Overwatch provato su console

Jacopo Di Iorio
The Shelter
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7 min readApr 11, 2016

Anche se la lettera per Hogwarts non c’è mai arrivata, ci sono tanti inviti che ci fanno sentire magici. Uno di questi è stato quello per provare in anteprima europea su console Overwatch, nuovissimo titolo firmato Blizzard. La location di questa prova sul campo? La splendida città di Milano, nell’elegantissima e multietnica zona di Porta Venezia, precisamente lo Spazio Anni Luce.

Il voto decisivo che ha decretato la mia partecipazione all’evento.

Selezionato dai miei colleghi dopo aver mostrato il mio valore sul campo di battaglia, mi sono tirato a lucido per essere effettivamente “il più bello della festa” e, cumulato un elegantissimo ritardo, mi sono presentato tutto damascato all’attesissimo evento. Una scelta fashion da thumps-up di Chiara Ferragni dato l’evidente matching stilistico con la splendida location, incastonata tra palazzi floreali in stile liberty italiano.

Eseguita la registrazione al piano terra dello Spazio Anni Luce, sono salito al primo piano dove molti altri invitati, più o meno noti, ma tutti privi di fondamentali damascature, attendevano l’inizio dell’evento. Tra una chiacchiera e l’altra, la soddisfazione nel vedere come la location fosse stata intelligentemente personalizzata da quelli di Blizzard per l’occasione e un drink con mini cheesecake molto “bella vita a Cape d’Antibes”, l’attesa per l’inizio della presentazione è passata in un baleno.

Sentirsi molto instagrammer calpestando Overwatch (notare maglietta damascata grazie).

Slide dopo slide, in pochi minuti, chiunque non fosse al corrente del progetto firmato Blizzard aveva colmato le sue lacune. Jeff Kaplam, direttore del progetto, non presente nonostante la sua passione per il Bel Paese perché tenuto prigioniero nei sotterranei di Irvine, in un breve videomessaggio ci ha esposto il suo amore per il nuovo titolo, l’emozione di lavorare per la prima volta su uno sparatutto online e la volontà di tutto il team di sviluppo di lasciare il segno nella storia del genere. Non so perché ma mentre ascoltavo le sue parole mescolando il mio succo d’ananas ho percepito un bagliore di commozione accendersi veloce e farsi strada nel mio petto. Che strana la primavera.

Per fare un breve recap, Overwatch è uno sparatutto online sulla falsariga del celeberrimo Team Fortress 2 che però aggiunge la caratterizzazione dei personaggi tipica di MOBA come Heroes of the Storm. Il titolo è basato sulla collaborazione: ogni giocatore, da bravo camerata, deve collaborare con i suoi compagni di squadra in modo tale da polverizzare il team avversario. Come da copione, si può scegliere di giocare in un particolare ruolo, ad esempio difensore o supporto, ma la selezione questa volta si estende anche al personaggio. Infatti, Overwatch presenta 21 personaggi divisi in quattro grandi gruppi: Offensivo, Difensivo, Tank e Supporto. Ogni combattente però è unico ed è caratterizzato da un pool di mosse e abilità esclusive. C’è chi è particolarmente agile tanto da scalare pareti, chi riesce a volare e chi a creare portali di teletrasporto: insomma, ce n’è per tutti i gusti. La varietà strategica degli eroi è inoltre accompagnata da quella stilistica. Prendendo il mondo reale, speziandolo con uno spruzzo futuristico e un pelo dispotico fatto di guerre civili tra robot e umani, quelli di Blizzard hanno dato vita a personaggi e ad ambientazioni davvero convincenti. Si combatte in una Giza d’Egitto magica e misterica oppure in un Giappone radicalmente ancorato alle tradizione, tra templi e alti, verdicanti pini, ma allo stesso tempo tecnologico e automatizzato. Le mappe disponibili saranno 12 e ognuna rappresenterà una particolare nazione. Inoltre ogni ambientazione potrà essere giocata in una sola delle tre modalità presenti al momento: Conquista, Trasporto e Controllo, tutte e tre grandi classici del genere.

Ciò che invece sfugge dalla classicità del genere, come detto prima, è proprio quanto concerne la caratterizzazione dei vari personaggi. Ognuno, come vuole il canone dei MOBA, ha infatti un proprio background e una propria personalità che si evincono dai tipici motti e dalle interazioni con altri personaggi durante la partita. Ad approfondire questi aspetti entrano in gioco le skin che, nel cambiare l’estetica del personaggio, possono anche aggiungere informazioni sul passato. Gli esempi, che saranno presenti nella Origins Edition del gioco, comprendono un Reaper, famoso e pericoloso terrorista, privato di maschera e cappuccio e un Soldato-76 che strizza prepotentemente l’occhio a Capitan America. Nel caso in cui nemmeno i cambi di outfit risultino esplicativi, quelli di Blizzard hanno pensato bene di proporre online dei corti animati atti a caratterizzare meglio gli eroi. Anche durante la presentazione c’è stato un momento cinemagique con la proiezione del corto basato su Widowmaker, sexy e bluastra cecchina. Nel caso ve lo siate perso, potete vedervelo qui sotto. Inoltre se comprendere l’ultima battuta detta fra i denti da Widowmaker, siete pregati di commentare qui sotto: sarà la vecchiaia o la mia scarsa igiene auricolare ma non riesco proprio a capirla né in inglese né in italiano. Pace.

Come un gatto che gioca in tangenziale

Al termine della presentazione, un bell’applauso e poi tutti a giuocare nelle lussuose postazioni adibite per l’occasione. Ho avuto la possibilità di fare ben tre partite, due su PS4 che presentava una versione del gioco in italiano e una terza su XboxOne con doppiaggio e testi a schermo completamente in inglese. In qualunque caso, cuffie in testa e pad alla mano sono stato pesantemente asfaltato dai miei colleghi, chiaramente molto più in gamba e agguerriti di me. Fortunatamente però sono troppo impegnato a pensare alla vergogna che proverò nel 2060 nel rivelare di essere nato nel ‘900 per preoccuparmi delle mie figuracce ludiche quindi, tralasciando l’ira dei miei compagni di squadra per averli in molti casi trascinati nel baratro della sconfitta, sono stato comunque in grado di crearmi una mia opinione su questo nuovo Overwatch. Facendola breve, il nuovo titolo di Blizzard è stato assolutamente convincente. Esteticamente parlando il gioco è un piacere per gli occhi: colori accesi e brillanti e una fluidità invidiabile anche nei momenti più concitati danno la sensazione di trovarsi di fronte a un titolo già esteticamente maturo. Tale maturità si evince anche nella struttura dei livelli provati, tre per la precisione, approcciabili da diverse prospettive a seconda del personaggio utilizzato, grazie all’abbondante presenza di sporgenze, pareti scalabili o punti rialzati.

Le continue uccisioni che gli avversari si portavano a casa nei miei confronti, oltre a farmi sentire come un gatto che insegue un gomitolo in tangenziale, mi hanno dato la possibilità di cambiare spesso personaggio in cerco di una tanto agognata tranquillità e stabilità. Ho iniziato la mia avventura con l’egiziana Pharah, attaccante coriacea e divertente da usare grazie alla sua capacità di librarsi in aria. Sono passato poi alla letale Widowmaker, in grado di utilizzare un arpione per raggiungere impensate alture dalle quali freddare gli avversari con precisissimi colpi di fucile. È stato interessante notare come, anche grazie a un sistema di mira facilitato, il passaggio tra i due stili di gioco totalmente differenti è stato abbastanza naturale. A essere sinceri, mentre fuori piovono granate è impossibile prendersi tempo per provare le mosse e, nonostante la descrizione delle abilità del personaggio fosse sempre disponibile, ho pagato sulla pelle più di una volta l’aver confuso i tasti. Un altro personaggio che mi ha piacevolmente colpito per l’inaspettata facilità di utilizzo è stato il samurai Hanzo. Armato di arco, l’eroe giapponese riesce a scagliare diverse tipologie di frecce, un po’ come un Occhio di Falco orientali. Per ottenere i privilegi della sua formidabile mira, Hanzo riesce ad arrampicarsi su strutture e pareti in modo tale da raggiungere comode alture dalle quali sorprendere i nemici.

Le postazioni per la sfida

Per quanto riguarda le modalità di gioco abbiamo potuto provare soltanto la modalità “Conquista” in cui i due team avversari devono rispettivamente conquistare e difendere delle basi dette, molto originalmente, “A” e “B”. La partita è divisa in due match, nel primo si difende/attacca mentre nel secondo si attacca/difende. A seconda delle capacità dei giocatori, ogni sessione può durare dai 5 ai 20 minuti circa ma, nelle partite più equilibrate, ho avuto la sensazione che il coltello fosse tenuto dalla parte del manico sempre dal team attaccante. Sfortunatamente, non è stato possibile provare le altre due modalità già annunciate ma, da quello che si riesce ad estrapolare da questa breve ma intensa prima esperienza con Overwatch, le speranze sono più che rosee. L’unico rischio (che poi rischio proprio non sarebbe) è che il bilanciamento necessario per trasportare l’esperienza di gioco su console generi un metagame stravolto rispetto alla controparte per computer, cosa che potrebbe un po’ spiazzare ulteriormente chi transita da mouse a pad e viceversa. Dimentichi però di questi casi di transizione di piattaforma stile The Danish Girl, Overwatch riesce già a divertire e soprattutto a coinvolgere in un universo che, dietro al rumoroso scontro tra squadre rivali, vibra di vita propria. E questa ultima cosa, diciamolo, è tutto fuorché scontata.

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Jacopo Di Iorio
The Shelter

Da piccolo volevo fare il pittore ora come ora il pirata. Scrivo di videogiochi, di cultura pop e di tutto ciò che “c’entra perché ci capa”.