La tartaruga rossa è meraviglioso ma non andrò a vederlo al cinema

Matteo Cinti
The Shelter
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4 min readMar 28, 2017

Quando sento la parola Ghibli mi parte subito il brivido. Come uno splendido vento — che poi, Ghibli è proprio il nome di un vento del sud — ti soffia addosso e si fa sentire su tutto il corpo. Ecco, quando ho saputo che La tartaruga rossa sarebbe stata la prima produzione Ghibli con manodopera europea ero già elettrizzato. Il regista olandese Michaël Dudok de Wit è stato scelto personalmente dallo studio dopo aver visto i suoi precedenti lavori; in particolare Isao Takahata si è interessato da vicino alla produzione. L’aspetto tanto eccezionale è sottolineato anche dal logo rosso invece che azzurro all’inizio del film, che pare un dettaglio insignificante, eppure vederlo fa un effetto non da poco. E infatti, il film è ovviamente meraviglioso. È delicato, animato con amore, significativo. È praticamente un film dello Studio Ghibli, pur non avendo nessuno sceneggiatore o animatore direttamente coinvolto nella lavorazione.

La storia è assolutamente semplice, racconta la vita di un uomo su un’isola deserta. L’incontro con la tartaruga rossa darà un senso alla sua solitudine e più in generale al suo percorso terreno, ma non voglio approfondire oltre. Ciò che è importante sapere è che con pochi, ma puri, elementi questo film riesce a raccontare una storia universale, un percorso di vita reso visivamente con l’essenzialità delle forme della natura. Il tratto, che richiama fortemente lo stile europeo, è infatti ridotto a disegni minimali, animati con la discrezione di chi sta raccontando una storia primordiale e archetipica, all’esatto opposto delle barocche produzioni tridimensionali di altri studi.

Purtroppo però, c’è un grosso ma. Anche stavolta si è deciso per una distribuzione limitata, soli tre giorni, feriali, come ormai prassi per questi “film evento”. Ora, onestamente non conosco e non voglio conoscere i sistemi distributivi italiani perché non mi riguardano, voglio parlare da consumatore e da appassionato. Come è possibile che un film candidato all’Oscar non possa essere distribuito, non dico neanche come il film dell’anno, ma semplicemente come un film normale? Da giovedì 30 marzo al cinema, stop. È così difficile? Poi magari sopravvive appena due settimane eh, ma sempre meglio di “solo il terzo lunedì del mese, solo se piove e se entri in sala saltellando su una gamba sola”. L’esigenza di una distribuzione limitata appare come un compromesso dovuto alla tipologia di film, di nicchia per così dire, tra il non guadagnarci un euro per via dei costi distributivi superiori agli incassi effettivi e il privare gli spettatori di una proiezione sul grande schermo, che dovrebbero altrimenti accontentarsi di un DVD sul 22 pollici di casa. Così, in teoria, siamo contenti tutti, giusto?

Eh, mica tanto. Perché con la scusa del film evento, oltre a costringere a fare salti mortali per ritagliare quelle due orette di film durante un giorno feriale, parecchi multisala gonfiano i prezzi, o non permettono l’utilizzo di sconti e tessere varie. Dunque visto che ormai sono diversi anni che questa moda ha preso piede, largamente utilizzata con gli anime giapponesi ad esempio, il dubbio mi viene: non se ne staranno approfittando?

Capisco perfettamente che un documentario sulle foche canadesi potrebbe non essere un successo di botteghino, ma possiamo davvero avere dubbi sul successo, anche modesto, di un titolo candidato all’Oscar come miglior film d’animazione? O dell’ultima fatica dello Studio Ghibli (gli ultimi tre film nuovi dello studio, compreso quel capolavoro di Si alza il vento, sono stati programmati per soli tre giorni feriali)? O di un film che in madrepatria ha incassato di più in assoluto nella storia (il recente Your name.)? Io ricordo bene quando sono entrato in questo tunnel di “eventi speciali”, il primo fu la riproposta al cinema dei film di Evangelion. Era settembre 2013, e a quel tempo pensavo di dover sostenere l’iniziativa, pure se a costi esagerati (10 euro a biglietto per un film che avevo già visto, ora diventati anche 11). Non mi pareva vero di vedere gli anime al cinema e aspettavo che, dopo il buon riscontro di pubblico, si passasse alla fase di distribuzione classica.
Dopo quasi quattro anni ancora sto aspettando.

Ora che mi trovo davanti l’ennesimo evento speciale, mi rendo conto che non ho più voglia di stare al gioco. Capisco che è praticamente un’eresia, ma non vedrò La tartaruga rossa al cinema, perché nonostante sia un film che vale tutti gli 11 euro del prezzo del biglietto, mi sento preso per il culo. Tra tre, quattro mesi faccio un salto su Amazon e mi ritrovo il Blu-Ray alla metà del prezzo, e me lo rivedo quante volte voglio. Anzi, calcolando che è un film senza dialoghi potrei già procurarmi la versione francese, bypassando i distributori italiani. Ovvio, c’è la mancata esperienza della sala ma sapete che c’è, tutto sommato posso farcela anche senza, con buona pace degli artisti che hanno sudato sul film. Quando la distribuzione ritornerà a premiare queste opere invece di amputarle e incastrarle in una spirale di marketing aggressiva (vedi la ridicola riprogrammazione recente di Your name. a scaglioni di due-tre giorni per tre settimane) allora potrò tranquillamente dirvi: andate al cinema a vedere La Tartaruga Rossa perché è un film meraviglioso, un vanto per l’animazione moderna e una gioia per i sensi dello spettatore, che dura oltre l’ora e mezza sulla poltrona del multisala. E questo vale molto più di undici euro.

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Matteo Cinti
The Shelter

Vorrei dire di saper scrivere bene ma non posso. In compenso guardare serie tv e leggere fumetti mi riesce benissimo anche a testa in giù.