Knights of the Old Republic e il Ruolo nella Forza

Carmelo Baldino
The Shelter
Published in
27 min readDec 21, 2015

L’attesa è finalmente terminata. Il timore di una catastrofe di dimensioni colossali, capace di creare una vera e propria “ferita nella Forza”, è ormai solo un brutto ricordo. Ho visto Star Wars Episode VII, mi è piaciuto e vissero tutti felici e contenti (“Il Trota” come villain potevano evitarmelo però). Quelli che invece non avranno mai un lieto fine sono i Sith e Jedi che da mesi se le danno di santa ragione sul web. Il dualismo assoluto che le due fazioni alimentano è perfettamente in linea con i lati della Forza raccontati nell’esalogia di George Lucas: difesa contro attacco, pace contro rabbia, equilibrio contro assolutismo, fedeltà contro ribellione. Ma in questo scenario caotico voi nerdoni con la maglietta “May the Force be with you”, dopo tutti questi anni a parlare di Lato Oscuro, Lato Chiaro, midi-chlorian e doppio scappellamento a destra, vi siete mai chiesti cosa sia veramente ‘sta Forza e come si possa “ferire”? Le spiegazioni si sprecano ma una delle migliori resta quella del vecchio Ben Kenobi, che andò dritto al punto in Una Nuova Speranza: “La Forza è un campo energetico creato da tutte le cose viventi…ci circonda, ci penetra, ma tiene unita tutta la galassia”. Semplice, sintetico e senza la menata dei midi-chlorian.

Il vero problema è che sul grande schermo questa filosofia non viene mai approfondita al punto tale da capirne davvero natura, sfumature e implicazioni morali. Ci siamo sempre fatti guidare da un equilibrio forzatamente binario, spesso dimenticando che lo stesso Luke Skywalker commette azioni ambigue e che non tutte le persone che morivano per mano dei Ribelli erano oggettivamente malvagie. Questa guerra tra idealismi assoluti e relativismo non mi hai mai convinto del tutto e ho sempre pensato che messa solo in questi termini fosse un po’ banalotta come visione, oltre che leggermente bigotta. Per andare oltre le solite definizioni e capirla più a fondo, dovremo rivolgerci ad un medium al di fuori di cinema e letteratura, un medium in cui da anni la Forza potente scorre: i videogiochi. Ormai abbiamo perso il conto di quanti giochi abbiano sfruttato il marchio Star Wars, ma una cosa è certa: se esiste un genere realmente adatto ad esprimere il vero potenziale ludo-narrativo della Forza, mostrandoci le sfumature grigie che mancano alle pellicole, quello è il genere dei GDR. Meccaniche ruolistiche come la “Scelta & Conseguenza”, veicolate attraverso i famosi “Moral Dilemma”, sono pane quotidiano per qualsiasi gioco di ruolo degno di tale nome. Due di essi, in particolare, hanno avuto l’ambizione di attraversare i lati più oscuri e controversi della Forza, mostrandocela come mai nessuno aveva fatto in precedenza: sto parlando di Knights of the Old Republic (KOTOR) e il suo seguito, The Sith Lords.

Mettetevi comodi, apritevi una birra e fatela scorrere potente perché questo viaggio sarà molto lungo e la galassia lontana, molto lontana. E se Disney vi dice che tutto quello che sto per raccontare non è più parte del canon, amen. Molto probabilmente possiamo scordarci un Knight of the Old Republic 3 con questi presupposti, ma le vie della Forza possono sempre rivelare una “Nuova Speranza”.

Dilemmi morali e autoriali nella Forza

L’esalogia cinematografica di Star Wars ha sempre fondato gran parte della sua struttura narrativa su un concetto molto caro ai GDR: i dilemmi morali della Forza. Il dramma della famiglia Skywalker, i bivii di fronte al quale si trovano i vari personaggi e le conseguenze che peseranno su tutta la galassia, sono sempre stati elementi chiave per rendere misteriosa e affascinante la natura della Forza, anche se non viene mai sviscerata seriamente a fondo. Alla luce di ciò, ho sempre trovato alquanto singolare il fatto che si sia dovuto attendere l’inizio del ventunesimo secolo (a distanza di più di 20 anni dal primo film) per dare vita al primo vero GDR moderno che sfruttasse il brand. Con l’avvento di Episode VII tutte queste seghe mentali riflessioni filosofiche sono tornate a tormentare un povero fan di Star Wars come me e mi hanno offerto non solo l’occasione di rispolverare due perle, ma addirittura di poter parlare finalmente bene di Bioware. Qualcuno sorriderà nel vedermi scrivere una cosa del genere, ma Bioware all’epoca fece una scelta molto coraggiosa di fronte ad un dilemma non più morale ma autoriale: rimanere totalmente legati all’ombra ingombrante delle pellicole cinematografiche o crearsi una propria visione dell’opera?

La Vecchia Repubblica è il Silmarillion in salsa sci-fantasy di Star Wars.

Ebbero il coraggio di scegliere la seconda opzione e no, non è da tutti, perché quando hai a che fare con Star Wars è come toccare un Dio venerato da un intero popolo e devi stare attento a dove metti i piedi (anche se sei l’autore originale…vero George?). Dunque decisero di ambientare le vicende del videogioco, pur ricalcando lo spirito della visione originale dell’opera, in un’epoca storica del tutto distaccata dai film e risalente a 4000 anni prima della nascita dell’Impero Galattico : la Vecchia Repubblica, una sorta di Silmarillion in salsa sci-fantasy di Star Wars. Già solo da una scelta simile si intuisce chiaramente che l’odierna Bioware, ormai famosissima grazie a saghe come Mass Effect e Dragon Age, non è per niente la stessa softwarehouse che nel 2000–2003 fece la scelta di cui sopra. All’epoca i loro scrittori di punta (David Gaider, Casey Hudson e Drew Karpyshyn) venivano guidati ancora dal Lato Chiaro, ben prima che cedessero alle lusinghe del maligno Signore Oscuro dei Sith (ciao EA!). Quindi parlare bene di una Bioware così coraggiosa non solo è un atto dovuto in onore dei bei tempi andati, ma mi aiuta a spiegare anche il contesto storico in cui tutto questo avvenne. Quelli erano anni in cui i GDR venivano da un periodo d’oro che chiuse il ventesimo secolo con diversi capolavori indimenticabili. Seduta su un trono composto da copie del pluripremiato Baldur’s Gate 2, la softwarehouse canadese era la regina del mercato GDR su PC, mentre in contemporanea sul grande schermo si consumava il dramma della seconda trilogia dei prequel cinematografici di Star Wars.

La Forza scorreva così potente nell’etere che anche Wizards of the Coast decise di lanciare in quel periodo il suo nuovo d20 system, adattando il sistema sfruttato nella terza edizione di Dungeon & Dragons per creare “Star Wars The Roleplay Game”. I tempi erano più che maturi e Lucas Arts diede proprio a Bioware l’arduo compito di trasportare il d20 in versione digitale. Per farlo c’era bisogno di un nuovo engine e l’Aurora già usato per Neverwinter Nights si trasformò nell’Odissey Engine, dando ufficalmente il via alle fasi di sviluppo del primo KOTOR agli inizi del 2000. In un colpo solo vennero segnate due tappe storicamente importanti: la nascita del primo GDR che ha saputo sfruttare “ruolisticamente” uno strumento morale come la Forza e lo sdoganamento del genere, in chiave occidentale, nell’ormai dilagante mercato delle console. Il tutto accadeva mentre due pilastri del ventennio precedente, all’anagrafe Interplay e Black Isle, crollavano sotto i colpi della crudeltà cinica di questa industria e mettevano l’ultimo chiodo sulla bara di un mercato PC non più protagonista. Gli sviluppatori di tutto il mondo guardavano ai numeri stratosferici delle console e sognavano nuovi prosperosi orizzonti al prezzo di un continuo processo provocatoriamente ribattezzato come “consolizzazione”. Seppur negativo da una parte, ebbe i suoi indubbi risvolti positivi dall’altra, soprattutto mettendo sul tavolo gigantesche fette di mercato prima irrangiungibili. In sostanza: più soldi da investire, più giocatori, più vendite e più possibilità di sperimentazione di uno storytelling che in quegli anni stava mettendo in piena competizione l’emergente medium videoludico con il suo cugino “culturalmente superiore”: il cinema.

Dando l’esclusiva temporanea di KOTOR a Microsoft e la sua prima Xbox, Lucas Arts stava testando nuovi potenziali mercati e target, attraverso uno storytelling che puntava tutto sull’interazione creata dai dilemmi morali della Forza e su un sistema di dialogo in cui era possibile agire in diversi modi, guadagnare punti verso il Lato Chiaro o quello Oscuro e sbloccare relativi poteri da sfruttare nei combattimenti. Ovviamente certe meccanica avevano anche dei limiti intrinsechi e non era raro sentirsi uno psicopatico schizzato quando si agiva seguendo il Lato Oscuro. Molto innovativo in ottica ruolistica fu invece il cambio di paradigma tipico della banale filosofia del “powerplaying” (fare scelta X solo per avere potere Y?), trasformato grazie alla Forza in una meccanica che legava tra loro modo di giocare e allineamento morale del personaggio controllato. Ovviamente per ogni merito attribuibile al genio di Bioware ci sono anche diverse colpe, soprattutto quella di aver eccessivamente ceduto il passo ad un processo di semplificazione nei confronti di alcune meccaniche care agli RPG Old School. Nonostante tutto, coraggio e ambizione gli vanno indubbiamente riconosciuti. Quel coraggio e quell’ambizione che gli sono venuti sempre più a mancare negli anni a seguire.

Allegoricamente parlando, questi cambiamenti storici si potrebbero paragonare ai dilemmi morali che Revan ha dovuto affrontare nella sua crociata contro la passività dell’Ordine dei Jedi negli eventi che precedono le vicende del primo KOTOR. Ma chi è Revan? Revan, in sintesi, è il motore trainante della saga di KOTOR, il personaggio le cui azioni hanno messo in moto un cambiamento radicale che avviene sempre dopo il pagamento di un caro prezzo. Proprio allo stesso modo in cui Bioware, con le sue scelte, cambiò parte del futuro del mercato RPG al prezzo di un declino della Old School che per anni aveva dominato su PC. Ma ora andiamo a vedere nel concreto come la Forza sia stata realmente interpretata in chiave ruolistica.

La Forza secondo Bioware: Codice Sith e Revanchism

KOTOR comincia con un tributo a Una Nuova Speranza: una flotta guidata dall’oscuro Signore dei Sith Darth Malak, un tempo Padawan e fido compagno del leggendario Revan, attacca la nave della Repubblica, la Endar Spire, per continuare la sua crociata di sterminio totale dei Jedi. Il giocatore veste i panni di un ex Jedi a bordo della nave, che ha perso totalmente la memoria e deve fuggire grazie all’aiuto di Carth Onasi, un pilota della Repubblica. Senza troppi spiegoni ci viene subito illustrato il contesto in cui ci muoviamo e nel bel mezzo di una guerra il nostro ruolo sarà quello di intraprendere un lungo viaggio per ritrovare la nostra memoria, scovare una devastante arma segreta, fermare la minaccia di Darth Malak e scoprire quali terribili misteri si nascondono dietro al nostro passato. Se c’era una cosa che Bioware all’epoca sapeva fare bene era proprio creare personaggi interessanti e che difficilmente dimenticavi dopo aver terminato il gioco. Soprattutto i villain. Malak non è forse l’esempio migliore, ma in KOTOR svolge benissimo il suo ruolo da contraltare a colui che forse è uno dei migliori personaggi che l’universo di Star Wars, a mio parere, possa vantare: Darth Revan.

David Gayder si ispirò al Mein Kampf per scrivere il Codice dei Sith

Uno degli aspetti più riusciti di KOTOR è l’intreccio e i plot twist che ha in serbo per il giocatore (che non è mia intenzione spoilerare, tranquilli), che seppur non brillino in originalità e seguano con meticolosa precisione il classico archetipo del Monomito di Joseph Campbell, divennero abbastanza memorabili grazie soprattutto ad un ottimo writing e una particolare cura nel creare sinergia tra il protagonista, il suo passato e le motivazioni che lo legavano a coloro che decidevano di seguirlo. Infondo si trattava pur sempre dell’ennesimo viaggio di un eroe che attraverso una serie di dilemmi legati ai lati della Forza, e un gruppo di compagni che lo avrebbero sostenuto lunga il percorso, sarebbe giunto alla sua meta e alla maturazione interiore. Alcuni di questi compagni che ci seguiranno a bordo della nave Ebon Hawk (omaggio al Millennium Falcon del mitico Han Solo) avranno tutti un forte legame sia con le origini del protagonista che con gli eventi scatenati dalla Guerra Mandaloriana, precedenti alle vicende di KOTOR. Questo legame verrà messo in crisi proprio verso la fine del gioco, mettendo il giocatore di fronte alle conseguenze scaturite da diverse sue scelte.

Per creare un conflitto di motivazioni tanto nei compagni di viaggio quanto nel protagonista, c’era però bisogno di un punto di vista che facesse da nemesi al classico Codice dei Jedi. Venne così data a David Gayder l’opportunità di scrivere da zero un Codice dei Sith (nelle pellicole cinematografiche non vi si fa mai accenno). Fonte di ispirazione per lui fu il Mein Kampf di Adolf Hitler, i cui principi assolutistici vennero declinati in chiave antitetica al Codice Jedi: passione ed emozioni divennero i mezzi con cui un Sith avrebbe percorso le vie della Forza, prendendo il posto della pace interiore da sempre imposta dall’Ordine Jedi. Solo abbandonandosi del tutto ad esse si sarebbe potuto esprimere il proprio potenziale latente, quel potere assoluto capace di rompere definitivamente le opprimenti catene dell’Ordine. Se vi ricordate la caduta di Anakin verso il Lato Oscuro, noterete come ci sia un parallelo con il Codice Sith: l’amore proibito verso Padme e l’ansia di trovare un modo per preservalo in eterno, si trasformano poi in rabbia e volontà incontrollata di vendetta, portando il personaggio a dar vita ad uno dei villain più famosi e combattuti nella storia del cinema.

Oltre al Codice c’era bisogno anche di inserire il giocatore in un contesto da cui sarebbero emersi una serie di conflitti con cui fare i conti e, come già anticipato, furono le azioni di Revan a crearlo: la tragica passività e neutralità del Concilio dei Jedi di fronte alla minaccia del brutale popolo mandaloriano, fecero scattare in lui i primi dubbi interiori, cominciando a vedere catene e ingiustizie lì dove l’Ordine mostrava equilibrio e pace. I pianeti bruciava e i dogmi non erano sufficienti ad affrontare un problema che avrebbe messo in serio pericolo tutta la Repubblica. Le scelte che Revan decise di attuare cambiarono per sempre la sua visione della Forza, i destini di alcuni nostri compagni e il futuro della Vecchia Repubblica.

La ribellione di Revan

Per capire l’importanza del ruolo di Revan nell’approfondimento delle vie della Forza bisogna ripercorrere il suo passato, partendo dal primo dei tanti dilemmi che affrontò: sottostare alle catene dell’Ordine Jedi o reagire all’assalto mandaloriano. Decise di dare inizio alla sua personale ribellione e le continue vittorie sul campo di battaglia lo trasformarono in un eroe della Repubblica. Nacque un culto di rinnegati in suo nome: i Revanchist, Jedi crociati che agivano sotto il suo comando. Quando tutto sembrava volgere per il meglio, accadde una catastrofe sul pianeta Malachor V e un’arma di distruzione di massa spazzò via le armate repubblicane e mandaloriane, creando una “ferita nella Forza” talmente profonda da scatenare un’eco che moltissimi Jedi percepirono. Ricordate la reazione di Obi Wan quando la Morte Nera spazzò via il pianeta di Alderaan? Immaginatevela molto più devastante e dolorosa.
Revan e Malak, all’epoca suo Padawan, riuscirono a salvarsi e il maestro Jedi sconfisse anche Mandalore The Ultimate, leader dei mandaloriani che in punto di morte gli rivelò chi aveva tramato l’invasione nell’ombra: l’Imperatore dei Sith, nascosto ai confini della galassia. Il peso di quella tragedia, unito alle rivelazioni venute a galla e all’insubordinazione verso l’Ordine Jedi, fecero allontanare maestro e allievo dalla Repubblica. Revan divenne sempre più convinto che solo attraverso la totale conoscenza si sarebbe potuto gestire il Lato Oscuro e raggiungere quel pieno potenziale con cui avrebbe affrontato la latente minaccia dell’Impero dei Sith. Si spinsero talmente oltre che arrivarono a scoprire la posizione dell’Impero ma non è mai stato chiarito nel lore (anche per colpa di alcune opinabili scelte narrative di SW: The Old Republic) se il passaggio al Lato Oscuro sia avvenuto per via dell’influenza malefica dell’Imperatore o per via dell’energia negativa che fluiva attraverso un’arma segreta che scoprirono: la Star Forge, costruita dal popolo Rakata e capace di fabbricare navi d’assalto sfruttando l’energia del Lato Oscuro. Dopo qualche anno tornarono nella Repubblica al comando di un’enorme flotta Sith e assunsero una nuova identità: Darth Malak e Darth Revan, nuovo Signore dei Sith intenzionato a sconfiggere Repubblica e Impero per unire la galassia sotto un’unica bandiera. Ebbe inizio la Guerra Civile Jedi e sempre più cavalieri decaduti si unirono alla crociata, stanchi dell’Ordine. Il Lato Oscuro però aveva le sue leggi e una di esse era la crudele “Rule of Two”: l’allievo, prima o poi, avrebbe tradito il maestro e ne avrebbe preso il posto. Fu così che Darth Malak cominciò a ribellarsi e in un’occasione perse parte della mascella per mano di Revan (sostituita poi dal pezzo metallico che lo caratterizza in KOTOR). Le tensioni tra i due aumentarono fino al tradimento finale che decretò l’apparente morte del Signore dei Sith. Da qui in poi ha praticamente inizio la crociata di Darth Malak contro i Jedi e la trama del primo KOTOR. Scopriremo che il piano di Revan nascondeva molto più di quello che si poteva intuire e che attraverso di lui Bioware sperimentò un’interessante approfondimento della Forza.

Tutto questo fu possibile non solo grazie all’ambizione di creare qualcosa di memorabile da parte di Bioware, ma soprattutto grazie ai miglioramenti introdotti nel nuovo Odyssey Engine: tutti i limiti “di regia” di cui aveva sofferto il deludente Neverwinter Nights furono superati e KOTOR fu uno dei primi esperimenti di narrazione cinematografica in un GDR moderno. Misero alla prova il nuovo sistema di inquadrature, lip synch e animazioni facciali, che unito ad un’ottima recitazione da parte dei doppiatori (ottimo fu anche il doppiaggio nei vari linguaggi delle razze aliene) portò sulle piattaforme di milioni di giocatori un’esperienza molto moderna per i GDR di quel periodo. La vittoria del Game of the Year 2003 fu quasi automatica. Sempre in ottica di innovazione, questa nuova sperimentazione della Forza come meccanica ludo-narrativa permise di testare nuove frontiere di azione-reazione legate ai compagni di viaggio. Non mancavano certo alcune incoerenze, soprattutto quando si forzava troppo la mano nell’agire da psicopatico Sith e alcuni compagni di allineamento buono si limitavano solo a qualche commento, prima di procedere lo stesso al massacro. Si sentiva anche il bisogno di una meccanica che permettesse di promuoverli al grado di veri e propri Jedi o Sith (opportunità introdotta solo nel seguito), cosa che avrebbe limato alcune di quelle incoerenze. Ma in linea generale l’ottimo writing e la caratterizzazione magnifica di alcuni compagni (a fronte di altri fin troppo unidimensionali) riequilibrava ampiamente la situazione.

HK-47 è il droide più fuori di testa della galassia.

Tra i compagni non posso non applaudirne 2 in particolare: Jolee Bindo e HK-47. Il primo è un vecchio Jedi sposatosi clandestinamente con una donna a cui aveva insegnato le vie della Forza e lei, tanto per cambiare, si fece corrompere dal Lato Oscuro unendosi ai Sith. Il Concilio dei Jedi scoprì tutto e Bindo, incolpato dell’accaduto, decise di abbandonare l’Ordine, stanco dei suoi inutili dogmi e deluso da come la sua amata aveva ceduto alle influenze oscure. Si impose un auto-esilio sul pianeta Kashyyyk, diventando uno dei primi veri Jedi Grigi votati alla via del Potentium: gli estremi della Forza venivano visti semplicemente come strumenti a disposizione di un Jedi e non come qualcosa da rincorrere ciecamente o temere a priori. Gran parte dei dialoghi che potremo avere con lui verteranno su questa concezione “neutrale” della Forza, mai approfondita nelle pellicole. Ma non mancheranno nemmeno momenti di pungente sarcasmo alternati al lato brontolone del suo forte carattere. Decisamente un gradino più in alto rispetto a tutti gli altri compagni di viaggio, escluso uno: il droide più fuori di testa della galassia.

Costruito da Revan in persona, HK-47 potete immaginarvelo come una sorta di Nordrom preso in prestito da Planescape Torment, a cui però è stato installato un protocollo da assassino pieno di humor nero. Tende ad apprezzare qualsiasi azione votata al Lato Oscuro, ma più che reputarlo malvagio andrebbe semplicemente accettato per quello che è: l’incarnazione robotica della massima machiavelliana. Per lui i lati della Forza non hanno alcun valore se lo scopo della missione è eliminare un obiettivo indicato dal suo “Master”, anche se a volte non nasconde un certo razzismo versi gli esseri umani che, in quanto razza inferiori ai droidi, secondo lui dovrebbero essere eliminati applicando alla lettera le leggi della selezione naturale. Potrebbe sembrarvi un personaggio molto negativo, ma vi assicuro che dietro al suo particolare modo di esprimersi, anteponendo sempre la tipologia di frase che sta per pronunciare, si celano battute memorabili e imparerete ad amarlo nella sua follia. Personalmente è il miglior compagno di viaggio del primo KOTOR e una delle robe più riuscite, brillanti e intelligenti che siano venute fuori dalla penna di Bioware. Non me ne vogliano i fan del tenebroso Jon Irenicus.

Un altro compagno di viaggio meritevole di attenzioni è Bastila Shan, giovane Jedi che ha scalato i ranghi dell’Ordine grazie ad un potere esclusivo della Forza: la Meditazione da Battaglia, potere in grado di aumentare la concentrazione, il morale e la sinergia strategica delle truppe alleate. Più volte fu un elemento chiave per vincere le battaglie contro i Sith e fu proprio lei a guidare l’assalto finale contro la flotta di Revan. Sarà protagonista di uno dei più importanti plot twist della trama e potremo anche avere una romance con lei, che influenzerà alcune scelte chiave. All’epoca ci furono diversi dibattiti sul come decisero di giocarsi un simile personaggio, perché quello che gli accade e il come noi giocatori potremo influenzarlo, è approfondito troppo frettolosamente e avrebbe meritato molto più spazio.

Sul fronte romance Bioware non si sbilanciò molto a livello ruolistico e ancora non aveva dato inizio alla sua campagna di senbilizzazione verso l’inclusività, cosa che poi cominciò a fare a tutto tondo con Mass Effect e Dragon Age. La continua interazione con i compagni era comunque una meccanica centrale di KOTOR e fecero il loro primo passo verso un potenziamento non indifferente della “formula Bioware” già divenuta famosa con i Baldur’s Gate. Un altro importante passo lo fecero sfruttando i poteri della Forza non solo per dare una motivazione al giocatore e spingerlo ad essere coerente, ma anche influenzando l’estetica stessa del personaggio: occhi gialli, pelle cadaverica, vene varicose sulla faccia, fulmini dalle mani e totale libertà di agire come uno psicopatico, erano cose che si potevano sperimentare alla grande in un gioco come KOTOR all’epoca, ben prima che arrivasse quel disastro di Fable a scimmiottare una meccanica così interessante. Meccanica che purtroppo non raggiungerà mai più questi livelli nei futuri RPG di Bioware. Quello che però riuscirono a creare servì come punto di partenza per ciò che avrebbe poi sviluppato una neonata Obsidian, piena di idee che distrussero e ricostruirono la Forza in un modo che nessuno aveva mai osato fare in un videogioco.

La Forza secondo Obsidian: Esilio e Potentium

Prima ancora che KOTOR riscuotesse buoni risultati di mercato e critica, Lucas Arts aveva già deciso che ci sarebbe stato un seguito in tempi brevi. E quando vi dico “tempi brevi” intendo tempistiche che oggi sarebbero da suicidio automatico. Secondo voi chi è che ama il suicidio più di Obsidian Entertainment? Nessuno. Infatti appena risorti dalle ceneri di Black Isle e Interplay, e con un urgente bisogno di avere un progetto su cui lavorare, Faergus Urquhart e compagni vennero contattati da Lucas (su gentile segnalazione di Bioware, occupata con il futuro Jade Empire) e accettarono senza pensarci due volte. Si resero conto troppo tardi che quelle tempistiche erano un po’ folli per un gioco ambizioso come KOTOR II — The Sith Lords. Raccolsero lo stesso la sfida e il gioco riuscì ad arrivare sugli scaffali nel Natale del 2004. Super buggato, incompleto e pieno di contenuti tagliati, ovviamente, ma dannatamente superiore al suo predecessore su diversi aspetti e ambizioso al punto tale da mettere in discussione alcuni pilastri della mitologia di Star Wars. Uno su tutti: la concezione della Forza.

Se da un lato Bioware ebbe il coraggio di esplorare il mondo di Star Wars distaccandosi dall’esalogia, pur mantenendo fede al suo spirito, Obsidian andò ben oltre e non ebbe timore delle probabili ire dei fan ortodossi (gli stessi che oggi criticano Episode VII per la spada di Kylo Ren, per intenderci). Avendo già pronti engine, assets e altri elementi di gioco, con The Sith Lords poterono concentrarsi molto di più sui contenuti e, per certi versi, il risultato finale sembrava più un “trattato filosofico” sulla Forza che un semplice “videogioco”. La decostruzione totale di tutto ciò che per anni ci era stato raccontato sul grande schermo, permise a Chris Avellone, Lead Designer del progetto, di applicare alla lettera le parole del Maestro Yoda: “Devi disimparare ciò che hai imparato!”. Per farlo replicò il modus operandi già sperimentato con risultati eccellenti ai tempi di Planescape Torment: prendere le regole di un mondo e ribaltarle totalmente per mostrarci lati inediti mai presi in considerazione prima. Decisero di partire proprio dal Potentium, già conosciuto attraverso Jolee Bindo nel primo capitolo, e usarono come veicolo narrativo un personaggio che si può definire l’ennessimo tributo a Planescape Torment: Kreia.

Immaginatevi il personaggio di Kreia come se fosse la strega Ravel di Torment in versione Yoda, molto più criptica e capace di mettere a disagio chiunque sia convinto di aver capito tutto della Forza di Star Wars. Pur avendo perso l’uso della vista, riusciva a percepire e vedere qualsiasi cosa la circondasse, arrivando al punto di ritenere gli occhi solo un mezzo che distrae le persone dalla visione della verità. A tratti quasi incomprensibile e turbante, farà di tutto per mostrarci i limiti delle dottrine Jedi e ci mostrerà come anche la scelta più apparentemente buona può celare delle conseguenze terribilmente negative. Il suo ruolo sarà quello di mentore del protagonista: l’Esule Jedi, generale delle truppe guidate da Revan ai tempi della Guerra Mandaloriana. Dopo la tragedia su Malachor V venne esiliato dall’Ordine per motivi che scopriremo nel corso del gioco e sparì dalla Repubblica per diversi anni. La nostra particolarità sarà quella di aver perso del tutto ogni contatto con la Forza, probabilmente per mano del Concilio stesso, e il primo obiettivo sarà riacquistare le nostre vecchie capacità di Jedi o Sith (in base a quale allineamento appoggeremo di più), proprio attraverso gli insegnamenti della misteriosa Kreia. Come nel primo KOTOR, verremo aiutati da diversi compagni e alcune vecchie conoscenze, tutti ben caratterizzati e capaci di offrire uno spaccato della Forza che contribuisce a rendere il lavoro di decostruzione messo in atto da Obsidian ancor più interessante.

Prendiamo, per esempio, uno dei primi compagni che ci seguiranno: Atton Rand. Vi ricordate Carth Onasi nel primo KOTOR, il soldato fedelissimo alla Repubblica e tutto orgoglioso della sua integrità morale verso i doveri militari e bla bla bla? Atton è l’esatto opposto: canaglia, buffone, pieno di conflitti interiori e mai unidimensionale, riesce ancora una volta a simboleggiare un’antitesi rispetto a pellicole e primo KOTOR. Lo stesso HK-47, tornato in gran forma anche nel seguito, ad un certo punto potrà essere del tutto ribaltato come personaggio, attraverso l’installazione di un “protocollo pacifico” che lo trasformerà da assassino psicopatico e razzista a pseudo-C-3PO. E di esempi simili ne potrei fare tanti altri, ma finirei per distruggere i già fin troppo martoriati mouse che stoicamente hanno resistito a tutte queste mie seghe mentali riflessioni filosofiche sulla Forza e isuoi dilemmi morali.

Con tutte queste ambiziose premesse e i tempi di sviluppo da suicidio, fu abbastanza problematico anche creare un intreccio degno del primo capitolo, perché quando i lavori cominciarono Lucas ancora non procurava una copia di KOTOR al team. Praticamente i primi mesi di brainstorming andarono totalmente bruciati quando Obsidian scoprì che non sapeva niente di personaggi chiave come Revan. Fu solo dopo aver provato a fondo il gioco che tutte le idee vennero incasellate e il puzzle prese vita. Il cambio di tono era netto sin dalle prime fasi di gioco: se in KOTOR il giocatore sapeva sin da subito contro chi stava combattendo e quale fosse il suo obiettivo (pur non ricordando il suo passato), in The Sith Lords si percepisce dall’inizio alla fine una continua sensazione di “chi è chi?”, di male nascosto dietro l’angolo e mai svelato chiaramente, di personaggi dal passato tormentato, pieno di segreti che dovrebbero rimanere tali, capaci di non mostrare mai chiaramente le loro reali intenzioni. I loro destini saranno legati a quelli del Jedi Exile in un modo ancor più netto rispetto al primo capitolo e le azioni compiute da Revan durante la sua personale crociata avranno influenza su molti di essi.

Ovviamente quando si parla di Obsidian c’è la quasi certezza di avere livelli di qualità eccelsa su un coparto in particolare: il writing. I dialoghi, soprattutto dei compagni di viaggio, sono talmente scritti bene che non risulteranno mai forzatamente unidimensionali e manichei, cosa che ha permesso ad Obsidian di inserire anche un paio di grosse novità nel gameplay: la possibilità di allenarli e trasformarli in dei veri e propri Jedi o Sith (a seconda del nostro allineamento morale nella Forza) e un sistema di apprezzamento che ognuno di loro svilupperà nei confronti del protagonista, man mano che faremo delle scelte. Questo, almeno da quel che ricordo io, è stato il primo sistema che tentava di simulare in un GDR moderno dei compagni che tenevano traccia di ogni nostra azione, elaborando poi tutti i dati per tirare le somme nel momento della verità, quando verremo nuovamente chiamati (come in KOTOR) a rispondere delle nostre scelte e del nostro allineamento.

Il Triumvirato Sith: Pain, Hunger, Betrayal

Durante il periodo di addestramento di Revan, altri tre personaggi esploravano le vie della Forza, avvicinandosi pericolosamente alle insidie del Lato Oscuro. Uno di loro si unì alle Guerre Mandaloriane sotto la bandiera di Revan stesso e venne pesantemente influenzato dalla “ferita nella Forza” che provocò il massacro sul pianeta Malachor V. Il dolore e la sofferenza di tutti quei Jedi sterminati lo trasformarono in uno spretto di ciò che era: Darth Nihilus. In quel tragico evento sviluppo’ la capacità di assorbire l’energia vitale dei portatori della Forza e col tempo si abbandonò sempre più ad un continuo bisogno di “cibarsi” per sostenersi. Rinominato Lord of Hunger e autoelettosi nuovo Signore Oscuro dei Sith, il suo corpo venne totalmente consumato e le uniche cose che gli permisero di avere una forma fisica furono l’armatura e la famosa maschera che vediamo sulla cover del gioco, tenute insieme grazie alla Forza. Per lui non faceva più alcuna differenza l’appertenenza all’Ordine Jedi o Sith: tutta la galassia era ormai diventata solo un ricettacolo con cui sfamare la sua insaziabile fame.
Un altro personaggio conduceva la sua personale battaglia contro i Jedi in quel periodo: Darth Sion. Temprato da vecchie guerre tra Jedi e Sith e alimentato da un continuo accumulo di furore, rabbia e odio, Sion abbandonò totalmente ogni parvenza di raziocinio quando venne sconfitto in una delle tante battaglie a cui aveva partecipato: sarebbe dovuto morire ma riuscì a sviluppare un potere che gli garantiva l’immortalità, al costo di un continuo flusso di sofferenza e dolore che lo avrebbe consumato sempre di più. Toccò talmente a fondo i confini del dolore assoluto che il suo corpo fu quasi del tutto frantumato e l’unico modo che ancora gli permetterva di vivere era mantenere pezzi di ossa e carne legati tra loro, attraverso l’energia del Lato Oscuro. Rinominato Lord of Pain, portava avanti la sua personale crociata contro l’Ordine con una violenza senza pari, intenzionato a terminare ciò che Darth Malak aveva iniziato.
Il terzo personaggio è una figura misteriosa che non posso approfondire troppo per non spoilerare un colpo di scena di The Sith Lords. Sappiate soltanto che quando scoprì Nihilus e Sion si propose di addestrarli per insegnare loro a gestire i tremendi poteri che avevano sviluppato. Insieme i tre formarono il Trimvirato Sith e si stabilirono nelle rovine dell’Accademia Trayus, su ciò che rimaneva del pianeta Malachor V dopo la tragedia che mise fine alle Guerre Mandaloriane. Col tempo i due allievi svilupparono capacità sempre più devastanti ma, come da antica tradizione Sith, più accrescevano la consapevolezza di avere poteri fuori dall’ordinario e più covavano il tradimento. La ribellione non tardò ad arrivare e attaccarono il loro mentore tagliando il suo legame con la Forza, abbandonando poi l’accademia e diventando una vera minaccia per l’intera galassia. Percorsero strade diverse, accecati dal potere devastante che continuava a dargli forza e, al tempo stesso, a consumarli.

Per chi è abituato ai classici villain dell’universo di Star Wars, il triumvirato Sith offrirà un punto di vista molto interessante su come si possa andare oltre il manicheismo che troppo spesso taglia con l’accetta gli antagonisti. Darth Nihilus, per esempio, può sembrare un banale concentrato di malvagità se osservato in superficie, ma già solo per il fatto che riesca a suscitare curiosità senza mai dire una sola parola in tutto il gioco,vi fa capire quanto il suo concept sia affascinante e fuori dagli schemi. Sì, avete capito bene, non dice una sola parola perché il suo continuo bisogno di cibarsi della Forza non gli ha consumato solo il corpo ma anche la voce: è come un fantasma percorso da un’eco con cui riesce a comunicare senza mai usare un vero e proprio linguaggio. Non era facile gestire un personaggio di questo tipo in un videogioco, ma nonostante i tagli (alcune scene tra lui e Darth Sion sono state eliminate) e le relative poche occasioni in cui viene mostrato, mantiene in modo inaspettato quella sua aura di minaccia e malvagità assoluta molto più di tanti villain in altri GDR. Al tempo stesso, confrontandoci con lui, vedremo consumarsi l’ennesima tragedia tra Maestro e Padawan, quando una sua ex allieva (Visas) deciderà di seguire l’Esule. Questa tematica del tradimento si ripeterà in diverse occasioni lungo tutto il gioco e in ognuna di esse vedremo un lato della Forza che le pellicole non si sforzano mai di approfondire più di tanto.

Ma se finora tutto vi è sembrato eccelso, ricordate sempre che più la luce brilla e più l’ombra si ingigantisce. La micidiale combo tra tempi di sviluppo ridicolmente brevi e incessanti pressioni di Lucas per assicurarsi l’uscita prima di Natale, ebbe una pesante influenza negativa su The Sith Lords. La parte più “danneggiata” fu sicuramente il finale, che lascerà una sensazione di incompletezza abbastanza palese. Il taglio di intere sezioni di dialoghi, scene e addirittura un pianeta (che doveva essere dedicato ad una missione personale di HK-47), penalizzarono la chiusura di un intreccio magnifico e che fino allo scontro finale non aveva nulla da invidiare al primo capitolo, superandolo in moltissimi aspetti. Lo ammisero gli stessi Obsidian che il gioco arrivò sugli scaffali ben prima che fosse ultimato e che moltissime idee vennero lasciate nel cassetto per mancanza di tempo. Quando però un’opera riesce comunque a trasmettere la sua ambizione e grandezza, gli utenti sono disposti anche a rimboccarsi le maniche e non arrendersi alle spietate regole del marketing: dei volenterosi Jedi, per anni, si misero a recuperare tutti i contenuti tagliati ma ancora presenti nel codice sul disco di gioco, rimettendoli al loro posto. Una mod in particolare riuscì a ridare a The Sith Lords quello che le pressioni di Lucas gli tolsero: The Sith Lords Restored Content Mod, disponibile su Steam anche in lingua italiana. Non serve che vi dica che installarlo è d’obbligo per rendere l’esperienza molto più completa e, soprattutto, comprensibile, dato che alcune parti del gioco originale non sempre erano chiare e si percepiva la spiecevole sensazione di pezzi mancanti. Purtroppo non sapremo mai se questo mod ristabilisce completamente e fedelmente la visione originale di Chris Avellone e soci, ma non è comunque un buon motivo per non godersi anche le parti tagliate.

L’eredità della Forza

Siamo giunti alla fine di questo lunghissimo viaggio attraverso le vie della Forza e se ancora non vi siete decapitati con la vostra lightsaber, vuol dire che potente scorre il Sacro Ruolo in voi. Quello che ho cercato di dire infondo è semplice, anche se meritava un lungo approfondimento: cosa ci lascia in eredità questo excursus nei meandri della Forza? La consapevolezza che il videogioco sia un medium straordinario, capace di mettere insieme tanto il suo potenziale tecnologico quanto le opportunità offerte da concetti filosofico-spirituali che portano i “Moral Dilemma” ad un livello di interazione funzionale allo storytelling. Veicolare dilemmi morali attraverso scelte e conseguenze in un GDR è forse una delle cose più complesse che un team di sviluppo possa sperimentare, eppure non c’era contesto migliore di un gioco basato su Star Wars per tentare l’impresa. Ciò che fecero Bioware e Obsidian fu qualcosa di unico nel panorama dei GDR dell’epoca, non tanto per una mera questione storica o innovativa (che pure ha la sua valenza), quanto per il modo in cui riuscirono a valorizzare un aspetto chiave che nemmeno George Lucas in persona aveva mai avuto il coraggio di approfondire a quei livelli. E no, non è per niente una cosa che fai tutti i giorni, soprattutto quando hai davanti una divinità intoccabile come Star Wars. Molto probabilmente J.J. Abrams potrebbe confermarcelo, mentre osserva Jedi e Sith che proprio in questi giorni si ammazzano difendendo o attaccando il suo Episode VII.

Eppure il grigio c’è sempre stato: andava solo valorizzato.

Osservare la Forza attraverso gli occhi di personaggi come Jolee Bindo, HK-47, Bastila, Malak, Revan, l’Esule, Atton, Sion, Nihilus e soprattutto l’incommensurabile Kreia, è un’esperienza che personalmente consiglio di fare almeno una volta nella propria carriera da videogiocatore, a maggior ragione se siete fan dei GDR e di Star Wars. È un’esperienza da fare perché mostra nuove prospettive su un universo che troppo spesso viene ingiustamente dipinto solo di bianco e nero. Eppure il grigio c’è sempre stato: andava solo valorizzato.

Questa esperienza ci insegna soprattutto che questo tipo esperimenti andrebbero finanziati più spesso, per due motivi: 1) riescono a mettere di fronte al giocatore scelte che non si limitano solo al dualismo tra Bene e Male o al dover sparare al nemico A o B e 2) attraverso l’interattività lo spingono a pensare realmente a quali implicazioni morali si nascondano dietro al gesto di uccidere con la propria lightsaber o con il “potere di strangolamento”, sollevando importanti quesiti anche sull’uso e il fine dei poteri della Forza (un po’ scimmiotti in alcune pellicole). Se poi a tutto ciò si aggiunge anche uno sviluppo del personaggio che contempla il guadagno di nuovi poteri (e nuovi approcci) in base all’allineamento, unito ad un cambio estetico che mostra i segni che la Forza lascia su chi la fa scorrere dentro di se, si compie un ulteriore passo verso quel livello di immedesimazione che troppi vogliono rincorrere e veramente pochi riescono a raggiungere.

Volgendo al termine, mi congedo con una piccola curiosità finale: per certi versi la saga di KOTOR nasconde una piccola metafora che ricalca ancora una volta la tragedia familiare che intercorre tra padre e figlio, tra Maestro e Padawan, tra una Bioware che doveva molto a Black Isle e che, ribaltando i ruoli, si è poi ritrovata a farle da mentore quando rinacque sotto il nome di Obsidian. Se è vero che l’allievo prima o poi supera il maestro e lo rimpiazza, in questo caso abbiamo avuto un esito diverso: è stato il Maestro a farsi infine corrompere dal Lato Oscuro. E non me ne vogliano i suoi fan se mi sto reimmaginando la scena finale tra Luke e Darth Vader in Il Ritorno dello Jedi, con EA che se la ride allo stesso modo in cui se la rideva Palpatine mentre si consumava una tragedia familiare. Ma come già detto, le vie della Forza possono sempre celare nuove speranze e chissà che un giorno qualcuno non voglia davvero raccogliere l’eredità di due GDR che qualche astuto cravattaro ai piani alti di Disney ha deciso di buttare nel cesso, lasciandoli del tutto fuori dal canon. Io non smetterò di crederci…e che la Forza sia con me.

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Carmelo Baldino
The Shelter

Web e Graphic designer per hobby. Troll di professione. Da quando gli è apparso in sogno il suo unico Dio (Chris Avellone) pensa di essere il suo araldo.