Moda e videogiochi: mai così vicini

Un’analisi di stile per accompagnare la Milano Fashion Week

Jacopo Di Iorio
The Shelter
13 min readSep 19, 2016

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Il mondo è vario, questo lo sappiamo tutti, e tra le molteplici creature viventi c’è chiaramente anche l’essere umano, affascinante monello dalle innumerevoli sfumature. Tralasciamo però i numerosi olotipi umani e concentriamoci soltanto su quello del videogiocatore. Cosa ha che lo caratterizza? Chiaramente è una persona che si diletta e si intrattiene con l’uso di videogiochi. Sforziamoci un po’ di più e diamogli un volto, un nome, un aspetto. Allora, siccome viviamo di cliché e crediamo fermamente nella realtà come rappresentazione, possiamo ipotizzare che se tutte le miss, i tronisti e i fan di Real Time sono vuoti sbocciatori senza cervello, il videogiocatore tipo deve per forza essere un giovane maschio, con il viso segnato dall’acne e una repressa rabbia adolescenziale ancora tutta da sfogare. Aumentando i dettagli inserirei una spiccata cisessualità, una ricerca certosina per l’ostentazione della propria identità di gamer, capelli selvaggi e un look casual composto da Converse rosse e t-shirt tematiche.

Lo stile è l’armatura per sopravvivere alla realtà della vita di tutti i giorni

Tornando per un attimo seri, nonostante la figura dell’amante dei videogame sia molto più variegata rispetto alle rappresentazioni banali e caricaturali che spesso si danno ingenuamente, è innegabile che sia sempre più comune dimostrare la propria passione semplicemente indossandola. I brand del mondo di videogiochi vengono quindi portati al petto come la coccarda tricolore, oppure incise a inchiostro indelebile sulla pelle. Dai, come si fa a resistere a una bella Triforza tatuata sul bicipite o, in maniera meno estrema, al tintinnio di un sobrissimo medaglione da Witcher? Se invece si vuole essere davvero orgogliosi dell’amore per i nostri eroi preferiti la via da seguire è quella ben più costosa e impegnativa del cosplay: si tirino fuori le stoffe, si infiammino le pistole per la colla a caldo e vai con il DIY. Ora che il vostro scafandro da Big Daddy è stato confezionato vi meritate quei diecimila e passa scatti al Lucca Comics & Games e la ragionata malinconia del dovere rinunciare all’amata armatura mentre siete seduti nel vostro ufficio, alla mercé del vero boss della vita: il vostro capo.

Insomma, la volontà di combattere contro le difficoltà di tutti i giorni nelle scintillanti divise dei nostri personaggi preferiti o, molto più semplicemente, di comunicare con il nostro stile l’atmosfera di quei mondi fantastici visitati pad in mano c’è. E questo non lo sanno soltanto quei furboni di J!NX, pronti a rifilarti cappelli di Overwatch, ma anche i grandi boss dalle torri d’avorio del mondo dell’alta moda. E se lo stile, secondo il da poco scomparso fotografo di moda Bill Cunningham, è “l’armatura per sopravvivere alla realtà della vita di tutti i giorni”, è arrivato il tempo di indossare le corazze dei nostri eroi.

VESTIMI DI PIXEL

Carri Munden mano nella mano con Sonic.

Nel grande minestrone della cultura pop che si autofagocita in un continuo rimescolarsi, la moda ha sempre trovato un fermo punto di riferimento. La moda, in maniera un po’ approssimativa e banale, ha sempre avuto come obiettivo principale quello di essere apprezzata, amata e, soprattutto, venduta. Quindi, ciò che è “fashion” deve raggiungere tutti, deve influenzare tutti, diventare popolare, essere — per l’appunto — pop. Per raggiungere questo obiettivo non da poco, stilisti e designer provenienti da tutto il mondo hanno sempre cercato di rinnovare loro stessi, stagione dopo stagione, seguendo gli sviluppi tecnologici, le tendenze urbane ma soprattutto i grandi mutamenti nel costume e nella cultura mondiale.

Un attento lavoro di continua trasgressione, commemorazione del passato e arricchimento che, più volte, ha portato a eleggere come fonte di ispirazione anche il mondo dei videogiochi. Sono infatti sempre di più i creativi che inseriscono tra le linee del loro curriculum vitae una spiccata passione per i videogiochi, come l’inglese Carri Munden, volto dietro l’etichetta CassettePlaya, che ha disegnato la sua Primavera-Estate 2007 seguendo i colori e le linee della Green Hill Zone, primo livello del celebre Sonic The Hedgehog.

Mancando questa passione, a influenzare i designer è l’enorme fascino di cui sono dotate le più grandi icone dei videogiochi, fascino legato alla riconoscibilità della loro immagine, della loro palette o per ciò che effettivamente rappresentano anche al di là del loro media di riferimento.

Quando si parla infatti d’identificabilità, niente può battere la semplicità della forma del leggendario Pac-Man, a cui Giles Deacon nella sua collezione Primavera-Estate 2009 fa riferimento in un continuo omaggio alle forme dei ruggenti anni ‘80’. Le sagome della celebre mascotte Namco e dei suoi ectoplasmatici nemici giurati si decontestualizzano per riciclarsi in avveniristici caschi metallizzati o in stampe glitterate.

Comodi caschi e vestiti per sfuggire ai labirinti a sfondo nero della vita.

Non può chiaramente mancare l’idraulico più amato e apprezzato di tutta l’industry, quel Super Mario che per il suo trentesimo compleanno si è regalato una collaborazione con Moschino. Il direttore artistico della casa di moda italiana, Jeremy Scott, ha deciso di arricchire magliette, maglie in lana intarsiata e pelletteria con le stampe dei personaggi più famosi del franchise di Nintendo. Si va oltre alla semplice ispirazione, ricadendo in una vera collaborazione tra moda e videogame che trova la sua forza nell’incontro di due bacini di utenza così lontani ma allo stesso tempo vicini, entrambi desiderosi di indossare l’iconicità dei due marchi in gioco. La fashion victim, insomma, sarà rapita dalle avanguardie concettuali di Moschino che, come successo già anche con Barbie e con McDonald’s, rielaborano con la loro personale chiave di lettura brand da pesi massimi, mentre la videogiocatrice ormai rodata sarà coinvolta soprattutto dai personaggi ritratti con estro in tutta la collezione.

Seguendo lo stesso ragionamento, Nintendo raddoppia la sua presenza nel mondo della moda lanciandosi nello street wear con la recente collaborazione con Vans. La collezione proposta viene presentata come un power-up a tema NES della classica linea. Gli 8bit diventano padroni incontrastati di indumenti che strizzano l’occhio a un’era dei videogiochi leggendaria e ormai andata, quindi vintage, ergo spaventosamente cool.

Nintendo nella moda con Vans e Nintendo.

Senza scomodare la grande N, il passato del nostro medium preferito, coi suoi colori acidi e nella sua struttura di pixel, è sempre stato un portentoso punto di partenza per dare vita a virtuosismi di tessuti e materiali di primo ordine proprio come ci ha mostrato Kunihiko Morinaga alla Tokyo Fashion Week del 2011.

È proprio negli ultimi tempi, però, che i videogiochi reclamano la loro centralità nell’imposizione di nuove tendenze, diventando non solo la fonte di ispirazione ma proprio elemento che identifica il fashion. Al solito prodotto per fan, quello acquistabile nei negozi specializzati, si passa a oggetti che condividono con il merchandise lo spirito di esaltazione del eroe ritratto, aspirando però a un pubblico più vasto e innalzandosi a oggetto di moda, diverso e diversamente contestualizzabile dalla tipica t-shirt a cui siamo abituati.

Pixel Art su tessuto.

Le case di moda hanno incominciato quindi a inserire tra i loro possibili acquirenti anche i videogiocatori e, nella maggior parte dei casi, le giocatrici, dimostrando implicitamente di avere la consapevolezza che si è davvero usciti dallo stereotipo del gamer scherzosamente descritto in apertura. Considerando inoltre che si sta parlando di alta moda, si potrebbe benissimo dare per scontato che nelle basi extralusso dei magnati del fashion i videogame non sono considerati solo un passatempo per bambini, ma anche per adulti. E che adulti! Adulti che possono avere uno spiccato senso della moda e spendere una bella mazzetta di centoni per non impallidire durante la Milano Fashion Week accanto a Chiara Ferragni.

Fashionisti e fashioniste improvvisamente potrebbero scoprire la passione per il gaming

Chiaramente si sta esagerando, ma in questo giro di valzer ad arricchirsi sono chiaramente entrambi i ballerini. Il rimando pubblicitario che ne deriva è pazzesco: fashionisti e fashioniste improvvisamente potrebbero scoprire la passione per il gaming, mentre impaviditi platinatori, tra un achievement e l’altro, potrebbero iniziare ad apprezzare giacche in pelle e camicie con collo alla koreana.

Funzionerà? Quello che è certo è che si avrà molta più scelta e qualità nell’esprimere il proprio amore nei confronti del nostro medium preferito.

PIXEL ALLA MODA

Finché sono gli estrosi fashion designer a rielaborare le regole del mondo della moda, seguendo le linee digitali dei nostri universi preferiti, non c’è quasi nulla di strano… ma quando i ruoli si invertono la cosa potrebbe diventare un tantino spiazzante. Nobili combattenti e impavide eroine vestite con le ultime novità direttamente dalle passerelle di una qualsiasi delle capitali del fashion: potrebbe essere possibile? Per quanto possa essere assurdo questo è già successo, e continuerà molto probabilmente ad accadere in futuro. In realtà, nel contesto dei simulatori di vita quali Second Life o The Sims, l’associazione di marchi è una mossa abbastanza scontata atta ad aggiungere un pizzico di realismo al mondo di gioco, arricchendolo delle creazioni di veri stilisti, come accadeva in The Sims 2 con H&M, colosso svedese del fast fashion, e in The Sims 3, con Diesel.

Ciò che invece risulta abbastanza strambo è sfogliare un vecchio Arena Homme + (rivista maschile pubblicata dalla Bauer) del 2012, e trovarsi alcuni personaggi di Final Fantasy XIII-2 abbigliati con alcuni capi dell’ultimissima collezione firmata Prada, chiaramente ispirata all’eleganza un po’ classista dei golf club. Nelle pagine patinate del magazine Hope indossa una camicia a maniche corte per cui ucciderei volentieri il lettore, mentre Lightning sembra assolutamente a suo agio pur essendo in drag.

Camicie dai pattern giocosi addosso a dei modelli speciali.

Proprio l’eroina del tredicesimo capitolo della celebre saga firmata Square Enix ha poi incantato Nicolas Ghesquière, direttore creativo di Louis Vuitton per quanto riguarda la collezione donna. Secondo il boss del famoso marchio francese, l’attualissima collezione Primavera-Estate 2016 riesce a rappresentare una donna eroica, forte e impavida, sempre rivolta verso il futuro, un po’ come quelle a cui i videogiochi ci hanno abituato. Quindi, in una linea in cui l’estetica digitale dei videogiochi è predominante, dice Ghesquière, “se si riflette sulle eroine, o su cosa potrebbe costituire la natura di una donna le cui azioni possono essere così coraggiose da renderla superiore ed iconica, diventa ovvio che la realtà virtuale si integra con i principi fondamentali della Maison.” Per questi motivi, “Lightning è la rappresentazione perfetta di una donna globale ed eroica per un mondo in cui i social network e le comunicazioni sono oramai profondamente intrecciati con la nostra vita.

Per un’industria che, similmente a quella dei videogiochi, si evolve seguendo le innovazioni tecnologiche, lei potrebbe essere eletta come simbolo di un nuovo processo pittorico che rivoluziona l’immagine pubblicitaria del mondo della moda, andando oltre i classici principi della fotografia e del design. L’orgoglio di Ghesquière — grandissimo fan di videogiochi e fantascienza — nell’avere come musa la splendida protagonista di Final Fantasy XIII è condivisa anche da Tetsuya Nomura, che afferma come la collaborazione tra i due colossi non “è solo una mossa promozionale per il gioco, ma un grande onore” capace di infondere un nuovo respiro al personaggio di Lightning, prelevandola dal mondo di Cocoon da cui deriva e rendendola una vera celebrità.

Si ripete un po’ quello che è successo ad Hatsune Miku, con la sostanziale differenza che la guerriera del gioco Square Enix si rivolge a tutti e non solo ai giapponesi, facendosi portavoce di uno dei più grandi colossi della moda come fosse una delle tante Alicia Vikander o Michelle Williams, precedentemente scelte dalla maison francese. Lightning rilascia interviste, esprime la sua opinione sulla visione di Louis Vuitton affermando, forse in maniera un po’ estranea al suo carattere, che questo stile era nuovo per lei, ma nel momento in cui l’ha visto è stata colpita da un fulmine, illuminandosi sul fatto che un cambiamento è possibile e che anche lei può cambiare, abbandonare la sua armatura per accogliere un look che la riempisse di un “senso di serenità e orgoglio”. Un look che le permettesse finalmente di comprendere la sua vera identità.

Lightning poi aggiunge dei pensieri che seguono perfettamente il discorso precedente sulla volontà di espressione di ogni videogiocatore: “I miei vestiti non erano niente più che un’armatura per rimanere in vita; il “vestirsi” era un concetto a me estraneo ma questa esperienza mi ha aperto gli occhi. La moda non è qualcosa che ti viene insegnata o donata, prende vita dai tuoi stessi gusti e dalle proprie scelte. Rappresenta l’essenza di chi sei alle persone che hai intorno. […] Dopo questa esperienza, un giorno, in un futuro non troppo distante, sarò di nuovo fuori, in un mondo in pericolo. Ma non sarò la stessa persona che ero prima. Ritornerò alle mie origini come un nastro di Möbius ma sarò una nuova me, una versione evoluta.

Lightning diventa reale, campeggiando in uno dei tanti store del celebre marchio.

Questo arricchimento personale e culturale per mezzo del vestiario che ha colpito Lightning sembra essersi diffuso in tutta Square Enix, da sempre avvezza alle sperimentazioni modaiole (si veda Final Fantasy X-2, The World Ends with You o il più recente Final Fantasy XIII: Lightning’s Return), che non ha osato — e giustamente, aggiungo io — affidare il costume design dei personaggi principali del travagliato Final Fantasy XV al character designer Tetsuya Nomura. I protagonisti dell’attesissimo ultimo capitolo della “fantasia finale”, Noctis e amici, già criticati per il loro stereotipato aspetto da boyband J-pop, saranno infatti abbigliati dal designer giapponese Roen, una vera istituzione in patria.

Di conseguenza, i vestiti che indossano i nuovi eroi della terra di Lucis non sono appetibili soltanto dai cosplayer di turno ma da qualsiasi persona, fan della saga o no, con una certa vicinanza al fashion nipponico. È quindi possibile visionarli online e notare la ricercatezza nei dettagli, nei particolari e nei colori (esatto! non sono tutti completamente neri ma presentano anche pattern animalier e principe di Galles) e sganciare cifre nell’ordine dei duemila dollari per portarsi a casa l’elaborato smanicato di Prompto, il sexy ma tonto compagno ex obeso del principe Noctis.

Il look di Prompto riproposto dallo stilista giapponese Roen.

Trascurando il fatto che tutti i capi sono sold out e che, se fossi schifosamente ricco da #richkidsfrominstagram, un bel pantalone maculato e teschiato me lo comprerei volentieri, non sarebbe corretto pensare che tale collaborazione si limiti soltanto a un ambito commerciale. Nell’idea di Square Enix, Final Fantasy XV si dovrebbe arricchire con il contributo di Roen non solo da un punto di vista estetico, ma soprattutto narrativo. Così facendo, tutto rientrerebbe in linea con la volontà di creare un mondo fantastico che sia profondamente basato sul quello reale e, di conseguenza, anche sulle tendenze vigenti, facilmente comprensibile da qualsiasi giocatore odierno. Un accorto costume design dovrebbe quindi permette di esprimere il carattere dei protagonisti, inserendoli però in un contesto di più ampio respiro, cosa che il character design da solo spesso non permette. Spesso e volentieri il look degli eroi dei videogiochi è troppo fine a sé stesso, pensato per essere visivamente cool piuttosto che comunicare qualcosa in più del solito carattere del personaggio.

Bisogna riuscire a esprimere il carattere dei personaggi inserendoli però in un contesto di più ampio respiro

Si prenda ad esempio Adam Jensen, protagonista della serie Deus Ex: il suo look è totalmente dark, elegante e allo stesso tempo decadente, perfetto per rappresentare il carattere del protagonista. Però è anche talmente unico, particolare ed eccessivo che sembrerebbe un capo tipico del protagonista, e molto probabilmente l’unico che possiede. Non si riesce insomma a capire il ruolo che Adam ricalca all’interno della società o gli stilemi estetici dell’universo di gioco semplicemente guardando ai vestiti neri del protagonista. Di conseguenza, Deus Ex e la sua società rimangono distanti e poco credibili, cosa che i designer avevano, a detta loro, cercato di evitare proprio estrapolando i trend modaioli attuali e proiettandoli nella Detroit del futuro in cui il gioco è ambientato.

Un look d’impatto ma poco informativo sul mondo di gioco.

Insomma, nel continuo tentativo di imitare il cinema, cosa che forse il mondo dei videogiochi dovrebbe smettere di fare puntando i riflettori ad altri media, ci si dimentica spesso della coerenza estetica del vestiario. Questo però, non è sempre vero.

Si prendano ad esempio i videogiochi della serie Pokémon, in cui ogni singolo allenatore è inserito in un contesto autodeterminativo, ma al contempo globale. Con facilità si può parlare di una moda del mondo Pokémon in cui ogni regione e ogni tipologia di personaggio ha un proprio look particolare che, però, nella sua diversità segue delle linee generali. Nel mondo Pokémon è facile immaginarsi il guardaroba di ogni protagonista, a differenza di Deus Ex.

Ci sono però dei giochi dove è proprio il guardaroba degli eroi a finire al centro dell’attenzione. Questo è il caso di Splatoon che, prendendo di peso le tendenze giapponesi e inserendole nell’inventario e nell’equipaggiamento degli Inklings protagonisti, ha involontariamente suggestionato l’industria della moda nipponica. Vuoi per il successo del titolo Nintendo, vuoi per la continua condivisione di materiale ad esso inerente, Splatoon e il suo stile sono diventati di tendenza anche per chi un joystick non lo ha mai preso in mano. È quindi facile immaginare che, un eventuale seguito del fortunato sparatutto venga pensato anche da un punto di vista modaiolo e non solo ludico, magari coinvolgendo proprio costumisti, fashion designer o siglando collaborazioni con case di moda.

Nei blog di moda sono già apparsi i primi outfit ispirati ai personaggi di Splatoon.

Il videogioco quindi si sposterebbe in un universo d’ispirazione nuovo, estraneo ma comunque affascinante e spesso necessario per facilitare la narrazione di universi più complessi e variegati, dove le dinamiche sociali devono essere colte in maniera intelligente e mai banale.

Rockstar, già influenzata da figure della moda come Karl Lagerfeld, presente in Grand Theft Auto IV nei panni di speaker radiofonico, sa bene che i vestiti sono uno degli elementi più naturali con cui veicolare differenze sociali e di ceto. Siccome è l’abito a fare il monaco, per GTA V è stato pensato bene di chiedere l’aiuto di Lyn Paolo, pluripremiato costumista ora al lavoro su serie TV del calibro di Shameless e Scandal. Dalla sua esperienza nel mondo dei videogiochi, Lyn Paolo spera che la nostra industria preferita comprenda presto l’importanza dei costumi e di una figura professionale tipo la sua che sia in grado di guidare la realizzazione di vestiti sempre più realisti e meno piatti.

Anche se ancora per un po’, nelle riunioni di qualsiasi software house, non si sentirà mai dire “abbiamo troppo bisogno di un fashion designer perché questo maglione è così poco cool!”, è stupido pensare al mondo della moda e a quello dei videogiochi come due universi totalmente estranei. I due, infatti, si corteggiano e copiano reciprocamente in una continua evoluzione dettata dallo sviluppo tecnologico. Entrambi gli universi aspirano assieme a creare delle armature che vadano bene sia per fronteggiare le forze del male, sia le grandi tempeste della vita.

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Jacopo Di Iorio
The Shelter

Da piccolo volevo fare il pittore ora come ora il pirata. Scrivo di videogiochi, di cultura pop e di tutto ciò che “c’entra perché ci capa”.