La difficoltà di essere felici

Andrea Ortenzi
The Shelter
Published in
4 min readOct 3, 2017

È uscito Cuphead. Gioia, gaudio, una fotta incredibile di provarlo, una marea di articoli che parlano del nuovo Dark Souls ed enorme sdegno fra gli “addetti all’hardcore gaming” per il fatto che si utilizzi il capolavoro From Software come nuova unità di misura per parlare di difficoltà nel mondo dei videogiochi. Non s’ha da fa, signori. Perché? Boh. Perché Dark Souls è più bello? Perché è più brutto? Perché sono filosofie di gioco diverse? Perché, come diceva Nanni Moretti, le parole sono importanti e quindi la sostituzione di termini è aberrante per i più? Davvero belli de casa, non ne ho idea, fosse per me fareste come vi pare però oh, magari pure voi siete della scuola del “no, basta, avete rotto il treppiedi”.

Ecco un altro Dark Souls 4. Eh, lo so, che ce volete fa?

Però toglietemi una curiosità: ve la ricordate la polemica imperante nel periodo PS360? Aspettate, vi do una mano: riguardava gli Uncharted, i giochi di Quantic Dream, un po’ tutti gli open world, i Final Fantasy, i magnifici prodotti di Thatgamecompany, gli indie in generale (anche se non tutti), i COD, Halo 4, il minestrone di FPS. Praticamente tutto. Ancora niente? Eddai belli de casa: LA DIFFICOLTÀ CHE NON C’ERA PIÙ. Quel picco generazionale di deficienza in cui, in barba a tutti gli enormi traguardi raggiunti dalla nostra industria preferita, i giochi si “finivano da soli”, lo scripting stava “uccidendoci la passione di giocare”, “sti papponi narrativi sono non giochi perché non hanno fattore di difficoltà”, “gli indie sono gay”, “l’ET di Atari era più bell…” no, aspè.

Madonna le fiammate che c’ho preso da ‘sto drago

Che poi i più attenti già all'epoca notarono che i Souls, spada e scudo in mano, si erano aperti uno spazietto nel cuore dei pochi tanto stoici da andare oltre il primo “SEI MORTO” che inevitabilmente ti stroncava già durante il tutorial, ma quella è una questione sulla quale arriveremo a breve. Insomma, una buona fetta di mercato dell’ambiente nostro (quello che se stai leggendo qui, o già lo conosci, oppure sei un mio parente stretto che vedendo il titolo dell’articolo si è preoccupato) era diventato assolutamente impermeabile alla divertentissima rivoluzione cinematografica degli FPS; al modo nuovo di intendere i videogiochi di Quantic Dream; al preferire la difficoltà morale a quella pratica di Telltale; alla poesia ambientalista in gioco di Flower e Journey. No: non c’è difficoltà, quindi sta generazione fa cacà.

La gente rosica per il fatto che si utilizzi il capolavoro From Software come nuova unità di misura per parlare di difficoltà nel mondo dei videogiochi

E poi arrivano i Souls. Come il cielo terso che si apre sulle teste degli sprovveduti senza ombrello, From Software scende placida su tutti noi, accontentando gli inaccontentabili così come quelli che nella generazione precedente ci sguazzavano e anzi, l’hanno considerata un clamoroso passo avanti per meriti di linguaggio videoludico in primis. Demon’s Souls è solo il primissimo esempio di un legno ancora grezzo, da lavorare e scartavetrare, che però è stato capace di fare scuola a molti. Difatti, a un certo punto scuola incomincia a farne sul serio, tant'è che Dark Souls II, che è già un titolo che può permettersi di essere apocrifo in termini di paternità (il babbo della serie, Hidetaka Miyazaki, si stava occupando di BloodBorne), diventa la bomba atomica capace di ingigantire il già corposo pubblico del meraviglioso primo capitolo di questa nuova saga. Non solo, allo stesso tempo consentì di far ottenere alla casa produttrice l’impossibile: Bloodborne,un prodotto tutto nuovo sulla falsariga dei Souls, fa da apripista fra le esclusive in casa Playstation 4. Con tanto di campagna pubblicitaria immensa, hype smisurato, copie piazzate a secchiate, successo garantito.

Abbella!

Insomma, nel giro di una manciata di mesi, le preghiere di quel tipo di utenza che non riesco a sopportare vengono esaudite in una maniera che ha commosso addirittura me, regalandomi un quantitativo di ore di gioco che, messe insieme, vi stupireste di sapere che ho solo 30 anni. Non solo, questa stessa tendenza influenza il mercato al punto da generare un neologismo, “soulslike”, contemporaneamente a una selva di titoli che vanno dal più al meno bello, dalla copia sputata all'iterazione bidimensionale (Nioh, Lords of the Fallen, Salt & Sanctuary, Immortal Planet) e che, riusciti o meno, non possono che farci felici comunque per il solo averci provato.

La rivoluzione di From Software ha completamente ribaltato le sorti del mercato, restituendo alla difficoltà quella dignità che troppi davano ingiustamente per morta e traghettando tutta l’industria verso una rinnovata scoperta del gesto tecnico del giocatore, che prima di Demon’s Souls te lo dovevi andare a cercare fra la moltitudine di meravigliosi indie del sottobosco hardcore (di cui, forse, parleremo un’altra volta). Insomma, il parallelismo con “difficoltà”, Dark Souls se l’è sudato con le unghie e con i denti, e siamo d’accordo che possa non essere sempre esatto e a volte pure superficialotto (specie se si parla di un run ’n’ gun bello come il sole in primavera). Però dai amici, come direbbero melodiosamente i francesi: non rompete troppo i coglioni.

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