Opinioni di un master #01 — Un caffè con Mordenkainen, molti anni dopo

Davide Mancini
The Shelter
Published in
9 min readJul 10, 2018

Il gioco di ruolo è una di quelle scimmie che non può abbandonarti, anche quando non hai effettivamente il tempo di darle sfogo. La prima volta che ho “ruolato” è stato intorno ai 14/15 anni, su IRC, ma il battesimo del fuoco c’è stato un paio d’anni dopo, durante un’autogestione a scuola, quando organizzai il primo gruppo di gioco, che per tre anni e mezzo ininterrottamente ha segnato l’avvicendarsi delle prime campagne, della valanga di manuali comprati a caso, dei pellegrinaggi in tutti i negozi di Napoli che si trasformavano in ludoteche. Un periodo di amicizie intense e fugaci, di litigi e discussioni, e una sola certezza: quella che alla fine mi trovavo masterizzare (o masterare) il più delle volte. Perché poi è così, una volta che sei master, lo sei per tutta la vita.

L’università, la diaspora delle amicizie, la mancanza di tempo, i troppi videogiochi da giocare, gli amori e gli spostamenti finiscono per trasformare l’impegno settimanale in qualcosa di sempre più raro, fino a diventare un evento raro, di quelli che alla fine ti accontenti di un’avventura pre-fatta, di una piccola campagna, provi a far giocare chiunque del tuo gruppo, promettendo grandi avventure che alla fine naufragano perché è tutto diverso dai tempi d’oro, e non tutti gli amici si appassionano così tanto. Ma la scimmia è lì, che ti guarda, silenziosa, mentre sfogli i PDF comprati su DriveThruRPG appena mette ci sono i saldi, perché non si sa mai. Poi però succede che dopo i trenta, nonostante la vita sia semplicemente più incasinata e in teoria non ci stai comunque dentro con i tempi, arriva il momento di affrontare di petto il problema. Ti manca lanciare i dadi, ti manca quel momento di brivido del “tirare iniziativa” o dell’ascoltare divertito l’approccio a una situazione limite del giocatore più silenzioso del gruppo che decide che è arrivato il momento di prendersi la scena. Capisci che se il tavolo è un’utopia, la tecnologia è fatta per ridurre le distanze: esistono gli amori a distanza, e lo sai bene, esistono i lavoratori da remoto, e lo sai ancora meglio, ma soprattutto passi oltre il 60% del tuo tempo connesso a parlare con persone che convivono con lo stesso mammifero appollaiato sulla spalla. Persone che sono amici, che appena puoi vai in giro per l’Italia ad abbracciare, che ti hanno offerto più volte un divano dove dormire e con cui hai condiviso, nella vita reale, avventure degne di una ruolata venuta bene. Perché dunque non puoi trovare il tempo di giocare insieme, magari al posto di una serata passata su un qualsiasi gioco multiplayer? dShelter è esattamente questo, e dopo che sono passati praticamente sei mesi di sessioni quasi ininterrotte è forse venuto il momento di fare il punto su uno dei format di cui andiamo più orgogliosi. Perché alla fine se ce l’abbiamo fatta noi, vuol dire che basta poco a ritagliarsi del tempo per sedare la scimmia.

Ruolare oggi

Se avete seguito le sessioni (qui), o il podcast (che vi embeddo in ogni dove, ma voi iscrivetevi che è meglio), sapete bene che il nostro approccio è stato incredibilmente leggero, informale, senza un progetto. Un po’ perché The Shelter è notoriamente così, un po’ perché l’obiettivo primario era quello di divertirsi. Lo streaming su YouTube è stato un modo per creare una cornice performativa e darci delle scadenze, perché storicamente siamo pigri, e ci facciamo prendere dalle mille cose che facciamo. Se dovessi dare un consiglio a chi oggi vuole tornare a ruolare con costanza, è quello di trovare una modalità di motivazione efficace per il gruppo. La nostra è quello di raccontare le nostre esperienze live, scrivendo, parlandone dopo, e per farlo abbiamo deciso che la campagna va avanti anche con uno o due assenze, che a volte ce ne freghiamo della coerenza e della pianificazione e giochiamo lo stesso.

Se dovessi dare un consiglio a chi oggi vuole tornare a ruolare con costanza, è quello di trovare una modalità di motivazione efficace per il gruppo.

Col tempo stiamo intervallando avventure alla campagna, perché alla fine una volta trovato il ritmo, è facile gestire gli eventuali salti, e ti viene naturalmente voglia di provare altri giochi, o sperimentare. Non fermatevi mai. Il secondo punto è quello di sfruttare le opzioni che la tecnologia ci offre: Discord oppure Hangout sono perfetti per ritrovarsi in chat, i gruppi di Facebook, oltre che Dropbox, sono meravigliosi per creare una repository per il materiale, Roll20 o Fantasy Grounds sono più comodi di un tavolo e hanno i dadi inclusi, ma nessuno vi impedisce di rollarli felicemente sulla scrivania e inquadrare i risultati. Le patatine e la birra condivise non ci sono ancora, ma c’è il vantaggio di potersi costruire la propria riserva personale di junk food, e soprattutto, l’inquadratura della webcam vi permette di stare in mutande quando fa caldo senza problemi. Il terzo punto è fregarsene di non avere tempo di spulciare ogni manuale esistente del sistema scelto, perché alla fine conta divertirsi, e che il master abbia chiare le idee su come gestire il gruppo. La rifinitura arriva dopo, con calma. Se questo approccio è condiviso da tutti, non c’è rischio di non divertirsi, e, soprattutto, almeno personalmente mi ha consentito di fare uno scatto mentale notevole. Giocare di ruolo oggi con costanza oggi è molto meglio di quando lo facevo quindici anni fa, perché si sono moltiplicati gli stimoli culturali e le fonti di ispirazione, ma soprattutto ho obiettivi diversi, sia rispetto alla tipologia di storie che voglio raccontare, che alla qualità del gioco che voglio al tavolo. È un discorso analogo a quello del calcetto con gli amici: quando sei più piccolo vuoi dimostrare di essere bravo, vuoi essere decisivo, e cerchi necessariamente la competizione anche all’interno di una cornice non competitiva, magari mettendo in gioco una build particolare, studiando soluzioni stravaganti per mostrarti padrone di quel passatempo magico; adesso il fatto stesso di giocare con gli amici di sempre basta a farti stare bene. Valorizzare il rapporto con gli altri dovrebbe essere la priorità di ogni buon tavolo di gioco, e dShelter è la dimostrazione di quanto possa essere importante la sintonia tra persone che vivono contesti differenti, ma sono legate da un’esperienza unica. Per noi è stato importante conoscere 7th Sea, gioco di ruolo di John Wick Presents, perché è stato un sistema che ci ha svuotato la mente dalla contabilità e dalla matematica per lasciare tutto nelle mani della voglia di raccontare una storia. Nella prima puntata del podcast vi spieghiamo il perché, ma ogni gruppo ha le sue esigenze, e tutti i sistemi possono riaccendere la sacra fiamma del ruolo.

Non c’è scampo a Dungeons & Dragons

Alla fine si torna sempre a casa, e Dungeons & Dragons è più o meno il punto di partenza per tutti. Lo è stato per noi, e dopo mesi di rodaggio e di entusiasmo, è inevitabile che la voglia di d20 sia ritornata. Confesso che avevo seguito la quinta edizione durante la beta di Next, poi un paio di anni fa ho comprato i manuali in digitale sfruttando un po’ di sconti, ma il mio processo di studio si è fermato a discussioni filosofiche sul sistema in compagna di Lorenzo Bonaffini, che invece è un giocatore assiduo anche dell’ultima edizione del GDR di casa Wizards. dShelter è stata un’occasione per tornare a spulciare i manuali, anche grazie all’arrivo di Mordenkainen’s Tome of Foes, l’ultimo manuale pubblicato, inviatoci gentilmente per permetterci di organizzare una sessione di quelle in cui arrivano demoni da ogni dove piano dell’esistenza che fanno malissimo ai poveri eroi. Non prendete, dunque, le mie parole, come una recensione, ma piuttosto come alcune sensazioni di chi riscopre un vecchio amico dopo anni che ci si vede poco e nulla. Si tratta di impressioni confluite anche nella seconda puntata del podcast, dedicata completamente a D&D, ma che mi sembrava giusto riportare anche sulle pagine del sito.

Dungeons & Dragons quinta edizione è un’edizione fresca, leggera ed estremamente interessante, che prova a fare ordine dopo il mezzo flop della quarta e l’estrema proliferazione di 3 e 3.5, due edizioni storiche, vessate però dalla sovrabbondanza di materiale e soluzioni. Per chi aveva fatto i bagagli per fuggire comprensibilmente verso le lande di Pathfinder, potrebbe essere giunto il momento di ritornare nel multiverso di Wizards. La prima grande novità è proprio la canonizzazione di tutte le ambientazioni nei core manuals, nel senso che qualsiasi setting decidiate di utilizzare, anche uno personale, può facilmente interagire con gli altri, senza aver bisogno di volumi extra. La seconda grande novità è la semplificazione di tutta la parte matematica del gioco, che riduce la necessità di consultare i manuali durante la partita e rende molto più facile la gestione dei personaggi. Il terzo elemento che mi preme sottolineare, invece, è che tutto sommato è rimasto comunque D&D, in maniera quasi nostalgica, ben lontano dalle derive videoludiche della quarta edizione. È solo un D&D più contemporaneo, che ha preso buone idee da sistemi più funzionali e le ha integrate in un universo che da sempre, per tutti, è sinonimo di gioco di ruolo. E poi, niente, i manuali sono bellissimi, chiari, impaginati in maniera splendida, anni luce avanti, per stile, a quelli delle precedenti edizioni e a quelli di altri sistemi. L’ultimo concetto chiave, che mi fa collegare al nuovissimo manuale disponibile in inglese da fine maggio, è quello di progressione orizzontale. Dai personaggi, alle classi, fino alle ambientazioni, nella 5E tutto segue una logica di ampia personalizzazione, meno verticale nell’idea di aggiungere variabili e nell’assecondare la logica del power playing e della ricerca del potere. È un sistema che definisce molto meglio lo spazio per l’interpretazione e per la ricerca personale, pur mantenendo fermissima l’idea che le meccaniche di gioco vengono prima.

Tra i manuali di espansione, quello dedicato al mago più famoso di Greyhawk è forse quello più succulento

Il vettore orizzontale con cui stanno si stanno seguendo le pubblicazioni vede da un lato il proliferare di campagne diverse, che di fatto raccontano l’ambientazione durante le giocate; dall’altro, riprendendo con vena quasi nostalgica AD&D, le espansioni di gioco regalano ampie fette di lore attraverso l’esperienza di figure storiche del multiverso di Wizards, come Mordenkainen, Volothamp Geddarm o Xanthar il beholder. Le guide griffate da queste importanti firme, come il Mordenkainen’s Tome of Foes, per l’appunto, sostituiscono di fatto l’enorme quantità di manualistica specifica (niente manuale del perfetto idraulico planare, per intenderci!), per raccontare sia i perché delle diverse ambientazioni, delle razze e degli elementi più iconici del multiverso, sia per offrire soluzioni pronte a tutti i giocatori. Rispetto agli anni ’90, dove in queste guide dominava una scrittura ampollosa per restare sempre “in character”, l’esposizione si è fatta chiara, moderna, e l’impaginazione mette in evidenza in ogni momento gli elementi legati all’ambientazione, le parole del personaggio in questione, e le soluzioni di design sotto forma di esempio.

Nella fattispecie, dei tre manuali di espansione, quello dedicato al mago più famoso di Greyhawk è forse quello più succulento, perché riporta alla luce uno dei pezzi di background più interessanti della storia di D&D, ovvero la Blood War, la più grande battaglia tra demoni e diavoli, tanto cara a chi ha amato Planescape: Torment. Raccontandola, com’è giusto che sia, secondo la logica dell’ordine contro il caos, rappresenta una risorsa succulenta per tutti i master che vogliono utilizzare i Piani Inferiori con i riferimenti giusti, nonché una finestra sul background del gioco estremamente godibile. Il concetto dell’equilibrio delle fazioni e delle forze domina l’intero manuale e viene portato a esempio anche nella descrizione delle faide tra le diverse razze classiche, di cui vengono elencate e spiegate le differenze e le sottorazze, e viene concesso anche grande spazio alle stirpi planari come Githyanki e Githzerai, per la gioia di chi, finalmente, potrà finalmente giocare un Gyth senza impazzire troppo. Infine, il bestiario è davvero folle, ma nel senso buono del termine, ed è una risorsa di orrori senza fine per i master che vogliono davvero mettere in difficoltà i propri giocatori. Ed è anche per questo che mi è risalita la scimmia di masterizzare una sessione di Dungeons & Dragons, per la gioia dei miei compagni di avventura di dShelter.

Il Mordenkainen’s Tome of Foes è disponibile al momento soltanto in inglese sia in edizione fisica (al prezzo di circa 32 €, almeno su Amazon), oppure in digitale su DriveThruRPG, o anche in versione espansione per Fantasy Grounds o Roll20. Per giocare con noi su dShelter, iscriviti al gruppo ufficiale su Facebook, o segui il nostro canale YouTube.

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Davide Mancini
The Shelter

Scrivo di videogiochi, tecnologia e cultura pop, fotografo cose, faccio video, millanto capacità creative.