Se Crawl non esistesse, bisognerebbe inventarlo

Andrea Ortenzi
The Shelter
Published in
5 min readApr 13, 2017

Nel mondo del videogioco esiste una bestia infame che ha sostituito quasi completamente il trinomio divano/joypad/birre a profusione del multiplayer locale gomito a gomito, con una connessione a banda larga, cuffie imbottite, energy drink con cannuccia e una serie di commenti poco opportuni indirizzati alla mamma di chi ci ha appena asfaltati, gridati dentro un microfono che è anche la netta linea di divisione fra la nostra goliardata e le cinque dita in faccia che ci meriteremmo. Questa bestia infame è l’internet. Ma c’è un eroe che ci guarda nell’ombra. Il coraggioso che il videogioco merita e di cui ha bisogno, un campione che si batte strenuamente per il sacrosanto diritto di far volare ceffoni e bottigliate appena si oltrepassa la sottile linea che separa le offese che si possono gridare a squarciagola da quelle proibite. Questo campione ha un nome: Powerhoof, che scaccia dal videogioco la glitterata patina del progresso in fibra ottica e ci fa tornare veri uomini, con tutta la dolorosa virilità che il multiplayer locale comporta. Perché io alla mia mamma voglio bene.

Crawl è così bello che non si possono non usare gif nell’articolo.

Crawl non permette soltanto a voi e ai vostri amici di darvele di santa ragione dentro e fuori dallo schermo di un televisore: lo fa introducendo la formula del multiplayer locale in un contesto, il dungeon crawler, che prima del piccolo gioiellino di cui vi stiamo parlando, nessuno aveva mai immaginato da un punto di vista competitivo. I dungeon crawler hanno una manciata di elementi fondamentali da posizionare sulla scacchiera del design: un eroe, mostri a non finire, una secchiata di armi, incantesimi, oggetti e chincaglieria varia per potenziare e personalizzare il proprio avatar, e ovviamente un dungeon. Powerhoof prende tutti questi elementi, li mescola, li rimette sul piatto quasi uguali ma cambia qualcosa, tirando fuori una roba talmente bella che verrebbe da abbracciarli.

Appena decisi i nostri avatar virtuali si viene spediti in un’arena, tutti e quattro insieme, con un punto vita ciascuno. E giù botte, l’ultimo che resta in piedi assumerà il ruolo di eroe; gli altri vestiranno i cenciosi panni di fantasmi impossibilitati a interagire direttamente con il campione in carica, ma capaci di impossessare qualsiasi elemento dello scenario (principalmente trappole, ma anche sedie, scatoloni, quadri, persino scrigni), o di materializzarsi, tramite determinati portali pentacolari, in mostri che di piano in piano acquisiranno esperienza, si evolveranno e diventeranno più pericolosi. L’obiettivo dei fantasmi? L’omicidio dell’eroe, che permetterà al giocatore che ha sferrato l’ultimo colpo di prendere il suo posto, diventando il nuovo “chosen one”. Dal canto di chi veste i panni del campione in carica invece, il traguardo sta nell’uccidere il boss finale, comandato anche questo dai propri compagni di gioco, e fuggire dal labirintico dungeon nel quale è suo malgrado capitato. Per ottenere la possibilità di affrontare l’ultimo, gargantuesco avversario, il nostro dovrà raggiungere almeno il decimo livello di esperienza, conquistabile, va da sé, a colpi di mazzate sulla capa dei mostri impersonati dagli altri.

La morte di questo boss è un tripudio di esplosioni, animazioni e fluidità. Pochi pixel, sì, ma gestiti in maniera ineccepibile.

Il bilanciamento sta tutto in una meccanica tanto semplice quanto efficace: l’esperienza ottenuta dall’eroe verrà mutuata in “wrath” per i fantasmi, che potranno così potenziare il loro parco mostri secondo un albero evolutivo. Ma il gioco di equilibri che garantisce una fruizione perfetta sia al nuovo arrivato che al rodato veterano sta tutta nell’immediatezza della quale è capace il sistema di controllo: quattro tasti (o una levetta) per le direzioni e due pulsanti per attacco e attacco speciale. Punto. Il resto sarà definito dall’arredamento dello scenario, che potrà essere usato dai fantasmi in ogni modo contro l’eroe; dagli acquisti dal fabbro; dalle skill di ogni eroe e mostro e dalla capacità dei quattro allegri compagni di botte di sottrarsi al fendente che decreterà la morte del campione, e quindi un ribaltamento di fronti, o del mostro, e quindi un accumulo di esperienza per il personaggio protagonista.

Facciamo subito chiarezza su un argomento sensibile per quanti ci seguono da un loculo angusto, trenta metri sotto terra, circondati da cibo in scatola, con un secchio utile a sfogare i propri bisogni fisiologici: Crawl non ha nemmeno la più lontana traccia di una componente online. Per non trovarvi costretti ad affrontare png privi di personalità, dovrete contattare almeno un altro essere umano ed invitarlo a condividere pad, tastiera o mouse che sia (c’è una varietà pressoché infinita di modi per giocare al piccolo capolavoro di Powerhoof). Ma, dando per scontato che tutti abbiano almeno un amico, un conoscente, un fratello, una fidanzata o i soldi per convincermi a tenervi compagnia, i motivi per spendere una dozzina d’euro su questo capolavoro abbondano. Sessantuno oggetti, altrettanti mostri, quaranta armi sbloccabili, easter eggs (volete giocare utilizzando Gabe Newell per asfaltare l’eroe di turno? Potete farlo); status alterati quali pazzia o nausea per il vostro eroe, i quali lo costringeranno a fermarsi a vomitare o a muoversi un po’ come pare a lui, e le challenges: piccole sfide accessibili nella voce “vault” del menu principale, nelle quali provare ciascuno dei mostri che avete sbloccato, testandolo sulla pelle di un eroe comandato dall’IA e tentando di batterlo il quantitativo di volte indicato dal “goal” in alto a destra dello schermo.

La quantità di pixel su schermo inversamente proporzionale al livello di dettaglio di ciascuno sprite, e questo rende Crawl bellissimo

E poi c’è da dire che da vedere è bello come il sole, con una quantità di pixel su schermo inversamente proporzionale al livello di dettaglio di ciascuno sprite. Fra rotolate di una morbidezza incredibile, tentacoli che escono di violenza dal pavimento, mostriciattoli che zompettano fluentemente a destra e sinistra e boss che prima di morire si gonfiano fino all’impossibile, per poi esplodere fra pixellosi zampilli di sangue cartoonesco, la prima mezz’ora la passerete boicottati dalla magnificenza vintage di questo capolavoro dell’estetica. Insomma, detto fra noi siete giustificati a non comprare Crawl solo ed esclusivamente se la questione Siriana si è evoluta, se l’incidente nucleare è avvenuto, se siete l’ultimo degli esseri umani rimasto al mondo e, per qualche strano motivo, i server che ospitano questo sito sono ancora misteriosamente attivi per permettervi di leggere troppo tardi queste righe. Se la serie di eventi si è verificata nell’ordine descritto, allora ok, lasciate stare Crawl. Altrimenti andate e spendete gli 11,99 € che costa, finché è in promozione (poi diventano 14,99 €), su Steam, PlayStation Store e Xbox Marketplace.

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