Le pecore elettriche di Localhost

Aurelio Maglione
The Shelter
Published in
4 min readOct 9, 2017

Siamo nel 2037, alle soglie del momento in cui verrà raggiunta la singolarità. Tutti i manufatti tecnologici di utilizzo comune — che si tratti di computer, smartphone o assistenti robotici — sono dotati di intelligenze artificiali straordinariamente complesse. Sviluppano personalità ben distinte, provano emozioni e, cosa più importante, sono animate dallo spirito di autoconservazione. Interagendovi, sembra di trovarsi davanti a una persona in carne e ossa. Un inconveniente non da poco, come avremo modo di apprendere giocando a Localhost.

È il nostro primo giorno di lavoro presso un negozio che si occupa della riparazione di computer e affini. Un cliente ha bisogno che gli vengano consegnati quattro hard-disk ricondizionati e il capo ha la brillante idea di affidarci questo compito senza alcun preavviso. Ha la delicatezza di comunicarcelo nel cuore della notte, con una telefonata che ci sveglierà ben prima di quanto avessimo previsto. Senza ricevere alcun addestramento, non ci resta che rimboccarci le mani e iniziare. Sulla carta si tratta di una mansione triviale, di quelle così meccaniche che potrebbero venire a noia nel giro di pochi giorni. Non dobbiamo fare altro che inserire i dischi dentro uno dei già citati assistenti robotici, verificare che al loro interno non siano presenti dati di una certa importanza e far partire il formattone. Tutto troppo semplice perché non possa sorgere qualche inghippo.

E non sai cosa ti aspetta ora!

Mentre pasticciamo con gli hard disk per analizzare quali contenuti ci apprestiamo a cancellare per sempre, abbiamo modo di interagire con le IA che li animano, se così si può dire. Le quattro sono radicalmente differenti fra loro: abbiamo il sistema operativo di un computer di stampo tradizionale, che inserito nel corpo del nostro robot si troverà per la prima volta a parlare, ascoltare e poter toccare il mondo circostante; la caustica intelligenza artificiale di un androide-fattorino in preda ad amnesie; la copia di backup delle memorie di un malato terminale e un misterioso software il cui unico interesse sembra quello di poter trasferire il proprio codice sulla rete. Pur con le loro differenze, tutte si dimostreranno poco disposte a facilitare il compito che ci è stato assegnato. D’altro canto, chi di noi accetterebbe volentieri di farsi eliminare dalla faccia della Terra?

Siamo nel 2037, alle soglie del momento in cui verrà raggiunta la singolarità

Il futuro descritto da Sophia Park in Localhost presenta diversi punti di contatto con quello immaginato negli episodi di Black Mirror (la celebre serie TV ideata da Charlie Brooker). Non è poi così lontano dal punto di vista cronologico rispetto i nostri giorni, e risulta sufficientemente verosimile da rendere ancora più inquietanti le riflessioni che propone. Il gioco si presenta come un’avventura testuale vecchio stampo — del resto è stato realizzato con Twine — con i classici dialoghi ad albero tramite i quali effettuare scelte che influenzano il corso della trama. In sintesi, il dover formattare i vari dischi rigidi ci pone di fronte a un bivio: procedere di forza bruta, rifiutando di ascoltare le parole delle IA, o cercare di esaudire i loro ultimi desideri, arrivando persino a preservarle. Mi sembra superfluo specificarlo, ma il nostro operato potrebbe addirittura costarci il posto di lavoro. È importante sottolineare che non viene espresso alcun giudizio morale su quanto avremo deciso, né ci sono conseguenze reali particolarmente gravose. In fin dei conti, se alla fine della mezz'ora necessaria per portare a termine l’avventura venissimo licenziati, non sarebbe una gran perdita. Potremo agire secondo coscienza, basandoci unicamente sui principi etici che ci sono propri.

La verità è una questione di circostanze.

Il livello qualitativo di un’opera come Localhost è strettamente legato a quello della sua sceneggiatura e il lavoro svolto da Sophia Park (passata agli onori della cronaca per Ark Symphony, simulatore di nostalgia per un JRPG che non è mai esistito) si presta a qualche critica. Sia chiaro, tanto la caratterizzazione delle IA quanto i dialoghi che le vedono protagoniste vantano una scrittura brillante, riuscendo nell'impresa di creare immediatamente un certo rapporto empatico con il fruitore. Dal punto di vista meramente ludico, non ho potuto fare a meno di notare che se non si selezionano le opzioni di dialogo nell'ordine esatto in cui sono presentate si riesce a “rompere” il gioco, poiché il vostro interlocutore inizierà a dare per scontate informazioni che in realtà non avete ancora acquisito. Un vero peccato, dato che un simile difetto finisce per far saltare la sospensione dell’incredulità. Inoltre, è innegabile che si tratti di un titolo fortemente derivativo, incapace di contribuire in modo originale all'indagine sulla natura umana tanto cara alla narrativa fantascientifica.
Nel caso vi abbia incuriosito, potete acquistare Localhost su itch.io al prezzo di 5 dollari. Una cifra perfettamente commisurata a un’esperienza sì fugace, ma che si presta a più di un solo playtrough, viste le varie scelte capaci di influenzare l’epilogo cui pone di fronte l’utente.

Ho potuto provare Localhost grazie a una review copy gentilmente concessa dalle autrici del gioco.

7

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