Happy! è un viaggio nell’orrore della pedofilia

Giuseppe Colaneri
The Shelter
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3 min readMay 2, 2018

Quando qualcuno mi chiede chi è il mio autore di fumetti del cuore, rispondo subito — senza nemmeno doverci pensare troppo — “Grant Morrison”. Il pelatone di origine scozzese è la penna dietro alcuni dei miei fumetti preferiti, tra cui cito All Star Superman, The Invisibles, Flex Mentallo e la sua gestione di Animal Man. Opere stratificate, degne di significati e certamente autoreferenziali, come solo un autore eccentrico — e diciamolo, megalomane — come lui sa fare.

Questo Happy! invece, recentemente ristampato da Bao Publishing in occasione dell’omonima serie tv di Netflix, è invece un hard boiled molto classico, un “racconto di genere” privo dei trip mentali tanto cari ai fan di Morrison, ma che comunque trasuda la maestria di una delle penne più celebri di tutto il panorama fumettistico attuale.

Il rapporto tra Nick e l’amico immaginario Happy è centrale

Il tratto di Darick Robertson introduce Nick Sax, ex poliziotto dai metodi ben poco ortodossi alle prese con guai personali, violenza e una città dove il degrado striscia tra le decorazioni e le luci di un Natale la cui finta e ostentata gioia risulta quasi grottesca. Se inizialmente le vicissitudini di Nick e del suo “amico immaginario” Happy sembrano quasi inserirsi in quel filone — di cui Garth Ennis è maestro — di violenza paradossale, sarcasmo e ironia, pagina dopo pagina ci si accorge che il racconto si fa sempre più cupo, fino a mostrare la sua vera natura: quella di un hard boiled che si muove nel territorio dell’orrido della pedopornografia, perversione che non sembra risparmiare ben poche persone nel mondo di Happy!.

Tra il candore della neve, il rosso del sangue e il grigiore delle metropoli sembra quasi di sentire il fetore e il putridume di questo mondo corrotto, in un racconto che scorre via piacevolmente, pur senza particolari acuti, fino all’ultima pagina, dove i diversi nodi vengono al pettine e, finalmente, si vede un barlume di speranza nell’auspicato lieto fine. Non mancano ovviamente qui e lì alcuni tratti comuni all’operato tutto di Morrison, tra cui un’accennata ma sensibile vena anticlericalista presente nella parte centrale del racconto.

Non mancano momenti più ironici

Insomma, Happy! non è certamente IL capolavoro di Grant Morrison né uno dei fumetti più memorabili usciti negli ultimi anni. È una buona “opera di mestiere” che riesce a intrattenere il lettore pur non lesinando mai dettagli raccapriccianti sull’orrido mondo — che appare tanto reale e palpabile — in cui si muovono i suoi protagonisti vignetta dopo vignetta. Un racconto con personaggi che aderiscono ai canoni più classici dell’hard boiled a cui magari non ti affezioni, ma che, nel loro essere archetipi, funzionano nel dipingere questo affresco di sangue, sparatorie e violenza.

Ho letto Happy! grazie a una copia digitale gentilmente offertami da Bao Publishing. Le immagini si riferiscono alla pubblicazione in lingua inglese, ma il volume edito da Bao è totalmente in lingua italiana.

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Giuseppe Colaneri
The Shelter

Mi annoio. Quindi vomito idee e parole per annoiare anche voi.