Il neo-classicismo di Dragon Quest VII

Lorenzo Bonaffini
The Shelter
Published in
4 min readOct 25, 2016

Per iniziare un serio discorso di analisi su Dragon Quest VII è impossibile prescindere dalla sua natura, immutata nel corso degli anni. L’ideologia di fondo della saga targata Enix, e perpetrata con ancora più forze dopo la fusione con Square, è sempre stata quella di portare avanti un modello di gioco di ruolo il più classico possibile. Il JRPG nella sua forma più cristallina, ricordando gli albori di un genere che Dragon Quest ha sostanzialmente inventato. L’annuncio di un remake di un titolo che già nel suo originale su PlayStation si era configurato come uno dei più tradizionali della serie, poneva delle serie domande su cosa sarebbe stato svecchiato e su quanto un titolo del genere potesse essere adatto ad un’operazione del genere.

Proprio a causa del suo arroccamento su una posizione conservatrice, la serie di Dragon Quest ha sempre faticato ad imporsi sul nostro mercato, rimanendo un gioco che in Occidente veniva recepito eccessivamente nostalgico. A patto, ovviamente, di non avere una passione smodata verso il gioco di ruolo giapponese all’antica. Negli ultimi anni qualcosa è cambiato, e qui da noi sono arrivati anche una serie di progetti collaterali che a tutti gli effetti dovranno seminare il campo prima dell’arrivo del nuovo capitolo principale della serie.

Così, dopo tre anni dalla sua uscita in Giappone, giunge anche da noi questo remake per Nintendo 3DS. In Giappone Dragon Quest è una serie che a livello di immaginario collettivo non ha nulla da invidiare ai mostri sacri che siamo abituati ad osannare in Europa, ma effettivamente è lecito porsi qualche dubbio “culturale” nel tentativo di capire se in Occidente un gioco del genere può ancora funzionare su larga scala. Può funzionare in Europa un gioco che da sempre è stato pensato per un mercato giapponese decisamente meno refrattario ad iterazioni del JRPG che risultano già vecchie in partenza?

L’idea di fondo delle tavolette e delle isole da esplorare ci porterà in un mondo immenso

Dragon Quest VII non fa nessun passo in avanti, ad eccezione di alcuni resi obbligatori per ontologica trasformazione del genere nel corso degli anni, e ci tiene a farci sapere sin da subito che ci vuole trasportare in un mondo dove gli stilemi del JRPG sono rispettati e onorati. Il remake vero e proprio è fatto più su una componente grafica al passo con i tempi e su una mappa del mondo rivista totalmente. Esplorarla sarà più gradevole anche se molti degli spazi risulteranno un po’ vuoti nella loro immensità, senza dimenticare qualche piccolo problema tecnico come un fastidioso pop-up di alberi e edifici.

Non aspettatevi grande profondità nella storia. Dragon Quest si presenta più come una collezione di piccole storie indipendenti tra loro, anzichè mostrarci una grande narrazione univoca.

Lato gameplay i cambiamenti, come dicevamo, riguardano alcuni piccoli aspetti che ora come ora riterremmo imprescindibili. La visibilità degli incontri, ad esempio, che abbandonano una casualità ormai non più sostenibile in un gioco moderno, ma anche dei combattimenti a turni che utilizzano una via di mezzo tra la prima persona classica e una terza persona in cui si vedono combattere i componenti del party. Nonostante questo il cuore del gioco rimane pressoché identico, l’idea di fondo delle tavolette e delle isole da esplorare ci porterà in un mondo immenso, pieno di attività collaterali, che garantisce tranquillamente le centinaia di ore di gioco. Complessivamente l’operazione è fatta con professionalità, se avete amato l’originale Dragon Quest VII sarete contenti di tornare sugli stessi lidi di sedici anni fa, se già ai tempi ritenevate anacronistico il tentativo di Enix allora non vi ricrederete.

Basti pensare all’interminabile parte introduttiva, in cui per ore il facchinaggio estremo vi obbligherà a scarpinate da una parte all’altra della mappa, o a un battle system che impiegherà decine e decine di ore per aprirsi e svelare tutto il suo pieno potenziale in un sistema a classi che invece, sì, ha ancora qualcosa da dire nel 2016. Anche la localizzazione ci porta dalle parti della tradizionale goliardia da JRPG, un po’ infantile, tutto il mood generale non vuole prendersi sul serio. Nei dialoghi è stata fatta una vera e propria operazione filologica nel tentativo di restituire le atmosfere dell’originale giapponese, completamente stravolte dalla localizzazione effettuata nel 2000. La trama non molto originale, nonostante qualche tocco più dark che avrebbe potuto essere sfruttato di più, è corroborata dal character design di Akira Toriyama, che fornisce un tratto manga anche qui nel segno della classicità estrema.

Il sistema di battaglie è probabilmente la cosa più riuscita di Dragon Quest VII, e in questa veste risplende davvero. Seppur con qualche decina di ore di ritardo.

Dragon Quest è un gioco con un’anima precisa, che non intende fare nessun tipo di sconto a chi pensa che il JRPG debba andare avanti. Questo remake ci porta un fulgido esempio di tradizionalismo, seppur ammantato con una veste decisamente più lucente e al passo con i tempi. Tutto questo al netto di alcuni lati di gameplay apprezzabili da chiunque, come il sistema delle vocazioni, ossia quel class-system di cui parlavamo qualche paragrafo e che a tutti gli effetti rende vario e divertente un sistema di battaglie altresì molto classico. Nulla di nuovo sotto il sole, il job-system di Final Fantasy V, in tempi antichi, o il sistema di classi in Bravely Default, per parlare di tempi moderni, ci hanno già fatto vedere declinazioni del genere, ma rimane comunque uno dei lati migliori del gioco.

Il voto finale deve quindi rendere giustizia ad entrambe le categorie di fruitori che si approcciano al titolo, magari molti per la prima volta senza essere passati dall’originale. Potete benissimo considerarlo come più basso di due punti se fate parte di quelli che non sopportano questo tipo di iterazioni neo-classiche del gioco di ruolo alla giapponese, o alzarlo anche di un punto se invece adorate rituffarvi nei meandri del JRPG più vicino alle sue origini.

Ho solcato i mari e esplorate le isole del vastissimo mondo di Dragon Quest grazie ad un codice gentilmente offerto da Nintendo Italia.

7

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Lorenzo Bonaffini
The Shelter

Avrebbe voluto essere il capitano di un rimorchiatore, invece si ritrova a scrivere di videogiochi.