Un mese in compagnia di PlayStation VR
Conoscete il vecchio adagio cinese che recita “ti auguro di vivere in tempi interessanti”?
Quello che sembra un innocuo modo di dire è in realtà un augurio di sventura. I tempi interessanti sono quelli in cui il normale assetto sociale e politico viene sconvolto. Quelli dei grandi cambiamenti che spesso sono fonte di disagi prima che di vantaggi riservati invece alle generazioni futuro. Il 2016 è sicuramente un anno interessante grazie all’uscita sul mercato del visore VR di Sony. Una tappa importante su un itinerario molto incerto: tanto per la casa giapponese, a oggi l’unica ad aver investito pesantemente su questa tecnologia, quanto per la stessa realtà virtuale.
Per la prima volta infatti quest’ultima trova un reale sbocco nel mercato grazie a un’offerta (di poco) più vantaggiosa di Oculus e HTC e una vasta base installata che permette di dimenticarsi di tecnicismi e compatibilità. E no, se pensate che bisognerebbe aprire una parentesi dedicata al Cardboard di Google, vi dico subito che non è lo stesso campo da gioco.
PLUG ME IN
Due schermi da 960x1080p su singolo occhio e un angolo di visuale di circa 100 gradi. Una risoluzione minore rispetto alla concorrenza, tediata da una leggera sfocatura generale. Una buona densità che mitiga lo Screen-Door Effect (lo spazio nero tra i pixel). In generale non c’è molto da lamentarsi e si resta piacevolmente colpiti dal visore. La resa visiva è soddisfacente perfino su un hardware non così prestante come quello di PlayStation 4 e, se non avete mai provato la VR, resterete abbastanza estasiati da non prestare troppa attenzione al dettaglio tecnico lontano dagli standard da monitor. Inoltre il visore risulta comodo da indossare nonostante sia leggermente più pesante di un HTC Vive.
Se è vero che la prima problematica che la VR deve risolvere è quella della comodità di utilizzo, Sony fa un grosso passo avanti rispetto al classico sistema che vede il visore poggiare sulla fronte. Grazie ad una avveniristica fascia che parte dalla fronte e si regge sotto la nuca, il visore pende davanti il volto sfiorandolo appena e scaricando il peso in modo uniforme su testa e collo. La gomma presente ai bordi si appoggia a malapena sul viso e serve solo a filtrare la luce esterna: un ottimo sistema per lasciare filtrare l’aria ed evitare il classico appannamento tipico da maschera subacquea.
Se è vero che la prima problematica che la VR deve risolvere è quella della comodità di utilizzo, Sony fa un grosso passo avanti
PlayStation VR offre una tecnologia inferiore ai suoi diretti competitor, ma guadagna qualche punto grazie alla capacità di offrire, pur con i suoi limiti, una visione onnicomprensiva della VR. Questo grazie a Eye Camera e Move Controller, i veri soldati in prima linea sul campo di battaglia su cui si svolge la guerra della realtà virtuale. La verità è che quasi tutti i visori attualmente in commercio sono in grado di offrire esperienze appaganti o almeno decenti: anche il Gear di Samsung ha dimostrato come il piccolo schermo dell’S7, unito a due lenti ben strutturate, può offrire un’esperienza “visiva” che ha a poco da invidiare ai fratelli maggiori. Il punto cardine invece è quello dell’input. A fare i voyeur siamo buoni tutti, ma offrire il giusto coinvolgimento corporeo è tutto un altro paio di maniche.
Grazie ai controller e alla camera, PSVR riesce a offrire un’esperienza che più si avvicina a quella del Vive: la mappatura delle luci e del visore, unita ai sensori interni, ci permette di muoverci con un minimo grado di libertà e una risposta sorprendentemente precisa. Siamo chiaramente lontani dal libero girovagare del visore HTC, ma è comunque quel surplus che ridefinisce totalmente l’usabilità della realtà virtuale. Un piccolo appunto, però. PlayStation VR viene venduto in bundle con PlayStation Eye o da solo. Nonostante vengano presentati come elementi accessori (molte delle demo e dei prodotti presenti funzionano perfettamente con il solo pad) i due controller si dimostrano un elemento necessario per godersi a pieno un coinvolgimento completo. Ne parleremo meglio quando vedremo il parco software, ma se siete esigenti e curiosi di provare questa esperienza nella sua totalità mettete in conto il prezzo di questi device al momento dell’acquisto.
INSIDE IS BIGGER THAN THE OUTSIDE
Proporzioni e distanze: queste sono le due parole chiave che rappresentano la realtà virtuale e che ne creano il reale distacco dall’esperienza su schermo. Le astronavi di Eve peccano di nitidezza sulle texture e si conta più di qualche poligono di meno. Ma vedere una nave di otto tonnellate a pochi metri dalla propria faccia coprire l’intero campo visivo fa comunque effetto. Sotto questo punto di vista una delle demo più convincenti è quella di Resident Evil 7: The Kitchen.
Il protagonista si ritrova legato ad una sedia. Il pad mappa i movimenti delle nostre mani (legate nel gioco) e ci permette solo di muovere il busto per guardarci attorno. Oltre a creare una spiazzante sensazione di impotenza, la circostanza replica completamente la situazione del giocatore seduto. Senza contare che, aumentando il livello di immersività, il corpo reagisce più facilmente a una situazione in cui gli stimoli fisici sono facilmente adattabili. Aggiungiamoci il buon dettaglio grafico, e avrete una delle demo più “impressionanti” disponibili. In senso letterale: chi vi scrive campa di horror da anni e non si è mai fatto problemi a giocare in tarda notte con le cuffie ad alto volume. La stessa persona non si vergogna a scrivere che nel momento in cui lo zombi arriva a pochi millimetri dalla faccia digrignando i denti e brandendo un coltello ha gettato via il visore proferendo parole che non è il caso di riportare.
Una delle esperienze VR più convincenti è quella di Resident Evil 7: The Kitchen
Perché? Perché assistiamo a un gigantesco passo avanti in quello che si definisce embodiment. Nella normale esperienza tecnologica il nostro corpo si “incarna” sensorialmente e cognitivamente in un artefatto virtuale (l’avatar di gioco in questo caso). Da un lato questo fornisce quel particolare senso di immersione che tanto amiamo, dall’altro tiene ferma una distinzione tra realtà e finzione che non solo filtra l’esperienza ma ne rappresenta un tratto peculiare. La VR abbatte questo filtro: è il nostro corpo a essere chiamato direttamente in causa dentro l’ambiente. Non ci sono mediatori o terzi che si occupano di dare vita a particolari forme di sensorialità.
Il risultato è lo spavento genuino di Resident Evil o la forte nausea di DriveClub dopo il secondo tornante. È fastidioso e irritante, ma accade proprio perché il corpo sta ciecamente credendo a quello che vede. La percezione che si ha degli oggetti virtuali viene completamente modificata, non solo per una questione prospettica quanto, appunto, percettiva. Insomma, per quanto sia bello siamo destinati a stufarci presto di oggetti giganti che ci circondano o ci vengono incontro. Cosa resterà allora? Tanto lavoro da fare per dare vita a esperienze che trovano in queste nuove terre fertili possibilità e prospettive difficili da immaginare ma capaci di ridare linfa vitale a dispositivi ormai stantii.
La stessa dimostrazione la si vede nel tutorial di London Heist. Alzi la mano chi solitamente gioca al poligono di tiro in un FPS. Di certo non la più avvincente tra le modalità presenti nei moderni sparatutto. Eppure ho contato quaranta minuti buoni passati a sparare a delle sagome e a ricaricare la pistola, inserendo il caricatore con un gesto naturale. Basta questo piccolo assaggio per capire come questo cambio di prospettiva sia capace di portare una ventata di aria fresca su meccaniche ormai abusate. E di crearne di nuove ancora tutte da esplorare, come il sistema di copertura di London Heist, che permette di affacciarsi da un comodino o di sparare ai nemici cercando di incastrare la pistola in una piccola fessura. Dettagli e atteggiamenti del tutto naturali, lasciati in mano al giocatore che vede negli oggetti virtuali possibilità e occasioni per poterli “toccare” con un grado di libertà tutto nuovo.
Slegato dal vincolo del pad, il corpo entra di prepotenza nel mondo virtuale portando con sé esperienze e modus operandi che aprono scenari ancora oscuri ma dannatamente eccitanti. Per questo parlavamo prima dell’importanza delle periferiche: facendo due grandi distinzioni è possibile dividere i prodotti VR attualmente presente in esperienze visive ed esperienze tattili. Le prime sono legate al visore e ad un coinvolgimento passivo. Le altre invece sono di tipo motorio, richiedono di usare i Move per toccare, esplorare, interagire con questi ambienti. Inutile dire che quest’ultima strada è quella da percorrere.
Basta questo piccolo assaggio per capire come questo cambio di prospettiva sia capace di portare una ventata di aria fresca su meccaniche ormai abusate
Tutto oro quello che luccica? Non proprio. Qualche difetto resta e va messo in conto. Il primo è ovviamente quello dovuto alla motion sickness. La VR non è il 3D classico che conosciamo, non si tratta di sdoppiare l’immagine in profondità su due piani, in modo artificioso, ma creare un’illusione prospettica capace di ingannare il nostro occhio. Lato positivo: nel momento in cui lo squalo aprire le sue fauci per cercare di mordervi in Ocean Descent stringerete i braccioli e sentirete il cuore in gola, perché l’effetto ottico è talmente convincente da darvi la reale sensazione di vicinanza ai denti acuminati. Lato negativo: è tutto talmente convincente da fregare i sensi e dare vita a fenomeni di chinetosi nel momento in cui gli stimoli visivi che riceviamo non si legano ad una corrispondente risposta del corpo.
Questo fenomeno è legato maggiormente a un unico problema: il movimento. Non è un caso che quasi tutte le esperienze disponibili vedano il giocatore in posizione statica. La camera della PS4 sotto questo punto di vista riesce a replicare dei piccoli spostamenti e sopperire a questo problema, ma nel momento in cui i movimenti si fanno più audaci (vedi Rigs) o la risposta visiva non è adeguata possono subentrare senso di nausea e giramento di testa.
Per adesso il sistema è solo marginalmente aggirabile tramite qualche accortezza. C’è da dire che l’effetto varia sensibilmente da persona a persona ed è impossibile predire con correttezza se e quanto questa tecnologia possa dare fastidio al singolo utente. Se soffrite di mal d’auto probabilmente sarete più “sensibili” al problema. D’altra parte è comunque possibile allenare il corpo a tollerare questa tecnologia. Siamo comunque di fronte a un inconveniente che non può essere ignorato e che va arginato, ma è giusto saperlo prima di procedere all’acquisto.
REAL VIRTUALITY
Vorrei chiudere questo articolo con un ultimo spunto di riflessione. C’è qualcosa nella VR che ancora non viene preso in considerazione ma che potrebbe, anzi sicuramente diventerà, un argomento di riflessione. È quello sull’esperienza del videogioco stesso. Per anni ci siamo battuti sulla legittimazione del mezzo contro ignoranza, pregiudizi e luoghi comuni. Eppure, lucidamente bisogna guardare a quello che accade quando indossiamo questo visore e porci, almeno noi appassionati, qualche domanda a riguardo.
Torno sulla demo di Resident Evil, che come ho detto ho trovato tanto elettrizzante quanto spaventosa, nel senso più lato della parola. Abbiamo capito che nel momento in cui il filtro rappresentato dal monitor cade, il coinvolgimento psichico e fisico che si fa in questa esperienza cambia totalmente. Guardare un mostro spaventoso su schermo attiva meccanismi mentali e psicologici ben delineati. La stessa immagine in VR si carica di una valenza totalmente diversa. Mentre provavo la demo mi chiedevo come poteva reagire per esempio un bambino o un ragazzino di fronte ad un’esperienza simile.
È chiaro che tutti che un bambino di sette-otto anni non dovrebbe mettere le mani né su un visore, meno ancora su un visore con Resident Evil. Ma, nel caso, potremmo dire che la reazione è la stessa di guardare un horror in televisione? Ci sono tante, troppe differenze che spostano totalmente il campo di gioco della “sensazione” prima e della psicologia dopo (per quanto sembri stupido e banale, l’essere isolati dall’esterno a livello visivo e uditivo crea una gabbia di immedesimazione che non va sottovalutata).
Senza facili allarmismi c’è bisogno di iniziare a realizzare che, se questa tecnologia prenderà piede, bisognerà riscrivere da zero usi e costumi della tecnologia come la conosciamo… basti pensare all’uso che se ne fa nel campo pornografico e di come cambia totalmente il coinvolgimento corporeo di fronte a un prodotto di questo tipo. Senza la paura di ritrovarsi in un inquietante episodio di Black Mirror, la VR oggi, anche grazie al visore Sony, rappresenta la possibilità migliore di guardare a un futuro che fino a pochi anni fa sembrava mera fantascienza, ma che insieme a entusiasmi e vantaggi porta con sé degli interrogativi che non vanno ignorati.
Il lavoro da fare è ancora tanto. Come è tanta la curiosità su come la creatività degli sviluppatori riuscirà a sopperire ai tanti difetti di questa tecnologia e a esaltare invece i suoi punti forti. I dettagli da approfondire sono tanti, vastissimi. Basta fare un piccolo passo e spostare l’attenzione dagli ambienti ai personaggi per capire come solo la superficie è stata a malapena scalfita: in London Heist ci ritroveremo faccia a faccia con dei criminali che ci urlano addosso dando vita a un forte senso di intimidazione. Altro giro altro inganno, ma stavolta non abbiamo a che fare con un semplice oggetto ma con un volto umano, vero protagonista di millenni e millenni di storia delle immagini, nonché uno dei punti chiave in cui questa tecnologia ha molto da dire. Come era immaginabile, si aprono nuovi scenari in cui teoria dell’uncanny valley troverà sempre più terreno fertile per attecchire.
La VR è una stanza meravigliosa, affascinante e per certi versi misteriosamente inquietante. Ci siamo affacciati su questa stanza da una piccola finestra, e per pochissimo tempo. Questa finestra ha ancora delle sbarre, possiamo giusto sbirciare e tendere appena la mano lasciandoci sfuggire ciò che si cela aldilà. Il compito della tecnologia è abbattere queste sbarre, il compito degli sviluppatori è arredare questa stanza a dovere. Il nostro compito? È quello di non smettere mai di essere curiosi su dove il futuro può portarci.