Il piacere proibito della quotidianità

Aurelio Maglione
The Shelter
Published in
5 min readMar 23, 2017

Il 9 gennaio 2007, un ometto emaciato presentava una delle più importanti invenzioni di sempre: l’iPhone. In quel momento, i cellulari cessavano di essere dei telefoni portatili per trasformarsi negli innesti artificiali preconizzati dalla letteratura cyberpunk, capaci di garantire un collegamento permanente con la Matrice e potenziare le caratteristiche psichiche del possessore. Sono convinto che quel martedì di ormai dieci anni fa verrà ricordato come una data spartiacque nella Storia, non solo l’inizio di una terza rivoluzione industriale ma un profondo stravolgimento dei paradigmi sociali e un nuovo passo nell'evoluzione della specie. Del resto, l’Uomo post-smartphone è una creatura ben più sviluppata del suo predecessore. La protesi hi-tech con cui vive in simbiosi vanta una potenza di calcolo straordinaria, infinitamente superiore rispetto quella degli elaboratori utilizzati dai suoi avi per sbarcare sulla Luna.

La pervasività delle connessioni internet gli garantisce accesso istantaneo a un compendio di conoscenze virtualmente infinito, ponendo rimedio alle limitate capacità umane di apprendimento e memorizzazione. Come se non bastasse, piegando i limiti imposti dal tempo e dallo spazio gli consente di stabilire comunicazioni immediate con i suoi simili, ovunque essi siano. Infine, funge da scatola nera della sua esistenza, conservando una traccia tangibile di ogni istante che vorrà memorizzare. Una vera e propria copia di backup della sua anima, comodamente salvata su memorie dalle dimensioni microscopiche.

L’ometto emaciato.

Non esagero se affermo che smarrire un qualcosa (usare il termine “oggetto” mi sembra riduttivo) di così personale come lo smartphone sia un’esperienza traumatica. Sapere che i propri ricordi più intimi non solo sono andati perduti, ma sono potenzialmente finiti alla mercé di uno sconosciuto è un pensiero inquietante. Forse proprio per questo motivo sono rimasto così ammaliato da quelli che i giornalisti d’oltreoceano hanno iniziato a definire come “lost phone simulator”. In sintesi, si tratta di particolari avventure grafiche dove l’interfaccia di gioco simula il sistema operativo di un cellulare che abbiamo fortuitamente ritrovato. Consultando i file contenuti al suo interno (siano essi foto, video, mail o messaggi) dovremo risalire all'identità del proprietario in modo da poterglielo restituire. Come è facile intuire, i titoli in questione basano il proprio fascino su due pulsioni contrastanti. Da un lato, la naturale tendenza altruistica del voler aiutare una persona in difficoltà; dall'altro il piacere voyeuristico derivante dallo scoprire segreti che dovrebbero esserci preclusi.

L’Uomo post-smartphone è una creatura ben più sviluppata del suo predecessore

Tralasciando Replica, di cui il buon Lorenzo vi ha già parlato sulle nostre pagine, il mio primo approccio con il genere è avvenuto con quel Sara is Missing che Swery65 (autore dei mai abbastanza lodati Deadly Premonition e D4: Dark Dreams Don’t Die) ha indicato fra i suoi dieci giochi preferiti dell’anno scorso. A metà fra un creepypasta e una riflessione sulle criticità derivanti dall'utilizzo delle moderne tecnologie, propone una storia dove elementi paranormali si fondono con i topoi della fantascienza distopica à la Black Mirror. In questo guazzabuglio di ispirazioni così contrastanti, l’elemento di maggiore interesse è rappresentato dal modo genuino in cui vengono mostrate le interazioni fra Sara e i suoi amici, dando vita a uno spaccato tanto credibile quanto intrigante. In fin dei conti, è proprio questo il filo conduttore che lega i vari lost phone simulator: il fascino che le scene di vita quotidiana assumono quando diventano un piacere proibito, il gusto di varcare quel labile confine fra giusto e sbagliato pur di soddisfare la propria curiosità.

Se avete apprezzato Pony Island dovete assolutamente provare Sara is Missing.

Si pensi a Mr. Robot:1.51exfiltrati0n di Night School Studio, a cui dobbiamo quell’Oxenfree che, secondo l’umile parere del sottoscritto, rientra di diritto fra i migliori videogiochi degli ultimi dieci anni. Si tratta di un tie-in dell’omonimo drama ideato da Sam Esmail, i cui eventi si svolgono fra la quinta e la sesta puntata della prima stagione. Dopo aver rivenuto il cellulare smarrito da Darlene, verremo costretti ad assisterla nel tentativo di hackerare una serie di obiettivi sfruttando la famigerata ingegneria sociale.

Nonostante sia un discreto fan della serie televisiva, dubito che fra qualche anno avrò ancora memoria delle missioni proposte da exfiltrati0n, per quanto le ritenga sinceramente esaltanti. Senza ombra di dubbio, l’elemento che ricorderò è il “Group MMS”, una multichat nella quale verremo aggiunti a nostra insaputa. Inizialmente, leggere le chiacchiere di questo branco di sconosciuti sarà fonte soltanto di fastidio. Eppure, notifica dopo notifica, inizieremo ad affezionarci al nostro Seinfeld personale (per citare la stessa Darlene), a questa finestra su un microcosmo così affascinante nella sua banalità.

A Normal Lost Phone replica con grande efficacia l’interfaccia dei moderni smartphone.

Questa breve carrellata si chiude con A Normal Lost Phone, un gioco che fin dal titolo sottolinea la volontà di focalizzarsi sulle vicende quotidiane di Sam, un’adolescente come tante altre. Sarò onesto, non mi è facile criticare l’opera di Accidental Queens, sia per l’eccellente lavoro svolto in sede di scrittura dal team di sviluppo, sia per il merito di affrontare un tema non banale come le difficoltà che può incontrare una giovane transessuale nel venire accettata da amici e familiari. Eppure, provandolo ho sentito una spiacevole sensazione di disagio a causa di alcune scelte di design quantomeno controverse.

In primis, non ci verrà mai chiesto di provare a contattare la ragazza e/o un qualche suo conoscente per restituirle lo smartphone. Fin da subito, il nostro obiettivo sarà unicamente quello di ficcare il naso fra i suoi affari personali. Come se non bastasse, per poter giungere all'epilogo dovremo interagire con alcuni suoi contatti impersonandola, fornendo loro delle informazioni che potrebbe aver voluto non rivelare. Come nel mai abbastanza lodato Spec Ops: The Line, l’unico modo per “vincere” la sfida morale proposta da A Normal Lost Phone sembra essere quello di smettere di giocare prima di completarlo, e forse è giusto così.

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