Ape Out: A Whiplash Official Game

Giuseppe Colaneri
The Shelter
Published in
3 min readMar 24, 2019

C’è qualcosa di liberatorio nei primi livelli di Ape Out. Non tanto perché si controlla un gorilla enorme in fuga da chi vuole contenere tutta la sua vitalità, ma perché si ha la sensazione di essere davvero una potenza della natura in grado di distruggere tutto ciò che è relativo alla sfera “umana”, dalle ossa e membra di chi — vanamente — cerca di fermarti, a vetri, mura e persino porte blindate che, forzatamente, possono rallentare ma non bloccare.

È una sensazione fantastica, quasi catartica. Certamente, come già detto, liberatoria. Sottolineata da crash, cimbali e piatti di una batteria che suona a ritmo del giocatore, mentre altri strumenti compongono un brano di pura improvvisazione jazzistica. Un po’ il contrario di un rhythm game insomma: questa volta è la colonna sonora che si piega ai nostri input, e viceversa. Ci si sente, ancor di più, inarrestabili.

Il ritmo di gioco, la visuale dall’alto e i corpi smembrati ricordano molto Hotline Miami.

E poco conta se si cominciano a inanellare le prime sconfitte. Ci si sente, sempre, perfettamente in grado di farcela. “Se solo fossi stato più rapido” o “se solo, dopo aver usato come scudo umano quel soldato, lo avessi lanciato contro quell’uomo con lo shotgun”, perché Ape Out, seppur mai banale, è semplicissimo: si muove lo scimmione, si usano le braccia per scaraventare cose o persone, o si “arraffano” per scardinare porte blindate o utilizzare soldati come, appunto, scudi umani o proiettili. Semplice, come ho detto, ma mai banale: perché la combinazione di queste poche abilità, unite a un level design magistrale, permette una buona varietà di approcci e situazioni.

Ecco, gli approcci. Perché se nel primo disco (il gioco è formato da quattro capitoli/dischi, ciascuno dei quali diviso in livelli/brani) è possibile attaccare quasi sempre a testa bassa, con il passare degli stage è necessario modificare leggermente attitudine.

Diverse illuminazioni ambientali riportano a diverse palette cromatiche.

Si diventa allora più chirurgici quasi degli Agente 47, ma più grossi e pelosi, con approcci un po’ più “stealth” per poi gettarsi nell’azione quando si è certi di distruggere tutto e tutti. Da dio della guerra vendicativo a una danza, tutta a ritmo di jazz, dove i ruoli di preda e predatore si alternano tra il Gorilla e i suoi aguzzini.

Il gioco poi finisce invece, negli ultimi stage, a ribaltare completamente ciò che si prova all’inizio del gioco. Le minacce sono tantissime, forti e resistenti. Il Gorilla, sempre coriaceo, è molto più in sofferenza e non può più proseguire dritto come una lama nel burro. Ci si sente quindi davvero in pericolo, la corsa diventa una fuga e no, non ci si lancia più nella mischia se non strettamente necessario per la sopravvivenza. Si corre, si sfugge, si incassa persino un colpo se serve a proseguire quanto più speditamente verso l’uscita, verso l’agognata libertà.

Non solo spazi chiusi: alcuni livelli mostrano aree all’aperto decisamente estese.

Perché in Ape Out, oltre lo stile davvero fuori di testa per quanto è bello, c’è anche una leggera metafora ecologista, notabile soprattutto nelle battute finali. Che arrivano dopo circa due ore da quelle iniziali, ma sono talmente intense da farti sentire appagato. Ape Out non dura poco: dura il giusto, e per chi volesse rimpolpare il “monte ore” offre sia modalità aggiuntive che un post-game sicuramente gustosi e ben realizzati.

Insomma, ovunque vogliate acquistarlo, Ape Out è davvero uno dei giochi di maggior impatto di questo 2019. Godetevelo con un buon impianto o delle buone cuffie: l’estasi è assicurata.

Ho giocato Ape Out grazie a un codice download per Steam offertomi dagli sviluppatori. Il gioco è disponibile anche su Nintendo Switch.

9

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Giuseppe Colaneri
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Mi annoio. Quindi vomito idee e parole per annoiare anche voi.