Il doppiogioco di Phantom Doctrine

Francesco Riccobono
The Shelter
Published in
6 min readAug 20, 2018

Con l’uscita di XCOM: Enemy Unknown nel 2012 e di XCOM 2 quattro anni dopo, la passione e l’interesse per gli strategici a turni è rinato, dando vita a nuovi interessanti progetti come Xenonauts o lo strano Hard West, oltre a scissioni e separazioni in casa Firaxis che si spera partoriranno presto il tanto atteso Phoenix Point. Nel mentre però, dopo l’ottimo Hard West, CreativeForge Games ha deciso di non starsene con le mani in mano e ha continuato sull’ondata della sperimentazione: un intento nobilissimo che appezzo più di ogni altra cosa, anche e soprattutto vista la loro attitudine nel mescolare elementi di varia natura riuscendo a creare cocktail di gameplay piuttosto interessanti.

Lo stesso è stato fatto con Phantom Doctrine: ambientato in piena guerra fredda, ci vedrà indossare i panni di un ex spia della CIA o del KGB (con due campagne parallele, ma diverse) alle prese con un’investigazione fuori dagli schemi. Un incipit piuttosto innovativo, soprattutto se consideriamo che, a memoria, l’unico altro gioco di spie in tempi recenti è stato Alpha Protocol uscito ben otto anni fa. Certo, di assassini, agenti segreti con libertà di uccidere e altro ne abbiamo in quantità, ma se Phantom Doctrine riesce a giocare una carta con grande efficacia è quella di offrire la possibilità di intervenire in maniere diverse prima di rischiare di arrivare allo scontro armato.

Durante l’infiltrazione potrete compiere i vostri compiti nel più totale silenzio, ma attenti ai civili posizionati A CASO nelle mappe.

Ciò avviene grazie alle tante e diverse possibilità che avremo a disposizione nelle varie città che dovremo tenere sotto controllo. In base a quando un’attività nemica avrà inizio, avremo un lasso temporale nel quale potremo inviare agenti, sabotare, pedinare, rallentare l’azione nemica o vedercela direttamente faccia a faccia nella speranza di evitare cose brutte. In quanto agenzia di spionaggio, non potremo certo permettere di far cadere informazioni vitale nelle mani sbagliate, abbandonare ostaggi o informatori, o permettere ad agenti speciali nemici di fuggire. Ecco quindi che il setting spionistico prende forma e riesce a colpire da subito sia per la novità sia la discreta alternativa d’approccio rispetto ai grandi nomi del genere.

Avremo un lasso temporale nel quale potremo inviare agenti, sabotare, pedinare, rallentare l’azione nemica

Ciliegina sulla torta di CreativeForge Games sono però le interessanti variazioni offerte per la gestione della base: dalla nostra posizione di partenza potremo spedire agenti in giro per il mondo per trovare nuove basi dove spostarci, fare ricerche tecniche e scientifiche fino a spingerci al lavaggio del cervello su spie nemiche (catturate) o cambiare l’identità dei nostri agenti nel caso in cui venissero riconosciuti. E ancora, potremmo creare agenti sopiti e attivarli con una parola d’ordine, ma la cosa più interessante è che tutto ciò sarà applicabile anche al contrario, tenendoci quindi sempre sul chi va là nel caso di situazioni ambigue e sapendo che ogni arma a nostra disposizione potrà essere usata anche contro di noi.

Per di più, durante il gioco otterremo delle informazioni che dovremo esaminare: durante questi momenti ci metteremo davanti a un bel muro appendendo foto, documenti e stralci di comunicazione all’interno dei quali dovremo recuperare delle informazioni chiave. Sarà poi nostro compito creare connessioni per riuscire a trovare un senso a ogni fascicolo, scoprire nuove risorse da sfruttare, o da eliminare, e immergersi sempre di più nel contesto storico-politico del gioco.

Le analisi dei fascicoli sono dei simpatici mini-giochi che allungano il brodo tra una missione e un’altra; niente di che, ma apprezzabile.

Se quindi sul piano tematico CreativeForge Games non sbaglia mezzo colpo, così come già avvenuto con Hard West in fondo, sul piano tecnico purtroppo Phantom Doctrine non riesce a reggere la botta. Prima di tutto è bene specificare che il gioco non è esattamente concepibile come un clone o un’alternativa a XCOM, proprio per via delle sue peculiarità concettuali. A esclusione degli agguati, le missioni a nostra disposizione saranno interamente completabili senza sparare un colpo, magari compiendo tutte le azioni richieste in incognito senza far scattare alcun allarme. Non è sempre possibile ma questa natura spionistica e questo approccio investigativo (che ci permetterà anche di raccogliere i documenti delle analisi dette sopra) differisce molto da XCOM. Per assurdo, sembra quasi più di giocare a Commandos, perdendo però tutto il bello del tempo reale nell’analisi dei pattern di pattuglia, delle abitudini dei png e dell’enfasi dell’azione.

A sottolineare ulteriormente la differenza con il colosso Firexis interviene anche il sistema degli scontri. In Phantom Doctrine non è presente alcuna percentuale di successo nel colpire il nemico: il nostro (e il suo) colpo andrà sempre a segno, con l’unica differenza che il danno potrà essere ridotto in base all’equipaggiamento, a status particolari o alla copertura parziale o totale in cui ci troveremo. Questa bella idea però viene meno nel momento in cui, negli scontri a fuoco, non solo ci sarà sempre una netta disparità tra le nostre forze e quelle schierate dal nemico, ma anche dal fatto che la linea di tiro e la nebbia di guerra avranno valori assolutamente relativi (come dimostrato qui sotto). Ecco quindi che, se per un caso remoto, il vostro personaggio dovesse essere visibile a un nemico dall’altro alto della mappa, non importa arma, distanza o qualsiasi altra velleità, sarete inevitabilmente colpiti.

Non è molto chiaro, ma il mio personaggio si trova dietro a un muro, il nemico sta al chiuso, in una stanza, dall’altro lato del magazzino.

E questo è un peccato, un enorme peccato, perché nonostante la ripetizione delle idee interessanti possa sembrare leggermente meccanica seppur divertente sul lungo termine, avere a che fare con tutte queste scelte di design macchinose e stressanti rovina definitivamente il piacere di procedere. Nel voler fare le spie saremo sempre limitati dai turni anche nei casi in cui non ci sia alcun pericolo o non si infranga alcuna proprietà privata (dovendo attendere le tempistiche di movimento del nemico, turno per turno); quando poi ci si trasformerà in agenti armati e pronti a far esplodere teste, il risultato finale sarà un’eterna lotta con colpi impossibili nella speranza che non crepi nessuno. Certo, in XCOM le fatalità erano decise da un lancio di dado, ma la sua struttura e la soluzione rispettavano delle regole fondamentali di ingaggio per le quali non rischiavi di perdere una missione (o un agente) per qualcosa di non chiaro o senza senso.

Si aggiunga anche una traduzione italiana di qualità scadente (benché gli sviluppatori stiano lavorando alacremente per sistemare), un tutorial poco chiaro e poco esaustivo, e la quantità di informazioni che vi saranno tirate addosso fin da subito e capirete bene che il nocciolo del problema sta tutto nella maniera in cui Phantom Doctrine è stato realizzato e non tanto su come è stato pensato. Al contrario, con alle spalle uno studio con molta più esperienza e una visione ben più chiara di cosa offrire, probabilmente Phantom Doctrine sarebbe stato un passatempo magnifico nell’attesa di Phoenix Point. Purtroppo però, allo stato attuale si tratta di un gioco con enormi angoli da smussare sui quali chiudere un occhio fino a quando (a breve) questi non verranno risolti; il che aggiungerà anche un voto pieno in più a fine recensione. Di certo è che, con Hard West, i ragazzi di CreativeForge Games avevano fatto un lavoro più che egregio: mi sento di dar loro fiducia e augurare che tutto si sistemi. Nel caso vogliate lanciarvi subito, trovate il gioco su Steam e console varie a 40 euro.

Ho pulito la carabina per il mio marine ex-CIA e la mia ex-KGB seducente grazie a un codice gentilmente offerto dagli sviluppatori.

7

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Francesco Riccobono
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Translator and Language Project Lead, gamer and entertainment lover, editor-in-chief of https://theshelter.online/