Prey, ottimo direi

Aurelio Maglione
The Shelter
Published in
9 min readJun 7, 2017

A dispetto delle catastrofiche previsioni Maya*, il 2012 è stato un anno ricco di soddisfazioni per noi appassionati di videogiochi. Nel giro di pochi mesi ci siamo commossi con la prima stagione del The Walking Dead di Telltale, abbiamo percorso le lande desolate di Journey, ci siamo scaldati di fronte al camino di Little Inferno e abbiamo danzato al ritmo psichedelico di Hotline Miami. Dulcis in fundo, Dishonored ha rapito il nostro cuore, guadagnandosi il plauso di pubblico e critica. In un periodo dove le grandi produzioni sacrificavano l’interattività in favore di cut scene e set piece di stampo cinematografico (si pensi alla svolta à la Call of Duty di Halo 4), l’opera di Arkane è stata un fulmine a ciel sereno. Parliamo di un titolo dal sapore romantico, che celebra la libertà quale esigenza fondamentale dell’homo ludens, stabilendo un punto di contatto fra Thief e il videogioco moderno.

Dopo un simile successo, lo studio francese ha concentrato i suoi sforzi su due fronti ben distinti. Da un lato, proseguire l’epopea dell’Impero delle Isole dando vita a un sequel che, pur seguendo pedissequamente le orme tracciate dal predecessore, è riuscito a migliorarne ogni singolo aspetto. Dall'altro, garantire un successore spirituale di un altro titolo di culto sul quale diversi suoi membri avevano lavorato in passato. Peccato che il reparto marketing di Bethesda abbia impacchettato il gioco Arkane come un reboot di quel Prey che, nel lontano 2006, fu accolto dall'indifferenza generale. Mi è difficile resistere alla tentazione di lanciarmi in una filippica contro un mercato così restio alle novità, ma non divaghiamo oltre. Per recuperare il tempo perduto potrei riassumere il mio pensiero con un’espressione matematica, dicendo che Prey sta a System Shock II come Dishonored sta a Thief. Per quanto questo sunto risulti brillante nella sua efficacia (che bello farsi i complimenti da soli!) sarebbe un delitto non spendere qualche parola in più. Perché Prey è una lettera d’amore dedicata a un certo modo di realizzare i videogiochi e non posso esimermi dal trattarlo con altrettanto affetto.

Cosa potrà mai andare storto?

Durante le fasi iniziali, Prey strizza più volte l’occhio alle sue principali fonti d’ispirazione. In fin dei conti il personaggio di cui guidiamo i movimenti è uno scienziato che, in seguito a un esperimento uscito fuori dal suo controllo, si trova a fronteggiare degli aracnidi alieni armato unicamente di una chiave inglese. Volendo trovare un ulteriore punto di contatto con il Gordon Freeman di Half-Life 2 si può notare che Morgan (wink wink) Yu è il più classico degli avatar muti: durante l’intera durata del gioco non pronuncerà una singola parola. Inoltre il nostro protagonista, in preda a un’amnesia che ne ottenebra i ricordi, decide (o meglio, accetta) di affidarsi alle indicazioni di una voce misteriosa che sembra conoscerlo alla perfezione, sulla falsariga dell’Atlas di Bioshock. Dopo aver superato le prime minacce potremo rifugiarci nel suo ufficio digitando il codice di sicurezza “0451”, una sequenza di numeri che dovrebbe esservi ben nota. Infine, la prima missione ci vedrà impegnati a ripristinare la tecnologia Looking Glass (i papà di System Shock!), ovvero l’infrastruttura che regge la rete intranet della stazione spaziale. In un certo senso è proprio questo lo scopo di Prey: rispolverare il capolavoro di Chey e Levine evitando le semplificazioni eccessive viste in Bioshock ma, al contempo, smussandone le asperità (si pensi all'eccessivo micro management dell’inventario). Come avrete intuito sbirciando il voto in fondo alla recensione, l’obiettivo è perfettamente riuscito.

Prey è una lettera d’amore dedicata a un certo modo di realizzare i videogiochi

Sia chiaro, pur riprendendo meccaniche e atmosfere dei classici appena elencati, Prey presenta una sua personalità ben definita, oltre che tutti i segni distintivi dei videogame Arkane. Si pensi alla centralità di Talos I che da teatro delle vicende narrate assurge al ruolo di vera protagonista del racconto. Dopo aver iniziato a esplorarla, fra il serio e il faceto, avevo confidato ai miei colleghi che per descriverne la magnificenza avrei dovuto aprire questa recensione con un’invocazione alla Musa. Stoltamente, non ho seguito il mio stesso consiglio. Per capirne il fascino, immaginate questo futuro ucronico dove la Guerra Fredda non si è mai verificata, consentendo a Stati Uniti e URSS di concentrare le proprie energie sul programma spaziale. I progressi maturati fin dagli anni 60 permettono nel 2025 l’inaugurazione di Talos I, stazione orbitante destinata alla sperimentazione sui modificatori neurali. In un tripudio di tecnologie all'avanguardia e mobili in stile art decò, la base ospita centinaia fra le menti più brillanti del pianeta Terra, decise a spingere l’umanità verso confini inesplorati.

Durante le fasi iniziali è possibile personalizzare il sesso del proprio avatar.

Ora fate un respiro profondo e tornate con la mente ai livelli più affascinanti di Dunwall e Karnaca, ricordate la loro capacità di sfruttare la dimensione verticale, l’intreccio di percorsi alternativi che propongono al giocatore per raggiungere uno stesso obiettivo, la perfezione del loro design. Provate a unirli armonicamente in una struttura open world, collegati in modo così elegante che solo un paragone con Dark Souls rende onore a tanta bellezza. Infine, lasciate che il terrore vi penetri fin nel profondo. Siete soli, per quanto ne sapete potreste essere l’unico superstite di una tragedia di cui non conservate memoria. Non riuscite a vederli fino all'ultimo momento, nello stesso istante in cui decidono di attaccarvi, ma sapete di essere circondati da creature ostili. Brancolano nel buio, si mimetizzano con l’ambiente circostante, il loro respiro affannoso vi tormenta. Il silenzio di Morgan ci fa quasi dubitare che abbia una bocca, ma sono sicuro che voglia urlare.

Il paragone con Dark Souls è utile anche per evidenziare la totale libertà esplorativa concessa all'utente. Fin da subito potrete recarvi negli anfratti più reconditi di Talos I senza dover seguire l’ordine indicato dal dipanarsi della quest principale. Che abbiate voglia di dedicarvi a una secondaria particolarmente affascinante o dare un’occhiata a un’ala della stazione che ha stuzzicato il vostro interesse, l’unico limite sarà quello imposto dalla vostra curiosità (se non, come approfondiremo fra poco, dalle abilità che avrete sbloccato).

Il vasto arsenale di armi a disposizione del giocatore consente di attuare soluzioni estremamente creative per avere ragione dei Mimic.

Prima di proseguire nella nostra analisi, è doverosa una breve digressione. In Dishonored, tanto la successione dei livelli quanto il racconto della trama segue una struttura lineare. Di fatto, l’evolversi della stessa avviene tramite delle cutscene che precedono le varie missioni, seguendo un’alternanza ben definita. Dedicarsi o meno agli obiettivi facoltativi la influenza solo in minima parte; piuttosto, il loro completamento permette di ottenere una serie di vantaggi pratici come armi o informazioni utili per raggiungere l’obiettivo in corso. Allo stesso modo, l’esplorazione accurata dei livelli (tramite il reperimento di lettere, registrazioni audio e l’ascolto di conversazioni fra NPC) consente di arricchire la nostra conoscenza sul lore dell’Impero delle Isole, fornendoci una serie di informazioni totalmente accessorie alla comprensione dell’intreccio.Grazie al genio di Chris Avellone, la narrativa multistrato di Prey presenta una struttura ben più affascinante. Qui avventura principale, missioni secondarie (pur non mancando quelle volte al reperimento di armi e simili amenità), mail e registrazioni audio contribuiscono armoniosamente tanto a delineare la storia quanto a ricostruire il lore di questa misteriosa ucronia. In tal modo si innesta un circolo virtuoso che premia la sete di conoscenza dell’utente, rendendo significative anche le fetch quest più banali.

Lasciate che il terrore vi penetri fin nel profondo

Tornando alle infide creature che popolano Talos I, se avete seguito i trailer che hanno anticipato l’uscita di Prey avrete già fatto conoscenza con i Mimic, gli aracnidi alieni di cui sopra. La loro peculiarità consiste nel replicare la struttura molecolare di un oggetto nelle loro vicinanze, celando completamente la loro presenza. In altre parole, possono trasformarsi in sedie, tazze o qualsivoglia altro oggetto per potervi attaccare di soppiatto (a meno che non siate voi a sferrare il primo colpo). Da un certo punto di vista, possiamo vederlo come un capovolgimento del paradigma imperante nel già ampiamente citato Dishonored (perdonatemi se risulto ripetitivo, ma il parallelo è obbligatorio): da cacciatore silente, qui siamo alla mercè di un nemico invisibile, capace di tenerci costantemente sull'attenti. Sebbene non altrettanto abili nell'arte della mimesi, gli Spettri non sono meno letali. Alti quanto un corazziere, queste belve dall'aspetto umanoide vi caricheranno con foga, arrivando a scatenarvi contro la furia degli elementi. Proseguendo nel gioco, non mancheranno incontri con creature ben più pericolose, ma privarvi del piacere della scoperta sarebbe una cattiveria gratuita.

Come System Shock, Prey è un incubo terrificante che prende in prestito alcuni elementi tipici dei survival horror. D’altro canto siete preda di un ambiente ostile, costretti a razionare medikit, cibarie e munizioni per poter superare le insidie. Una nullità che dovrà lottare con le unghie e con i denti per salvare la pelle, la vittima sacrificale destinata a un dio per niente misericordioso. Eppure, per quanto sia brutalmente spietato, Prey è riuscito a liberarmi da una fobia ben più profonda, quella del dover giocare “bene”. Provo a spiegarmi meglio: Dishonored, pur permettendo al giocatore di affrontare i suoi livelli nel modo più disparato, finisce per premiare chi, sfruttando la verticalità degli scenari, agisce inosservato. L’approccio stealth è una conditio sine qua non per poter accedere al finale più felice per il protagonista, oltre a essere quello che esalta al meglio le meccaniche di gameplay vista la pessima intelligenza artificiale che regola il comportamento dei nemici nei combattimenti corpo a corpo e la scarsa sensazione di fisicità che gli stessi trasmettono. Rendersi visibili, all'atto pratico, è un fallimento cui segue l’imperativo morale di caricare il salvataggio precedente. In Prey invece, l’obbligo è quello di arrangiarsi nei momenti di difficoltà, ovvero sempre. Siamo in una situazione di pericolo costante, l’obiettivo non deve essere quello di giocare in modo brillante, ma semplicemente di sopravvivere. Che si tratti di fuggire come non ci fosse un domani o di affrontare gli alieni di petto, non esiste una risposta sbagliata.

Certo, cercare di non sprecare le risorse a propria disposizione rimane sempre una priorità assoluta. Non a caso, il gioco presenta un efficacissimo sistema di crafting che, servendosi di alcuni macchinari disseminati all'interno di Talos I, consente di riciclare le chincaglierie raccolte nel corso dei livelli per trasformarle in armi, munizioni o di qualsivoglia strumento abbiate reperito la cianografia. Similmente, conviene prodigare ogni sforzo possibile per accaparrarsi le neuromod necessarie per sbloccare, tramite un sistema di crescita ad albero, le abilità utili al proseguimento dell’avventura. Il campionario di talenti a nostra disposizione risulta generosamente ampio, permettendoci (ad esempio) di hackerare sistemi di sicurezza, sollevare oggetti sempre più pesanti e persino ricorrere ai poteri psichici degli Spettri. Ibridare il vostro corpo con il DNA alieno costituisce una scelta affatto banale, per la quale potreste arrivare a pagare un prezzo da non sottovalutare.

La varietà di ambienti presenti rende l’esplorazione ancora più piacevole.

Andando a tirare le somme, Prey è un titolo virtualmente perfetto, un capolavoro dove un level design da capogiro abbraccia atmosfere inquietanti, uno storytelling capace di proporre quesiti morali degni dei migliori romanzi sci-fi e meccaniche solide come non mai, dove l’approccio stealth è valorizzato quanto lo scontro a viso aperto, complice l’ampio armamentario e disposizione. Prima di raggiungere l’epilogo, mi ero persino convinto di premiarlo con un simbolico 11/10 per sottolinearne ulteriormente l’eccellenza ma, sul finale, dopo aver accumulato oltre trenta ore sul groppone, ammetto di aver trovato stancante il backtracking richiesto nelle ultime fasi. Le noie causate da qualche problemino di input lag, dai tempi di caricamento biblici fra un livello e l’altro, dall’IA di un certo nemico di cui non voglio svelarvi il nome e dal mixaggio audio hanno contribuito alla decisione di toglierli questo punticino e mezzo. In ogni caso, sono convinto che anche a distanza di anni continuerò a ricordarlo come uno dei videogiochi più belli che abbia mai provato.

Ho giocato Prey grazie a un codice gentilmente concesso da Bethesda Softworks. Il titolo è disponibile su PC, Xbox One e PS4 sia in versione scatolata che digitale.

9,5

  • Ebbene sì, la celebre profezia Maya descriveva il 2012 come un anno catastrofico per il mondo dei videogiochi, pronosticandone la prematura implosione. L’uscita di Mass Effect 3 sembrò corroborarne la veridicità ma, contro ogni pronostico, il settore è sopravvissuto a una simile sciagura.

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