Out of the Park Baseball 19 è un diamante più prezioso del solito

Davide Mancini
The Shelter
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5 min readMay 18, 2018

C’è un po’ questa tradizione, sullo Shelter, che vede me e Lorenzo Bonaffini palleggiarci con maestria una delle serie sportive più affascinanti dell’anno, ovvero Out of the Park Baseball, saga manageriale dedicata allo sport che meglio definisce la cultura americana. Sono quasi vent’anni che Markus Heinsohn e la sua software house costruiscono, un pezzo alla volta, una delle migliori rappresentazioni sportive disponibili sul mercato, ma è dal 2015 che OOTPB ha fatto il salto di qualità, con l’acquisizione dei diritti della MLB e la conseguente crescita esponenziale anche del bacino d’utenza. In questi ultimi tre anni, Out of the Park Developments ha lavorato alacremente per trasformare un manageriale old school, tutto numeri e testi, in un prodotto comunque di nicchia e rigoroso, ma almeno più user friendly, pur mantenendo saldi i principi di gioco: grandissima solidità delle statistiche (com’è giusto che sia quando si parla di baseball), un’AI in grado di restituire un contesto realistico e la tendenza a creare storie emergenti intriganti.

Nella scorsa edizione, la software house americana ha provato anche a fare il grande salto verso un motore grafico 3D in grado di coinvolgere attivamente mostrando le azioni di gioco, un po’ come accade da qualche anno anche in Football Manager, l’altra grande IP manageriale del mondo PC. Il risultato è stato altalenante, ed è per questo che Out of the Park Baseball 19 riparte proprio dall’engine tridimensionale, che mostra finalmente qualche muscolo e diventa parte integrante della simulazione. In questa edizione si passa dai vecchi token ad atleti veri e propri, con animazioni ancora rivedibili, ma sufficientemente descrittive. Non tutti i movimenti sono sempre congrui, ma ritrovarsi a incoraggiare i propri interni a chiudere la giocata, i recuperi degli esterni e le corse dei battitori alla ricerca della base è entusiasmante.

Il rinvigorito riscontro visivo porta a un coinvolgimento superiore, e a intervenire in prima persona molto più di prima

Non guasta neanche un’approssimativa, ma funzionale, riproduzione degli stadi americani, sufficientemente diversi per creare un po’ di contesto ambientale, sottolineato invece in maniera eccellente da un audio dinamico che mi ha sorpreso decisamente in positivo, soprattutto quando sul nono inning di una partita incredibile i miei Dodgers si sono trovati a fronteggiare un inatteso comback di Arizona in seguito a un home run salutato dal pubblico con un caos frastornante. Insomma, ogni partita di Out of the Park Baseball 19 può essere una storia interessante da vivere, e il riscontro visivo porta indubbiamente a intervenire in prima persona molto più di prima. In ogni momento si può attivare la simulazione, saltare un inning o un’azione, passare a un’altra visuale e gestire il proprio team proprio come prima, ma è indubbio che il maggior pregio della nuova edizione del titolo è rappresentata dal nuovo vigore del match engine 3D.

Il cuore pulsante della produzione resta ovviamente il grandissimo modello simulativo, che è stato semplicemente raffinato come ogni anno, per adattarsi allo sport che vuole raccontare. La presenza in MLB di un two-way player purissimo come Shoei Otani sul versante più angelico della metropoli californiana ha costretto i dev a lavorare per rendere molto più credibile, ed efficaci, i giocatori bidimensionali, ovvero in grado di andare sul monte di lancio e in battuta. Il risultato è ottimo, e l’AI, in generale, sembra stata rinfrescata parecchio sul fronte della gestione dei roster e della strategia nei momenti topici delle partite. Chiaramente, il mio punto di vista non è quello di un guru del baseball, ma di un appassionato che anno dopo anno, grazie a MLB The Show e OOTPB prova a tirare le fila di uno sport assolutamente complicato da dominare senza viverne la dimensione culturale. Però ecco, che l’intelligenza artificiale sia migliorata lo si vede anche lasciandole gestire in autonomia alcuni aspetti delicati, dai contratti alle line-up, e può fungere quasi da mentore per chi vuole comprendere poco alla volta tutti gli aspetti di microgestione.

Tra le altre novità spiccano anche i nuovi report degli osservatori, totalmente ripensati in maniera tale da essere decisamente più chiari e comprensibili che in passato. La fluidità garantita dai nuovi scout report si estende a diversi aspetti del gioco, che risultano più rifiniti rispetto al passato, e l’introduzione di piccoli tocchi di classe qui e lì segnano già il futuro della saga. La componente della gestione avanzata dello spogliatoio, che il manageriale americano ha introdotto originariamente prima di Football Manager, è stata finalmente ritoccata, e la necessità di trovare un’amalgama lavorando sul morale e sulla coesione della squadra segna un apprezzabilissimo, e complessivamente riuscito, tentativo di rendere la simulazione meno meccanica.

Benino anche il lavoro svolto sull’interfaccia grazie a una leggera riorganizzazione del duplice menu laterale e superiore come in Football Manager. A mio avviso, purtroppo, resta ancora un po’ confusionaria, ma almeno permette una discreta personalizzazione grazie al pieno controllo delle schermate preferite, mentre la presenza di skin e font diversi aiuta a dominare e organizzare l’enorme mole di informazioni perennemente a schermo. Per il resto, si tratta di un consueto e globalmente ottimo aggiornamento del gioco alla stagione corrente, con la presenza della solita pletora di campionati (tra cui quello italiano) e nazionali con cui mettersi alla prova, e qualche difetto storico che permane, come la gestione degli infortuni non sempre brillante e una generale pesantezza di alcuni caricamenti, anche su una macchina tutto sommato prestante, quando si attivano tante leghe contemporaneamente.

Non mancano, infine, le solite piacevoli conferme per i grandi appassionati del diamante, come la possibilità di competere su scala mondiale grazie alla modalità Challenge (che disabilita alcuni aiuti e richiede la connessione online per registrare i progressi della carriere e confrontarli con quelli degli altri giocatori), la presenza dei roster storici e di quelli totalmente personalizzabili e l’annuncio, a partire da quest’estate, della modalità multigiocatore online Perfect Team, che, a giudicare dalle informazioni in nostro possesso, sembra portare la simulazione manageriale nel regno di Ultimate Team e della Diamond Dinasty di MLB The Show. Pronti a sfidare gli allenatori di tutto il mondo? Se sì, trovate il gioco a poco meno di 40 euro su Steam rigorosamente in inglese!

Ho provato a vincere la MLB con i Dodgers, senza riuscirci, ma strappando Shohei Otani agli Angels grazie a un codice review gentilmente offertoci dagli sviluppatori.

8,5

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Davide Mancini
The Shelter

Scrivo di videogiochi, tecnologia e cultura pop, fotografo cose, faccio video, millanto capacità creative.