RUINER è l’ennesimo centro di Devolver Digital

Andrea Ortenzi
The Shelter
Published in
6 min readOct 16, 2017

Hotline Miami, Serious Sam, Shadow Warrior, OlliOlli, Gods Will Be Watching, Titan Soul, Not a Hero, Dropsy, Broforce, Luftrausers, Downwell: comunque la si pensi, è innegabile che quel vortice di emozioni, pixel e indie feeling ad alto contenuto underground che risponde al nome di Devolver Digital abbia indissolubilmente segnato il panorama del videogioco degli ultimi otto anni. Imponendosi come indiscutibile trend setter dell’industria, allo stesso tempo ha fatto la felicità di quei giocatori che hanno sempre guardato al nostro medium preferito con una punta di sfida tipica di una cultura punk andante, che vede le regole di un linguaggio come uno strumento da modellare, masticare, distruggere e ricostruire tendendo al “less is better”, che è un po’ la gloriosa firma di buon parte delle esperienze della casa produttrice texana.

Ma, prima di tutto, Devolver Digital è talent scout, e così come è riuscita a portare i Dennaton Games sugli schermi e nei pad di tutti gli appassionati del cinema di Refn, stavolta si è girata verso le distese infinite di sabbia e accozzaglia tecnologica che è il cyberpunk, scontrandosi, più o meno nello stesso periodo del ciclone mediatico che è Blade Runner 2049, con quella bestiaccia di Ruiner.

In giro per il gioco troveremo anche armi bianche e da fuoco che sostituiranno temporaneamente la nostra dotazione standard.

Il mondo, come ormai siamo abituati a leggerlo attraverso la lente della fantascienza distopica, è al collasso. L’edonismo sfrenato ha definitivamente preferito un infinito skyline di ciminiere, sbuffi di fumo e macchie di luce artificiale alla rigogliosità della natura, e uno dei leit motiv del cyberpunk sta nel fatto che l’essere umano non sembra accorgersene, adattandosi perfettamente alla devastazione scaturita dalla sfrenata industrializzazione globale e prostrandosi alle nuove, sadiche regole di un capitalismo che, terminate le risorse primarie del pianeta, incomincia a cannibalizzare sé stesso. Il consumabile primario della società è diventato l’uomo, capitale messo a disposizione del sistema tramite la regola del Third Children: ogni famiglia ha diritto a due bambini; il terzo verrà puntualmente sequestrato dallo stato stesso e quindi destinato al macello in varie possibili soluzioni, dalla prostituzione allo schiavismo, passando per la compravendita di organi. C’è da dire però che, per le coppie particolarmente fertili e sufficientemente avvedute, c’è una piccola scappatoia che magari non migliorerà di molto la sorte del terzogenito di turno, ma almeno gli darà una possibilità in più: abbandonare il nascituro a Rengkok South, i sobborghi malfamati della città, patria ufficiosa dei Third Children.

Sarà proprio qui che il nostro alter ego senza nome inizierà la sua avventura dopo un breve tutorial utile a spiegare tanto le basi di questo adrenalinico twin stick shooter, quanto le sue specificità. Al nostro baldo campione, dotato di un casco integrale che gli rende impossibile parlare, ma gli garantisce comunque l’espressività necessaria a minacciare di morte chiunque tramite la fantastica installazione di uno schermo led sulla parte frontale, hanno rapito il fratello. E, come potrete immaginare, la scomparsa di un povero ragazzo solo in quel di Rengkok può solo significare indicibili magagne. Se poi ci aggiungete che il rapimento è avvenuto per costringere il nostro eroe a fare il killer su commissione per i rapitori, la frittata è bella che fatta. Sta quindi a noi, al nostro schermo minaccioso e alle nostre più pragmatiche mani sparapapagne, risolvere la situazione, scalando una gerarchia che inizierà dai semplici delinquentelli di strada e finirà per farci scalare le vette della società malata, scardinandone gli impassibili ingranaggi a colpi di sonora vendetta alla ricerca del fratellino scomparso.

Ruiner non può non ricordare Hotline Miami, tuttavia vanta una sua precisa, potentissima personalità

Dicevamo che Ruiner è un twin stick shooter, ma dicevamo anche che è pubblicato da Devolver, e che Devolver stessa vanta un’eredità fatta di giochi dirompenti nel panorama videoludico moderno. Di conseguenza l’interpretazione di quello “shooter” da parte di Reikon Games, sviluppatori del titolo, è sapientemente stata sporcata con una gran quantità di brawler, connubio che non può che far pensare a Hotline Miami. Da una parte il riferimento c’è, è tangibile e innegabile, così come lo è l’ultraviolenza che infiocchetta entrambi i prodotti; dall’altra però, Ruiner vanta una sua precisa, potentissima personalità, composta dall’abbondante porzione di top down shooting di cui abbiamo parlato, da una succosa mattarellata di brawler e da una spolverata di strategia, nella figura di un albero delle abilità dalle dimensioni importanti e incredibilmente dinamico, che stravolge i dettami del capolavoro di Dennaton Games e distingue nettamente le due opere.

Quindi spadate e proiettili a iosa, ma anche schivate di ampia portata, barriere, scudi, la capacità di hackerare gli avversari per farli combattere al proprio fianco, esplosioni, stordimenti e rallentamenti elargiti agli avversari fra una batosta e l’altra. Il combattimento, che è poi l’anima del titolo, è un rapidissimo susseguirsi di tecnicismi che se non imparerete in fretta a domare, testimonieranno soltanto una lunghissima sequela di brucianti sconfitte. Fortunatamente, basta premere un singolo tasto su pad (o tastiera che sia), per tornare immediatamente al checkpoint precedente la dipartita del nostro alter ego, senza che il gioco dedichi nemmeno un attimo al caricamento. Non sarà l’antidoto definitivo al ragequit, ma sicuramente aiuterà voi come ha aiutato me.

Sempre incoraggiante, pure con le scritte a terra. E che ce voi fa, so fatti così.

All’interno di una gloriosa cornice dalla cosmetica cyberpunk incredibilmente affascinante, completamente assorbiti da una ruvida colonna sonora elettronica, martellante e di primissima fattura, faremo strage di scagnozzi che ben presto saranno dotati di poteri assimilabili ai nostri, utilizzabili da noi attraverso celle di energia che potranno ricaricarsi più facilmente fuori dai combattimenti, e con qualche difficoltà all’interno degli stessi. Tuttavia il ritmo di gioco sarà davvero assorbito solo quando riusciremo a dosare con efficacia un’altra delle peculiarità di Ruiner: il bullet time. Nascosto dietro un’infografica che ci avvisa ogni tre combo inanellate, utilizzato come secondo strumento associabile alla schivata o attivato attraverso lo skill tree con un’abilità dedicata, il rallentamento del tempo ci permetterà quell’attimo di tregua di cui prima o poi avremo bisogno per elaborare una strategia che, nel prossimo minuto e mezzo di pestaggi, decreterà la nostra vittoria o la nostra sconfitta.

E poi in mezzo c’è, appunto, l’albero delle abilità dinamico, vero e proprio colpo di genio della produzione, che non si limita a costringere il giocatore a scegliere un percorso definitivo, ma permette di ridistribuire i punti accumulati in qualsiasi istante e a seconda delle necessità dello stage. Se in un temibile scontro a fuoco potremmo preferire barriere e abilità a distanza, un combattimento spada contro spada lo affronteremo sapientemente con abilità di stordimento e di “ammaliamento” degli avversari, senza dimenticate le sporadiche sezioni trial and error, o ancora i pochi momenti in cui bisognerà giocare esclusivamente sulla difensiva. Ecco, proprio quando vi sentirete coriacei a sufficienza, quando penserete di avere fra le mani lo stato dell’arte del sistema di combattimento di Ruiner, a sbriciolare le vostre certezze ci penserà uno degli innumerevoli boss del gioco, pronto a farvi tornare a pensare di cedere all’alt+F4, che in fondo sta lì apposta per portarsi via tutte le sofferenze del momento, e solo un pizzico della vostra dignità.

Per carità con la spada è bello, ma vuoi mettere dargli fuoco?

Insomma (cit. Giuseppe), Ruiner non fa parte di quella piccola rosa di eletti capace di ridefinire un genere e fare scuola alle future generazioni, ma ha una personalità che lo riconoscereste in mezzo a mille, è bello da vedere e divertente da giocare. E considerato che è l’opera prima di Reikon Games, studio di sviluppo fondato appena nel 2014 e che conta solo cinque persone all’attivo (cinque big dell’industria polacca che hanno lavorato ai tre The Witcher, a Dead Island e Dying Light, c’è da dirlo), è il vero e proprio inizio coi fiocchi di una carriera da freelance che si prospetta lunga e rigogliosa.

Ho ceduto più e più volte al ragequit grazie ad un codice inviatomi da quei fresconi di Reikon Games.

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