Planescape: Torment Enhanced Edition mi ha ricordato chi sono

Carmelo Baldino
The Shelter
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15 min readApr 27, 2017
Nick Egberts, 2005.

Mi sono svegliato su una lastra di fredda pietra. Ho fatto un sogno con visioni angoscianti di cui ignoro il significato. Il mio corpo è ridotto male e pieno di cicatrici che non presagiscono nulla di buono. Uno strano teschio fluttuante si avvicina: “Ehi capo, stai bene?”. Dice di chiamarsi Morte e che siamo entrambi intrappolati in un posto chiamato Mortuario. Dovei essere morto, eppure non sento alcun dolore, solo tanta confusione. Il teschio parlante nota che sulla mia schiena ci sono degli strani tatuaggi con delle indicazioni: “Non dire a nessuno chi sei… leggi il tuo diario… trova Pharod”. Non ho alcun diario e non so chi sia questo Pharod. Non ricordo nemmeno il mio nome, cosa ci faccio qui e come ci sono arrivato. Posso fidarmi di questo teschio e di quei tatuaggi? Non lo so. So solo che voglio scoprire chi sono e cosa mi è successo. Devo trovare un modo per uscire da questo posto.

“Updating my Journal”

Quello che avete appena letto non è un adattamento in salsa dark fantasy del film Una Notte da Leoni, ma è il gancio narrativo usato da Chris Avellone per dare inizio ad una leggenda tra i GDR occidentali: la storia del Nameless One, il protagonista del famoso Planescape: Torment. Sviluppato da un piccolo team interno di Black Isle Studios e pubblicato da Interplay nel 1999, Torment non ebbe molta fortuna a livello commerciale, vuoi per una campagna marketing non proprio felice (quell'angosciante faccione blu di Guido Henkel, sparato sulla cover ufficiale, non fu di grande aiuto probabilmente) o forse perché venne totalmente offuscato dai ben più popolari Diablo, Fallout e Baldur’s Gate usciti qualche anno prima. Gli ci sono voluti diversi anni per guadagnarsi il titolo di cult assoluto tra gli appassionati e ancora oggi resta saldamente nei primi posti (se non al primo) di qualsiasi classifica dei migliori GDR. L’eredità di una simile fama ha addirittura permesso a titoli come Tides of Numenera di racimolare ben 4 milioni di dollari su Kickstarter nel 2012, sollevando molte perplessità riguardo la spontaneità di tutta questa venerazione dopo tutti questi anni. Cercherò di spiegarvi proprio i motivi che lo hanno reso così celebre, senza banalizzare la questione con il solito banale mantra della “nostalgia”.

Il messaggio di benvenuto firmato da Chris Avellone è come una garanzia: Beamdog non ha potuto fare danni.

Ammetto di essermi un po’ preoccupato appena ho saputo che Trent Oster e la sua Beamdog lo avrebbero riproposto in versione “Enhanced Edition” (EE). Ho istintivamente pensato al peggio dopo alcune licenze poetiche che si erano già presi con le EE dei Baldur’s Gate e con la nuova espansione di Siege of Dragonspear, entrambi fattori scatenanti di parecchie polemiche tra i fan (alcune al limite del ridicolo). Non volevo che anche Torment finisse in quel tritacarne ammorbante, ma quando poi ho saputo che a supervisionare il tutto ci sarebbe stato Chris Avellone in persona, ho tirato un sospiro di sollievo.
E voglio sgombrare subito il campo da qualsiasi dubbio, confermando quello che molti fan vogliono sapere: Beamdog ha totalmente rispettato l’opera originale. Non ci sono forzature fuori contesto, aggiunte che stonano o inutili provocazioni. Non è stato reinserito nemmeno il materiale tagliato dal gioco originale che un famoso mod aveva reintrodotto, per evitare il rischio di snaturarlo. In pratica è lo stesso identico Planescape: Torment che abbiamo giocato, amato e rimpianto dal 1999 a oggi. Ci sono solo alcune migliorie grafiche per adattare l’interfaccia alle odierne risoluzioni, qualche bugfix e qualche altro ritocco che vi illustrerò nel dettaglio nei prossimi paragrafi.

È lo stesso identico Planescape: Torment che abbiamo giocato, amato e rimpianto dal 1999 ad oggi

Nonostante il rispetto dell’opera e la presenza rassicurante dell’autore, le polemica verso questa operazione sono arrivate lo stesso. Tra chi accusa Beamdog di essere “parassita”, chi si è incazzato perché Good Old Games ha tolto il gioco originale e lo ha direttamente sostituito con la EE, e chi ancora continua con la solita litania del “puoi moddarlo e ci fai la stessa cosa”, fatemi solo mettere in chiaro 3 cose che spesso sfuggono ai leoni da tastiera. Primo: i diritti su Planescape sono in mano ad Hasbro e Wizard of the Coast, quindi se proprio si deve puntare il fucile contro qualcuno bisogna alzare la mira, non abbassarla. Secondo: se Chris Avellone ha partecipato al progetto e non vi fidate nemmeno dell’autore originale, allora siete un caso irrecuperabile. E terzo: accusare Beamdog di “rubare il lavoro altrui e monetizzarlo”, senza sapere nemmeno quali siano i veri accordi commerciali alla base di questa operazione (compresa la sostituzione su GoG), è un po’ come pretendere che un barbaro con Intelligenza di valore 4 riesca a spiegare il funzionamento della magia ad un mago che ha Intelligenza di valore 18. Il nulla cosmico, insomma. Fatta questa dovuta premessa, vediamo di capire insieme perché Torment è diventato una leggenda, quali sono le novità di questa EE e se ancora oggi riesce a mantenere intatto il suo trono, nonostante porti quasi un ventennio sul groppone.

Il “tormento” sarà una delle colone portanti della drammatica storia del Nameless One.

Venerato da tutti, capito da pochi

Le ragioni dietro la fama che si è guadagnato Planescape: Torment sono molteplici. Prima di tutto gli va riconosciuto un valore storico nel come ha saputo sovvertire ogni stereotipo che in quel periodo Baldur’s Gate e Diablo avevano consolidato, sfruttando in modo intelligente una ambientazione molto complessa e matura. Non è un caso se è stato il primo videogioco, e anche l’ultimo, a sfruttare la licenza di Planescape. Un’altra ragione è probabilmente il modo in cui riesce a creare una vera e propria simbiosi tra il protagonista e il giocatore, attraverso un percorso introspettivo in cui ti confronti con te stesso sia nel mondo digitale che in quello reale, il tutto affiancandoti a dei compagni di viaggio straordinari. Infine c’è forse la ragione più importante: ci racconta un “dramma shakesperiano” tra i più memorabili della storia del videogioco, attraverso una scrittura dei dialoghi che qualitativamente, per gli standard di un videogioco (e non solo), a mio avviso non ha alcun precedente e si difende ancora bene.

Torment ci racconta un “dramma shakespeariano” tra i più memorabili della storia del videogioco

Per capire come Black Isle sia riuscita in questa epica impresa dobbiamo fare un piccolo passo indietro e contestualizzare l’opera al periodo storico in cui nacque. Alla fine degli anni 90 nel mercato dei GDR per PC dominavano principalmente giochi basati sul fantasy classico e su una grossa quantità di fasi esplorative e di combattimento (leggasi: Baldur’s Gate, Diablo, TES II Daggerfall, Might & Magic VI e VIII). L’unica vera eccezione erano i primi due Fallout, che lottavano per ritagliarsi una nuova fetta di mercato e costruire un altro mito che durerà nel tempo. Tornano di moda tutta una serie di stereotipi che storicamente facevano parte integrante del successo mondiale di Dungeons & Dragons, ma ad un giovane Chris Avellone certe cose cominciavano a stancare parecchio. Con una mano lavorava al secondo capitolo di Fallout, mentre con l’altra decise di sperimentare una sorta di “reverse engineering” per creare qualcosa di inedito e mai visto prima. Il risultato lo potete leggere in modo dettagliato in questo divertente vision document di “The Last Rite”, concept embrionale che poi diede vita al Planescape: Torment che arrivò sui nostri scaffali.

Il nostro non-eroe senza nome.

Un manifesto di ribellione

L’obiettivo era tanto complicato quanto leggermente pretenzioso: rompere le regole ribaltando e parodizzando gli stereotipi, per sradicare dalla propria “comfort zone” gli amanti di D&D e giocare in modo provocatorio con le loro aspettative. Dalla teoria alla pratica si perde sempre qualcosa per strada, ma non in questo caso. In Torment tutto è ribaltato, non c’è veramente spazio per gli stereotipi e molti cliché vengono derisi con pungente ironia. Si comincia col mettere in chiaro che non c’è alcun eroe, principessa o Signore Oscuro che minaccia il mondo. Il protagonista non sa nemmeno il suo nome, non può morire e ogni tanto perde pure la memoria. È fisicamente simile ad un barbaro tutto muscoli e niente cervello, ma può avere l’intelligenza e le capacità dialettiche di un erudito mago o un bardo carismatico. Può cambiare classe quante volte vuole. Può staccarsi un braccio e usarlo come arma o strapparsi un occhio e rivenderlo per tirare su qualche moneta. La trama punta dritta a tematiche intime e legate alla sfera personale. La ricostruzione del nostro misterioso passato avviene attraverso il recupero dei ricordi perduti, invece che collezionando in modo convulsivo spade fiammeggianti, scudi magici e armature luccicanti.

Planescape: Torment divenne un manifesto di tutto il fastidio che Avellone provava verso l’abuso di alcuni stereotipi di quel periodo

Si combatte relativamente poco, si dialoga tantissimo e non ci sono nemmeno i soliti dungeon pieni di mostri e boss finale. Gli unici dungeon presenti vengono usati proprio come parodia della stupidità di quella rigida struttura super abusata in tanti altri GDR. Lo stesso avviene per alcune missioni di “postinaggio”. Non c’è alcun GPS sulla mappa. Il giocatore viene continuamente incoraggiato ad usare il cervello e mettere in dubbio la moralità delle sue azioni. Non ci sono elfi, nani, hobbit e altre razze inflazionate. I compagni di viaggio stravolgono ogni stereotipo. E soprattutto non c’è alcuna quest iniziale “vai nella solita cantina e ripuliscila dai soliti topi”: lo stereotipo dei piccoli roditori viene trasformato in una delle minacce più mortali presenti nel gioco. Lascio a voi il piacere di scoprire come. Insomma: Planescape: Torment divenne un manifesto di tutto il fastidio che Avellone provava verso l’abuso di alcuni stereotipi di quel periodo.

Una delle macabre visioni che avremo prima di risvegliarci nel freddo Mortuario.

Il Multiverso di Planescape

La scelta di puntare su Planescape ha sicuramente creato delle solide basi su cui costruire l’impresa. Parliamo di un’ambientazione famosa per essere la risposta “filosofica” di TSR al Mondo di Tenebra di una White Wolf che puntava ad un pubblico più maturo. La sintesi perfetta di questo approccio più complesso è rappresentata dal principale luogo in cui si svolge la trama: Sigil, la città dei portali. Governata da una minacciosa entità chiamata “Signora del Dolore” e suddivisa tra fazioni che rappresentano l’estremizzazione di varie correnti filosofico-politiche, Sigil funge da ponte tra tutti i piani d’esistenza che compongono la grande ruota del Multiverso di Planescape. La particolarità di questi portali è che sono nascosti e per attivarli bisogna trovare una chiave che potrebbe essere praticamente qualsiasi cosa, da un oggetto fisico ad uno stato d’animo o un gesto specifico. Ogni piano rispecchia una precisa sfumatura della morale che va a comporre il sistema di allineamento tipico di D&D, ma anche qui Avellone si è divertito a ribaltare tutto. Rendendo tangibile un’astrazione morale ed evitando di imprigionarla in una metrica troppo legata a valori numerici (esempio: una barra che si riempie), ha di fatto messo il giocatore nelle condizione di porsi in modo critico nei confronti dei concetti di “Bene/Male” o “Giusto/Sbagliato”.

È proprio attraverso questo approccio che andremo a compiere un viaggio introspettivo nel nostro Nameless One, forgiando il suo allineamento e dando anche una funzione diegetica all'escamotage dell’amnesia, fino a creare legame empatico. Questo non solo ci offre una delle rare occasioni per provare ad interpretare un personaggio totalmente bastardo in un GDR (senza sembrare una macchietta stereotipata o un pazzo schizzato), ma ci permette anche di confrontarci con una serie di conflitti tra “natura-intenzioni” per nulla scontati e banali. Il demone Fhjull e la succube Fall-From-Grace sono due dei migliori esempi di come funziona questo meccanismo conflittuale. Potrei citarne tanti altri, ma non voglio rovinarvi la scoperta.

Provate a chiedergli di cercare qualche oggetto nel vostro stomaco.

Cogito Ergo Torment

Porci delle domande e scatenare conflitti morali tra i personaggi è uno dei modi migliori che un’autore ha per tener incollato qualcuno ad un romanzo, fumetto, film o videogioco. All'epoca non è che il mercato abbondasse di GDR in cui si veniva stimolati a chiedersi “perché ho fatto questo?”. L’unica eccezione era, di nuovo, Fallout e il suo approccio dark-humoristico al tematica post-atomica. Lo spirito ribelle di Torment puntava, con non pochi rischi, a togliere sempre più spazio ai combattimenti (con conseguenze sulla loro qualità) per valorizzare molto di più la risoluzione dialettica dei conflitti morali, attraverso l’uso di una quantità industriale di “stat check” (per usare uno specifico ramo di dialogo devi avere un valore sufficiente in uno specifico attributo del personaggio). La scelta fu talmente netta che giocandolo si nota parecchio lo sbilanciamento verso un Nameless One con alti valori in intelligenza, saggezza e carisma, a discapito di forza, costituzione e destrezza. Ma vi assicuro che ne vale la pena, perché la qualità della scrittura è talmente fuori parametro che perdersi un grosso numero di rami di dialogo particolari può cambiare la vostra percezione della storia e dei personaggi.

Anche un elemento come la morte venne incastrato in modo organico con il tipo di storia che si voleva narrare e diventò un modo alternativo per risolvere una quest, più che un vero e proprio “Game Over”. Ma per spingere realmente i giocatori a porsi delle riflessioni serviva un input ancora più potente. Una domanda: “Cosa può cambiare la natura di un uomo?”.
Legando questo quesito filosofico con la ricerca di se stessi si creò un parallelo del tutto funzionale al tipo di personaggio che avremmo scelto di interpretare. Fu così che Torment divenne un ottimo esempio di quanto il videogioco fosse maturo e perfettamente in grado di esprimere il suo potenziale da medium ludo-narrativo, senza dover per forza scomodare la parola “Arte” o apparire goffo agli occhi di letteratura e cinema.

“What can change the nature of a man?”

La vena sovversiva dell’opera trova forse il suo maggior sbocco creativo nella creazione dei personaggi che ci seguiranno nella nostra odissea. Sono tutti talmente ben caratterizzati, unici e drammaticamente legati al protagonista, che faticherete a trovare di meglio in giro. Abbiamo Morte, un teschio fluttuante e parlante che ha fatto dell’arte del trolling una vera e propria arma. Dak’kon, guerriero-mago che scopre la verità su se stesso e il suo popolo grazie ad un geniale inganno. Annah, mezza-tiefling che minaccia tutti quelli che incontra ma nasconde un cuore romantico che aspetta solo di essere rapito. Fall-From-Grace, succube che rinnega la malvagità della sua razza e finisce a gestire un bordello dove non si scopa fisicamente ma mentalmente. Ignus, mago folle che lancia troppe palle di fuoco e finisce col diventare egli stesso una palla di fuoco. Vhailor, armatura animata che si tiene insieme finché non scopre che il terzo grado di giudizio del pregiudicato a cui sta dando la caccia da secoli, è finito in un nulla di fatto per colpa della prescrizione. E Nordrom, un robottino che sembra un televisore parlante che vuole ribellarsi alla rigida logica del suo mondo per poi accorgersi che si trova del tutto spaesato al di fuori di esso.

Ognuno di loro rappresenta uno spaccato del Multiverso, ha una morale e reagisce alle nostre scelte. Durante le fasi di esplorazione si scambiano continuamente battute che ci aiutano a conoscerli sempre di più. Ci sono scambi tra Morte e Nordrom che ti fanno letteralmente cappottare giù dalla sedia mentre stai giocando, ma in generale questa cosa rischia di succedere praticamente ogni volta che il simpatico teschio apre la sua scheletrica bocca. Di tono totalmente diverso sono i discorsi che possiamo avere con Dak’kon, soprattutto provando a esplorare insieme i significati della “Parola di Zerthimon”. Non voglio scendere ulteriormente nei dettagli perché il loro approfondimento è senza dubbio una delle migliori fasi del gioco e va vissuta in in prima persona, non raccontata.

E con questo direi che possano anche bastare le ragioni dietro alla venerazione di questo videogioco. O volete che continui?

“ALZA INTELLIGENZA E SAGGEZZA!” — cit. qualsiasi fan a cui chiedi consigli sul tipo di personaggio da creare.

Cosa può cambiare la natura di un Enhanced Edition?

Vi ho spiegato perché viene venerato e probabilmente per le stesse ragioni Beamdog non ha voluto toccare una virgola del gioco originale, sapendo cosa sarebbe potuto succedere. Di aggiunte vere e proprie ce ne sono pochissime in questa EE, ma quel poco è comunque sufficiente a rendere il gioco perfettamente giocabile anche sui recenti sistemi operativi, senza dover installare alcuna mod. Una delle novità più interessanti è sicuramente l’adattamento della nuova interfaccia alle moderne risoluzioni. L’ho provato su un 4k è non è poi così male. Non è settabile, nel senso che si adatta direttamente alla risoluzione del vostro monitor. Ovviamente la grafica dei fondali e gli sprites sono rimasti uguali al 1999, ma hanno almeno cercato di smussare l’effetto pixelation aggiungendo una cornice nera a tutti i personaggi animati e qualche ritocchino ai fondali. Non è il massimo e non è una grafica da “remastered”, se è questo che vi state immaginando, ma sempre meglio del vedere i pixelloni nel passaggio da 800x640 a 4k. Se volete restringere la quantità di mappa mostrata dall'inquadratura isometrica potete usare il nuovo zoom, ma più vi avvicinate e più i pixel sgraneranno.

Alcuni elementi dei menu sono stati eliminati, come la ruota dei comandi, e altri spostati nella barra inferiore, ma non cambia granché nel modo in cui interagiamo con l’interfaccia (c’è sempre quel click di troppo, tipico delle vecchie UI). Ai puritani fanatici interesserà sapere che c’è un tasto “Original” messo proprio per loro, così se non vogliono alcun tipo di cambiamento o adattamento possono spuntarlo, godersi il gioco così com'era nel 1999 e andare in giuro per il web a vantarsene.

Potrete parlare di entropia e immortalità con questo simpatico golem. Ne sa a pacchi.

Il diario è stato rivisto da Avellone, alcune descrizioni sono leggermente più dettagliate ed è stato aggiunto un comodo campo di ricerca per parole chiave. Sono stati messi apposto anche diversi bug che ancora affliggevano la versione originale, inserendo alcuni fix presi da un famoso mod amatoriale (con il benestare dell’autore). Non è tradotto in italiano e provando ad installare la famosa traduzione degli ITP mi è crashato più volte all'avvio, quindi sconsiglio di farlo per adesso e sospetto che non passerà molto tempo prima che venga riadattata, cogliendo anche l’occasione per inserire le lievi modifiche al testo revisionato. Lato gameplay hanno aggiunto un tasto per evidenziare gli oggetti interagibili e un tasto per il raccogliere più velocemente gli oggetti lasciati a terra, entrambi utili per evitarsi la caccia al pixel. Gli sviluppatori hanno migliorato il pathfinding dei personaggi nelle fasi esplorative e di combattimento e aggiunto una barra che velocizza i movimenti aumentando il framerate del gioco, cosa che ho trovato alquanto comoda per ogni spostamento. La IA non è stata toccata e i combattimenti sono identici all'originale. Infatti fanno abbastanza pena e si riconferma un gioco non adatto a chi ama tattiche e strategie in quel tipo approccio, perché si riduce quasi tutto a “seleziona il gruppo, scegli il bersaglio e mena mazzate”. L’unica cosa figa rimangono alcuni incantesimi di alto livello, a cui sono abbinati dei filmati in computer grafica (datata) che conservano ancora il loro fascino.

Non ho riscontrato alcun tipo di bug, esclusi un paio di crash durante un caricamento tra una zona e l’altra. I caricamenti sono vicini allo zero ed è un bel miglioramento rispetto alla versione originale. La colonna sonora è stata rimasterizzata e il suono sembra leggermente più pulito. Si conferma una gran bella OST, perfettamente in linea con il mood di un gioco così particolare, ma il brano principale resta sempre un plagio dal film Speed. Mark Morgan, ti voglio bene e amo le tue colonne sonore, ma… stacce.
In ultimo segnalo che sono stati aggiunti gli achievement su Steam, così potete finalmente andare a verificare se il vostro amico che si bulla di averlo finito, l’ha realmente fatto o è solo un peracottaro.

Il sistema di combattimento è rimasto identico all'originale: una cagata. Se lo giocate aspettandovi Baldur’s Gate avete sbagliato palazzo.

Lascio a voi il giudizio su quanto siano giustificati i 19,99 € richiesti su Steam, a fronte di un dignitoso rispetto verso l’opera originale. Il gioco dura comunque almeno una trentina di ore e quasi raddoppiano se veramente ci si mette a parlare con tutti gli NPC e completare ogni quest secondaria (dipende molto dalla vostra velocità di lettura, sostanzialmente). Chi ama la portabilità può rivolgersi alle versioni iOS o Android su smartphone e tablet, ma non ho avuto modo di metterci le mani sopra e non so dirvi quanto siano comode da giocare. Chi invece l’ha già divorato a suo tempo, può aspettare benissimo qualche sconto o passare la mano. Gli indecisi tirino un bel d20, nel dubbio.

Chiudo confermando che gli anni non hanno intaccato particolarmente il fascino di questo capolavoro storico, almeno se parliamo di puro contenuto legato ad elementi che non si piegano all'evoluzione tecnologica del medium.
Sicuramente i ricordi che mi legano a quest’opera hanno influito sul mio giudizio, ma sfido chiunque a mettere in dubbio la sua unicità nel panorama dei GDR. Spero che Avellone, dopo aver rimesso le mani sull'opera che lo ha reso famoso nell'industria dei videogiochi, riuscirà a superare l’attuale fase di scazzo post-divorzio con Obsidian. E chissà, magari un giorno potrebbe tornare a dirigere un suo progetto personale con un budget da tripla A e con lo stesso spirito ribelle con cui diede vita a Planescape: Torment 18 anni fa. Anche se “ribelle” e “tripla A” sono un po’ un ossimoro di questi tempi, ma come direbbe Dak’kon: “Endure. In enduring, grow strong.”

Ho potuto ricordare chi sono e ritrovare i mie ricordi dispersi nei Piani del Multiverso di Planescape, grazie ad un codice gentilmente offerto dagli sviluppatori.

9,999

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Carmelo Baldino
The Shelter

Web e Graphic designer per hobby. Troll di professione. Da quando gli è apparso in sogno il suo unico Dio (Chris Avellone) pensa di essere il suo araldo.