nel modo più alacre ed efficiente possibile. Come avrete intuito leggendo l’esempio che vi ho proposto in apertura, si tratta di un’esperienza tanto affascinante quanto profondamente disturbante. Non solo gli ologrammi sono consapevoli di essere un semplice backup delle memorie appartenenti a una spoglia mortale — da cui il conflitto lancinante che vivono — ma sono a tutti gli effetti anche una copia incompleta, risalente a diverse settimane (se non mesi) prima della loro dipartita.

Spesso non hanno memoria di accadimenti recenti cui noi abbiamo assistito e/o rivenuto traccia durante il nostro peregrinare. Sarà nostro compito aggiornarli sugli avvenimenti più recenti, raccontando gioie e miserie che hanno esperito nei loro ultimi momenti. Ripeto, si tratta di un’esperienza straniante, termine che probabilmente descrive al meglio Alone With You che, pur giocando con alcuni dei topoi classici della fantascienza (cosa significa davvero essere uomini, il terrore di rimanere soli, l’esplorazione di un mondo alieno), trova una sua identità forte grazie all'ottimo lavoro svolto in sede di scrittura da Benjamin Rivers (il papà del mai abbastanza lodato Home). Persino questa struttura dualistica estremamente ripetitiva che vede un immutabile alternarsi di sezioni esplorative e sezioni da dating sim trova la sua ragion d’essere nel volerci trasmettere il tedio vissuto dal nostro protagonista. A conti fatti, Alone With You vuole essere un titolo vecchia scuola senza compromessi verso le tendenze moderne, come testimonia la veste grafica minimale che fa il verso alle produzioni per Mega Drive. Volendo rifugiarci in un luogo comune, potremmo dire che non è un gioco per tutti, ma quelli che sapranno apprezzarne le asperità ne trarranno grandi soddisfazioni.

Il nostro alter ego non ha volto, non ha nome, non ha storia.

Alone With You è disponibile sul PlayStation Store per PS4 e PS Vita al prezzo di 10 fantadollari. Pur avendolo giocato sulla console ammiraglia di casa Sony, se ne avete la possibilità, vi suggerisco di godervelo in versione portatile, perché un gioco così intimista merita di essere goduto mentre si giace rannicchiati sul divano in posizione fetale. Con ogni probabilità nei prossimi mesi ne vedremo una conversione per PC e, in quel caso, lasciarselo sfuggire sarebbe un vero delitto.

P.S.: Quando il buon Giuseppe Colaneri mi ha segnalato l’esistenza di Alone With You, leggendo il titolo, non ho potuto fare a meno di pensare a Insieme ma soli di Turkle Sherry. In questo celebre saggio, l’autrice spiega come le nuove tecnologie, illudendoci di essere sempre connessi con una immensa comunità globale, finiscano per impoverire le relazioni interpersonali con i nostri cari. A conti fatti, in Alone With You viviamo una situazione analoga. Siamo soli, ma emotivamente connessi con individui che in vita conoscevamo appena e, sebbene siano ormai deceduti, li sentiamo tremendamente vicini. Ora scusatemi, ma vado a tagliarmi le vene.

Mi sono sentito disperatamente solo in Alone With You grazie a un codice gentilmente concesso dagli sviluppatori.

8

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