Pillars of Eternity II: Deadfire viaggia da Zehir a New Vegas

Carmelo Baldino
The Shelter
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11 min readJun 16, 2018

Io sono l’Osservatore. Signore della ricostruita roccaforte di Cad Nua. Scrutatore di anime. Nemesi di Thaos. Difensore dell’animanzia dal proibizionismo bigotto. Colui che ha riacceso la Forgia Bianca, fermato un esercito di golem e trovato una quadra nella delirante lotta di potere scatenatasi tra gli Dei di Eora. Mi stavo godendo la meritata pensione nella mia roccaforte quando qualcuno ha deciso che non poteva esserci un lieto fine: Eothas, Dio della Luce, decide di tornare dopo anni di assenza. Si impossessa della gigantesca statua di Adra nelle profondità di Cad Nua e facendola emergere in superficie rade tutto al suolo. Me compreso.

Pillars of Eternity 2: Deadfire, ultimo GDR old school firmato Obsidian Entertainment, inizia davvero con la morte del nostro Osservatore, protagonista delle vicende del capitolo precedente. Nell’aldilà la dea del ciclo eterno Berath ci fa una proposta: riportarci in vita per fermare i piani di Eothas e riprenderci la nostra anima oppure sparire per sempre. Dopo tutto il casino fatto nel primo capitolo, l’ultima cosa che volevo era diventare il cane al guinzaglio di pseudo-divinità che continuano a lottare tra loro e soggiogare i kith (le razze che popolano Eora). Ho gentilmente mandata al diavolo la dea, pronto a ribellarmi al ricatto. Risultato? Game Over. Fine di Pillars of Eternity 2. Durata della prima run: 5 minuti. Finale sbloccato: “mai una gioia”.

Le ambientazioni sono molto colorate e curate.

Ricarico. Accetto e comincia l’avventura risvegliandomi su una nave che sta inseguendo la statua impazzita. Ed è subito polemichetta: questa scelta di mettere immediatamente il giocatore spalle al muro non mi è granché piaciuta, perché non è qualcosa che ti aspetti da Obsidian Entertainment. Intendiamoci: il gioco offre la possibilità di continuare coerentemente la storia dell’Osservatore, importando un file di salvataggio dal primo Pillars, cosa che ho trovato veramente comoda e coerente. Quello che non è coerente invece è ignorare dettagli che vengono svelati nel finale del primo, obbligandomi ad accettare una proposta a senso unico.

In mancanza di un savegame possiamo crearne uno da zero (rispondendo ad una lunga serie di domande) oppure scegliere tra alcuni già preconfezionati da Obsidian. In base a cosa sceglieremo verrà creata una determinata situazione politica, chi è morto resterà morto (compagni di viaggio compresi) e verranno stabiliti i rapporti che l’Osservatore ha con fazioni, compagni sopravvissuti e soprattutto con gli dei. Un input narrativo così forzato (farci morire) ha anche il problema di non creare un gancio emotivo sufficientemente forte: nel primo ci viene detto che saremmo impazziti se non avessimo fermato Thaos, qui invece si parte già con una perdita totale che viene usata come ricatto per tenerci al guinzaglio, finché non fermiamo i piani di Eothas. Fermare Thaos era una missione che percepivi come complessa ma fattibile. Fermare un Dio in una statua di 40 metri non è minimamente la stessa cosa, soprattutto se non ho alternative. Si mette in chiaro sin dal principio (confermandolo fino alle fasi finali) che siamo solo delle pedine su una scacchiera mossa da forze oltre la nostra portata. Il ruolo di Osservatore diventa uno strumento nelle mani di Berath e Eothas e non è più il pilastro attorno cui girava la trama del capitolo precedente. Obsidian vs Player Agency: 1–0.

Ho voluto mettere subito in chiaro questa cosa perché ritengo che sia tra le informazioni più importanti, al di là di quanto possa essermi piaciuto o meno. Raccontare una trama interessante e dare al giocatore un minimo di controllo sugli eventi per me sono due fattori molto importanti in un GDR story-driven. Questo secondo Pillars ci prova per certi versi, offrendo veramente un sacco di approcci alle quest, una marea di dialoghi e sezioni da librogame strapiene di ottime check sulle statistiche del nostro personaggio, tante reazioni dei compagni di viaggio alle nostre scelte, un sistema di reputazione molto dettagliato e responsivo, ma tutto questo viene inspiegabilmente valorizzato solo nelle quest secondarie o legate alle sole quest delle fazioni che si dividono il potere politico, economico e militare nell’arcipelago di Deadfire.

Si parte già con una perdita totale che viene usata come ricatto per tenerci al guinzaglio

Se invece parliamo della trama principale, è deludente constatare quanto sia lineare, poco reattiva e quasi del tutto non influenzabile da quello che ho elencato poco fa. Si viene a creare una netta frammentazione e separazione tra quello che dovremmo fare (seguire e fermare Eothas) e quello che vorremmo fare (visitare tutte le isole, scoprire le tante sotto-trame, schierarci a favore di una fazione o contrastarle tutte, aiutare i compagni con le loro quest personali, ecc ecc). Se non fosse per questa scelta alquanto opinabile, avrei veramente poco da criticare di questo secondo capitolo, perché mi è piaciuto, mi ha divertito e intrattenuto per un centinaio di ore e ha tutto quello che ci si aspetta da Obsidian, famosa per dare il meglio quando lavora al «numero due» di una IP già avviata e può concentrarsi sui contenuti invece di dover «reinventare la ruota». Infatti mi sento di descriverlo come uno “Storm of Vegas” proprio perché prende ispirazione da diversi secondi capitoli a cui già hanno lavorato, come Neverwinter Night 2: Storm of Zehir (le fasi esplorative su mappa), Fallout New Vegas (cura delle secondarie, numero di stat check e gestione delle fazioni) e KOTOR 2 (rapporti con i compagni di viaggio e reazioni).

Deadfire ha anche il merito di aver cambiato tipologia di setting, passando da un classico e non troppo ispirato fantasy ad un piratesco filo-epoca coloniale che ho apprezzato parecchio, soprattutto perché cade perfettamente a fagiuolo con la nostra mitica campagna di 7th Sea.

Ho tentato di adattare il mio Dragomir per usarlo come Osservatore e capitano della ciurma di questo Pillars 2 e mi sono più volte stupito di come alcune situazioni fossero coerenti con il mio personaggio cartaceo. I cambiamenti fatti nel ruleset hanno aumentato le possibilità di personalizzazione e interpretazione del proprio avatar. È stato aggiunto un sistema di multiclassi simile a quello dei vecchi NWN e nuove abilità passive che nei dialoghi apriranno un bel po’ di risposte e approcci esclusivi. Le fasi da librogame sono migliorate tantissimo e aumentate esponenzialmente di numero. La scrittura è quella tipica di Obsidian, altalenante e piena di parti svogliate e picchi di qualità eccelsa, supportati da un uso splendido delle stat check e del cambio di tono in una conversazione o trattativa.

Dragomir è ormai diventato un personaggio interludico, e con lui anche tutte le sue strane manie con le spade…

La trama è divisa in quattro atti: i primi tre lasciano molta libertà di esplorazione, servono a creare alleanze, capire gli equilibri politici, economici e militari. L’ultimo atto è il punto di non ritorno in cui dovremo scegliere tra una delle quattro macro-fazioni o decidere di proseguire da soli facendo il doppio-triplo gioco proprio in stile New Vegas. Come già accennato, l’alternanza tra trama e missioni secondarie è squilibrata a favore delle seconde, il ritmo è frammentato e si rischia di perdere il filo conduttore degli eventi. Consiglio di andare subito a Neketaka e fare le quest che portano a visitare la mappa in maniera naturale, offrendo uno spaccato delle lotte tra fazioni e della situazione nell’arcipelago. Le fasi esplorative si svolgono su una mappa in cui muoveremo il segnalino GPS del nostro avatar o ci sposteremo in nave via mare, accompagnati da dei bellissimi canti pirateschi. La nave sostituisce la gestione della roccaforte che c’era nel capitolo precedente ed offre un po’ di micromanagement. Dovremo arruolare componenti della ciurma, dargli un ruolo, comprare parti della nave per potenziarla, comprare cibo, bevande, cure mediche, mantenere alto il morale (o si rischia l’ammutinamento) e affrontare altre navi in mare aperto. Il combattimento navale non è dei più brillanti e rispecchia perfettamente l’abuso di show, don’t tell: invece di mostrare una palla di cannone che sfonda la fiancata di un galeone, me lo racconti attraverso una schermata da librogame e un minigioco testuale che non è nemmeno molto chiaro. Possiamo provare ad affondare la nave con i cannoni, ma onestamente ho risolto usando sempre la manovra da abbordaggio e via di mazzate (dovremo sconfiggere la ciurma avversaria). Alla fine di ogni scorribanda raccoglieremo tesori, equipaggiamento e altri oggetti, facendo guadagnare punti esperienza a tutta la nostra ciurma.

Come durata la trama è molto più corta di quella del capitolo precedente (si potrebbe finire anche in meno di una ventina di ore volendo), ma compensa con un quantitativo di side quest e zone da esplorare veramente notevole. La sola capitale Nekateka avrà qualcosa come una trentina di ore di contenuti, tra quest secondarie, esplorazione di tutte le varie zone interne, dialoghi e combattimenti.

ABBORDAGGIOOOOOOO!

I compagni di viaggio mi sono più o meno piaciuti, sia i vecchi ritorni che le nuove entrate. C’è molto più chiacchiericcio tra loro e ho particolarmente apprezzato diversi scambi di battute; sono integrati con le loro storie personali. Non sono riuscito ad approfondirli tutti dovendone lasciare alcuni sulla nave (Xoti e Maya), mentre altri li ho trovati un po’ troppo brontoloni (Aloth e Pallegina). Il mio A-Team perfetto è stato per la maggior parte del tempo il trio Eder, Serafen e Teheku i quali, se messi insieme, forniranno una buona quantità di battute e sfottò nei confronti di un altro compagno, Pallegina, vittima adorata del loro bullismo. Ad ogni modo, in controtendenza con quello che è stato per il primo capitolo, Deadfire include anche delle romance, per quanto non abbia apprezzato il loro svolgimento un po’ forzato in stile Bioware. Teheku a tratti sembrava quasi uno stalker, con la bava alla bocca, e in caso di rifiuto si rischia pure di scatenare le ire di sua “madre”. Il rapporto con loro verrà influenzato di continuo in base alle risposte che daremo o le azioni che compiamo. Il sistema di reputazione usato per le fazioni vale anche per loro e tra di loro (in stile KOTOR2): una reputazione troppo negativa porterà un compagno a reazioni violente o ad abbandonare la nostra ciurma.

Dove fallisce la dialettica useremo le mazzate, molto più curate in questo secondo capitolo. L’impostazione è identica a quella dei classici «punta e clicca» dell’era Infinity Engine, ma ci sono miglioramenti non da poco sul fronte del encounter design, dell’uso di agguati, posizionamento dei nemici e IA più reattiva. Hanno fatto tesoro dei miglioramenti già introdotti e sperimentati nei due DLC di Whitemarch, anche se resta sempre un po’ troppo facile se giocato a difficoltà normale. Se volete una reale sfida scegliete la difficoltà massima e usate tutti i mezzi a disposizione. Uno dei modi migliori per gestire al meglio i combattimenti è imparare ad usare il nuovo sistema di gestione della IA dei compagni, molto simile a quello già vista nella saga di Dragon Age. Potremo impostare qualsiasi tipo di condizione per avere sempre una strategia già pronta in quasi ogni tipo di situazione ostile.

Dovremo arruolare componenti della ciurma, comprare cibo, bevande, mantenere alto il morale e affrontare altre navi in mare aperto

Purtroppo però Deadfire non è perfetto e uno dei problemi che si porta dietro dal primo episodio è la sovrabbondanza di effetti grafici. Quando cominciano a partire palle di fuoco e magie sbriluccicose si fatica a capire cosa sta accadendo e va usata spesso la pausa tattica. Il disingaggio è meno punitivo in questo capitolo e ci sarà più movimento e spostamenti sul campo di battaglia. Per controbilancire, Obsidian ha inserito un sistema di valorizzazione degli oggetti che era assente nel primo: mi sono letteralmente innamorato della spada parlante, ma non vi svelo niente per non rovinarvi la sorpresa. Forse ci sono troppe spade e scimitarre rispetto ad altri tipi di armi, ma sono molto soddisfatto del lavoro svolto sugli oggetti rari e unici.

Sul fronte delle scelte ce ne sono da fare parecchie e in alcune zone è una goduria sfruttare i numerosi approcci. Peccato che quelle legate alla trama vengano brutalmente vanificate nel momento del confronto finale. È stato inserito un utilissimo sistema di benedizioni legato agli achievements sbloccati, una sorta di power up offerto da Berath quando inizieremo una nuova partita: questi includono bonus alle caratteristiche principali, una maggiore quantità di monete d’oro iniziali, o il possesso sin da subito di tutta la mappa esplorata e senza fog of war; un’idea carina per speed run e sperimentazione ruolistica tra varie partite.

Mentre vi scrivo sono uscite già varie patch e un DLC gratuito pieno di personalizzazioni per i personaggi che hanno cambiato alcune cose, modificato alcune classi e aumentato parecchio la difficoltà, quindi è palese che Obsidian abbia intenzione di migliorare e limare ulteriormente una formula che ormai sta raggiungendo un livello di perfezione molto interessante per chi adora questo tipo di RPG. I bug continuano ad esserci, come sempre, e uno di questi mi ha fatto ricominciare una partita di 20 ore, ma escluso quello spiacevole inconveniente, il resto delle 80 ore di gioco è filato via liscio e senza problemi. I caricamenti lunghi forse sono la cosa su cui devono lavorare ancora molto, perché spezza davvero troppo il ritmo e, alla lunga, quando entri ed esci da varie zone, diventa molto faticoso rimanere concentrati.

Anche la gestione della nave avrà la sua schermata, dove potremo capire come meglio disporre la nostra ciurma!

Per tirare le somme, nonostante il grave problema di cui ho parlato in apertura, questo Pillars of Eternity 2: Deadfire mi è piaciuto molto: ha i suoi momenti di picco, sfrutta bene idee già sperimentate in New Vegas, ha un sistema di combattimento che sta diventando sempre più dinamico e appagante (a difficoltà massima) e mette sul tavolo diverse chicche che ormai dimostrano una certa maturità di Obsidian nel manovrare questa tipologia di GDR. Tipologia che continua a resistere seppur a fatica, in un mercato quasi totalmente dominato da altre correnti più action-oriented e open world. Si comincia forse a sentire quella voglia di svolta che potrebbe arrivare solo unendo quanto di buono si era raggiunto da Bioware con Dragon Age: Origins, a quello che sta facendo Obsidian con Pillars. Leggasi: inserire una componente cinematografico-emozionale che non obblighi più a stare troppo tempo a raccontare ma punti direttamente a mostrarlo.

È da qui che in futuro si dovrà partire per arrivare a un compromesso che smetta di sacrificare le emozioni solo perché le si veicola attraverso strumenti non più sufficienti a valorizzarle. Sicuramente lo consiglio a chi ha apprezzato il primo capitolo e continua ad amare questa impostazione tipica degli Infinity engine-based, perché sta diventando sempre più bilanciata e matura come formula, anche se ha ancora parecchi margini di miglioramento. Lo sconsiglio totalmente a chi vuole molta azione diretta, poca tattica, pochi dialoghi e soprattutto a chi non sopporta un ritmo spezzettato da mille intervalli di caricamento. Nel caso, potete trovarlo a 46 euro su Steam perfettaente localizzato nella nostra lingua madre.

E adesso voglio che qualcuno mi dica «BRAVO» per non aver scritto manco due righe su come si senta la mancanza di Chris Avell…ok, l’ho detto. Sì, si sente. Durance e la Madre in Cordoglio mandano i loro saluti.

Ho viaggiato per mari e arcipelaghi grazie a un codice gentilmente offerto dagli sviluppatori.

8,5

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Carmelo Baldino
The Shelter

Web e Graphic designer per hobby. Troll di professione. Da quando gli è apparso in sogno il suo unico Dio (Chris Avellone) pensa di essere il suo araldo.