Dead Cells come Super Metroidsoulvania Legacy 2 Turbo HD Deluxe

Mauro Ferrante
The Shelter
Published in
6 min readAug 16, 2018

C’era una volta Dark Souls. Anzi no, questa storia inizia ancora più indietro nel tempo. C’era una volta Castlevania, e adesso non c’è più. Ma forse non è nemmeno l’inizio giusto. C’era una volta Metroid? Ma che importa. Adesso c’è Dead Cells (DC da ora), e andrà tutto bene. Anzi no. Andrà malissimo. Ci saranno morti orripilanti, loot persi per sempre e nefaste parole di rabbia rivolte verso cielo. E sarà bellissimo per questo.

Metroidvania si, metroidvania no, metroidvania bum

Motion Twin, i bravissimi autori francesi di questo “nuovo” (almeno per chi non ha seguito lo sviluppo durante la fase di early access) action 2D amano riferirsi al proprio pargolo come “roguevania”. Con più di qualche run alle spalle si può affermare che la definizione, anche se leggermente viziata, è corretta. DC è, prima di ogni cosa, un action game granitico, costruito intorno a un sistema di combattimento stratificato e appagante. Il colpo della propria arma, la rotolata capace di sfondare le porte, le torrette che trafiggono inesorabili i corpi dei nemici: basterebbero queste goduriose animazioni da sole a rilasciare elevate dosi di endorfina nel cervello. Invece sono “soltanto” (e scusate se è poco) il pilastro portante su cui erigere tutta la struttura.

Per quanto riguarda il versante rogue il nome è abbastanza autoesplicativo: Ogni volta che il nostro avatar, un tenero e scanzonato ammasso di cellule, (ah) morirà (ah ah) verrà resuscitato nell'area di partenza. Ovviamente senza le conquiste fatte sino ad allora in termini di equip e potenziamenti.

Fortunatamente si possono investire le cellule raccolte nei vari livelli per sbloccare migliorie permanenti (scelta più ampia di armi random, possibilità di preservare parte dei soldi e altre amenità varie) in grado di mitigare il reset totale del nostro personaggio. Inutile dire che il margine di progressione dato dal sistema è minimo, e in larga parte la differenza starà nelle mani del giocatore. Nel suo imparare a conoscere i pattern nemici, il funzionamento delle varie armi e i movimenti del proprio personaggio (questo coadiuvato da un sistema di controllo pressoché perfetto). Se avete giocato Rogue Legacy avete già una buonissima idea di come si struttura una partita tipica di DC.

La parte Vania invece è leggermente meno centrata rispetto al resto. No, il problema non sta nella proceduralità dei livello. Incredibile ma vero, ma quello di DC è uno dei sistemi migliori che siano mai stati inseriti nel genere. Lavorando a macro “sezioni” il gioco riesce a mantenere stile e coerenza nei vari livelli senza imbattersi in vicoli ciechi o iterazioni fallate. La parte più sorprendente è come in generale la proceduralità del livello non inficia minimamente il senso di esplorazione dei livelli. Meno ancora la loro coerenza stilistica data un design forte di spiccata personalità e propensione per i colori acidi.

Si ma il Vania quindi? Nella testa degli autori la progressione esplorativa tipica dei Metroidvania qui si esprime attraverso dei power-up permanenti da usare durante le varie iterazioni dei livelli: eliminando il concetto di backtracking (una volta arrivati allo stage successivo non si può tornare indietro in DC), le capacità acquisite torneranno utili nelle prossime run, facendoci accedere a zone segrete se non ad altri livelli creando dei bivi nel percorso verso il boss finale.

Questa parte, a parere di chi vi scrive, è quella che funziona un pochino peggio nell’alchimia generale. Buona parte di queste abilità sono utilizzate solo in modo contestuale per aprire nuovi bivi, non andando a sconvolgere più di tanto gli equilibri del sistema di combattimento o di esplorazione. Per quanto riescano a dare un buon senso di soddisfazione e mettano la giusta curiosità addosso al giocatore di ricominciare la run per trovare altri piccoli segreti, finiscono per essere gradevoli sfumature di contorno che vere e proprie caratteristiche portanti.

What is a man? A miserable little pile of cells

Per la formula del gioco va benissimo così, basta specificare che i pesi dati ai singoli termini nella parola “roguevania” non sono uguali, ma sbilanciati verso il primo. Quindi nel caso cerchiate una esperienza più classica, vicina a Hollow Knight o Axiom Verge, sappiate a cosa andate incontro.

Si tratta di una semplice precisazione e non di una critica. Perché DC è il risultato di un lavoro con così tanta cura e passione che probabilmente sarebbe stato un grande titolo anche se totalmente votato a uno solo dei generi: come roguelike grazie alla varietà di item e al sistema di combattimento. Come metroidvania per il senso di esplorazione, le splendide mappe e le abilità di crescita.

Coraggiosamente sceglie la strada ibrida, riuscendo a trovare un giusto compromesso tra le due anime grazie a un livello di sfida equilibrato e appassionante. Il più grande dubbio di chi vi scrive era che passato l’entusiasmo iniziale ricominciare ogni volta il gioco da (quasi) zero affrontando continuamente le prime aree potesse mostrare il fianco a una rapida saturazione. Non a caso invece le prime aree sono quelle più limitate e brevi (si possono concludere in pochissimi minuti) solo per ridare una prima forma alla propria build prima di scegliere il percorso verso i livelli più avanzati, più densi e articolati dove il titolo dischiude tutte le sue meccaniche migliori.

Le morti premature non sono quasi mai ingiuste: come sempre l’esperienza accumulata pad alla mano e la scelta più oculata dell’equipaggiamento rendono maggiormente tollerabili gli errori nelle zone più pericolose mentre si progredisce verso la fine. Fine che rappresenta solo un preconcetto nella testa del giocatore visto che ben presto il vero obiettivo diventerà sbloccare i numerosi item per provare le numerose build capaci di cambiare radicalmente l’approccio al gioco.

L’errore più grande, in DC, è quello di approcciarlo come un Dark Souls. Con ansia, con parsimonia, stando attenti alle singole mosse. Ecco questo è il modo migliore per morire dopo pochi minuti e farsi prendere dalla frustrazione. DC va giocato correndo, saltando da una piattaforma all'altra, riempiendo lo schermo di ghiaccio e fiamme, rushando attraverso i livelli per superare delle porte a tempo (una simpatica variante che integra lo speed-run nel core di gioco) senza temere di morire.

Qualche cellula persa, un nuovo item addosso e via, senza respiro, senza pause, un ritmo indiavolato battuto a tempo sulle note di una colonna sonora perfetta a rimarcare il concetto. Insomma se si passa lo scoglio iniziale e si prende familiarità con l’ambiente di gioco, DC sa conquistare il cuore del giocatore con il suo mix frenetico di combattimento e esplorazione, unito a una ottima varietà di build che garantiscono approcci diversi a ogni partita.

In mezzo a tante uscite recenti — Chasm o Death’s Gambit — che hanno rianimato il genere dei Vania e degli Action 2D in generale, il titolo Motion Twin spicca non solo come il migliore titolo indie che potrete giocare quest’estate, ma anche come valido candidato al migliore titolo indie che potrete giocare quest’anno.

Un piccolo inciso tecnico: se la versione console e quella PC sono ormai stabili grazie a più di un anno di Early Access, la versione Switch (quella provata in questa sede) sembra avere qualche piccola magagna. A onore del vero, e sapendo che il commento di una persona ha poco valore contro quello di vari forum, non ho riscontrato nessun problema di framerate o altro se non, in modo veramente molto sporadico, un leggero stuttering in alcuni punti che non ha mai compromesso la partita.

Motion Twin è comunque al lavoro su una patch risolutiva, ma in generale il gioco risulta assolutamente godibile su console Nintendo, tanto in dock che ovviamente in modalità portatile dove il titolo si presta divinamente a una sessione “mordi e fuggi”. In generale tutto il lato tecnico del gioco come pulizia e solidità è assolutamente encomiabile.

9

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Mauro Ferrante
The Shelter

Prima o poi troverà un lavoro serio, nel frattempo parla di videogiochi, scrive di videogiochi e pare addirittura stia provando a farne uno.