Ishiro Honda sarebbe orgoglioso di Shin Godzilla

Alessandro Di Romolo
The Shelter
Published in
4 min readJul 6, 2017

Nel cuore dell’appassionato di kaiju eiga convivono due anime. Una è ben rappresentata da un adulto un po’ snob a cui piace pensare di essere maturo e che ritiene che contornare un film di mostri che distruggono palazzi con una storia profonda e personaggi umani ben costruiti sia un bel modo di nobilitare questo guilty pleasure. L’altra è invece un bambino iperattivo, che vuole solo vedere effetti speciali spacca mascella e i mostri prendersi a mazzate a un ritmo che non conceda nulla alla noia.

Per quanto sia un momento d’oro per i monster movie, quasi sempre una delle due personalità deve turarsi il naso e lasciare che l’altra si diverta: a volte tocca all'adulto (Kong: Skull Island), meno spesso al bambino (Monsters); di solito bisogna essere accomodanti e accontentarsi di buoni prodotti che tentano di mediare senza riuscirci (Colossal, Godzilla di Gareth Edwards), e in alcuni casi il compromesso è addolcito da un risultato estremo ma clamoroso (The Host, Pacific Rim). Tuttavia, si sente la mancanza di un kaiju eiga che, come il capostipite del 1954, riesca a mettere insieme forma e contenuto senza che nessuna delle due componenti prevalga sull'altra. O, per meglio dire, “si sentiva la mancanza”.

Shin Godzilla è esattamente come dovrebbe essere un erede del Godzilla di Ishiro Honda: politico, critico e distruttivo. Un vero Godzilla, uno dei migliori tra i 29 prodotti dalla Toho. Diretto da Hideaki Anno e da Shinji Higuchi, entrambi veterani della serie animata Neon Genesis Evangelion, Shin Godzilla è il primo episodio dell’era reboot della saga. Mentre le autorità indagano sul crollo dell’Aqua Line della baia di Tokyo, un mostro marino risale il fiume Tama e approda sulla terraferma, puntando deciso verso la capitale del Giappone. Il primo a teorizzare l’esistenza della creatura è il vice capo segretario del gabinetto Rando Yaguchi che, mentre i capi di governo discutono su come affrontare l’emergenza, mette in piedi un team per trovare un metodo per sconfiggere Godzilla senza il ricorso alle armi nucleari.

Shin Godzilla è un kaiju eiga che spiazza chi si aspetta solo mostri e devastazione. La struttura narrativa può riassumersi in una reiterazione di alternanza tra eventi catastrofici e lunghe sequenze in cui colletti bianchi attorno a un tavolo discutono di cose che non conoscono: si è aperta una voragine in un tunnel, facciamo una riunione. È arrivato un mostro marino, spostiamoci nell'altra stanza e facciamo una riunione. Il mostro è approdato sulla terra ferma, spostiamoci nell'altro ufficio al quarto piano e facciamo una riunione. Il mostro lancia raggi atomici dalla bocca e dalle placche dorsali.
Spostiamoci nella sala riunioni affianco e facciamo una riunione. Shin Godzilla è tutto così, per due ore circa. Ed è meraviglioso.

Lo è perché le scene delle riunioni (statiche per definizione) sono montate in maniera frenetica, dinamica, quasi come se fossero scene d’azione, e quindi nonostante i fiumi di parole, di nomi e di nozioni Anno e Higuchi non mollano mai le redini del racconto e non permettono al pubblico di perdersi o di sbadigliare. Uno spettacolo verboso, senza dubbio, ma mai didascalico. È un eccellente disaster movie, perché la distruzione e la disperazione sono tangibili, non posticce e caricaturali come in alcuni degli episodi recenti della saga; Godzilla è inquietante, ha una posa innaturale con i palmi delle mani rivolti verso l’alto e l’espressione ebete dei giganti di Attack on Titan (Higuchi ha diretto l’adattamento live action dell’anime), e sembra davvero inarrestabile. Ma, per quanto metta una paura fottuta, non è l’elemento più spaventoso del film.

Shin Godzilla è un kaiju eiga che spiazza chi si aspetta solo mostri e devastazione

Shin Godzilla è una feroce critica nei confronti dell’immobilismo del governo giapponese (e più in generale, delle forme di democrazia). Il frazionamento delle responsabilità rallenta l’intervento: ogni decisione deve passare al vaglio di un numero incontrollato di organi, funzionari ed esperti in materia che, spesso e volentieri, pur di non mettere a repentaglio la propria reputazione preferiscono lavarsene le mani; una situazione d’emergenza che richiede provvedimenti tempestivi viene ingolfata da una serie di impedimenti burocratici. Un sistema fallace che, a dispetto degli intenti democratici, converge verso un uomo solo al comando: il Primo Ministro, costretto a compiere scelte sbagliate che poggiano su informazioni obsolete, perché le notizie di cronaca corrono più veloci della catena di comando. Solo lo spettro di un nuovo bombardamento nucleare sul Giappone catalizza il processo decisionale e permette una risoluzione illuminata: Anno e Higuchi si scoprono non tanto interventisti (le azioni militari si rivelano quasi sempre inefficaci, se non addirittura più distruttive di Godzilla stesso), quanto piuttosto sostenitori dell’approccio scientifico. E il finale, segnato da uno spirito di convivenza con l’elemento naturale distruttivo, è la firma in calce a un’opera che non poteva essere prodotta al di fuori del paese del Sol Levante.

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