Satellite Reign e i gombloddi machiavellici

Carmelo Baldino
The Shelter
Published in
14 min readSep 15, 2015

Noi cloni-mercenari, frutto di un incesto poco etico tra biotecnologia e genetica, non eravamo stati creati per fare domande e porci dei dubbi: seguivamo semplicemente gli ordini. E gli ordini erano precisi: infiltrarsi nel quartier generale della mega corporation Dracogenics, installare un potente virus nei loro sistemi informatici e distruggere tutti i loro satelliti per mettere la parola fine alla loro distopia. Per un’impresa simile avevamo bisogno di formare un team di specialisti e pianificare una strategia che ci mettesse in condizioni di lanciare l’assalto. A guidarci in questa missione suicida c’era un certo TAG e come primo obiettivo ci aveva indicato il recupero dell’ “Infiltrator”, uno dei nostri specialisti catturati dal nemico. Sì, perché sfidare Dragogenics era praticamente come firmare un suicidio, visto che si trattava del pesce più grosso nell’oceano di melma che soffocava una città troppo spesso campo di battaglia delle guerre tra corporazioni. Ogni angolo della città era stato assoggettato alla loro distopica propaganda, dalle lussuriose pubblicità che invadevano ogni maxischermo affacciato sulle strade, alle telecamere che monitoravano senza sosta la vita di migliaia di persone. Quelle stesse persone che si erano ormai arrese all’idea che il mondo dovesse subire un simile destino orwelliano. Noi, invece, avevano altri progetti. E sotto questo cielo grondante di lacrime, stasera avrebbe avuto inizio una ribellione per ridare a quelle persone due cose che a nessuno dovrebbero mai essere tolte: la speranza e la libertà.

Se questa introduzione vi ricorda qualcosa che avete giocato negli anni in cui in Italia si firmavano storici patti sociali tra “sindacati” e Governo Ciampi, allora vuol dire che siete abbastanza “diversamente giovani” da ricordare anche i sindacalisti in salsa cyberpunk di un Peter Molyneux non ancora vittima delle sue utopie ad oltranza. Era il 1993 e una promettente Bullfrog tirava fuori Syndicate, combinazione di gestionale e strategia in tempo reale ambientato in un futuristico cyberpunk che ci metteva al comando di un team di agenti-cyborg al servizio di una delle corporazioni in guerra per il dominio del pianeta. Giusto un paio di anni fa c’è stato proprio il ventennale di questa storica saga e Mike Diskett, lead designer del secondo capitolo (Syndicate Wars) e front-man di 5 Lives Studios, ha sfruttato non solo il boom di Kickstarter (tirando su circa 460,000 sterline) ma anche la riesumazione mediatica del brand in salsa FPS da parte di EA e Starbreeze Studios (il non proprio brillante spin-off Syndicate). Il risultato è Satellite Reign, erede spirituale che cambia nome, ma non sostanza, e tenta di svecchiare alcune di quelle meccaniche strategiche ponendole in un contesto del tutto nuovo. Questo almeno sulla carta. Vediamo nei fatti.

La combinazione di invisibilità e “Stealth kill” del Infiltrator dona un sacco di soddisfazioni. Ci arate un’intera squadra di poliziotti corporativi se usata bene.

Emergent Gameplay

Questo RTS con visuale isometrica si poneva di raggiungere diversi obiettivi e, dopo una lunghissima fase di early access, ho potuto constatare con mano come siano stati raggiunti e quanto abbia giovato la continua raccolta di feedback da parte di 5 Lives Studios. E ve lo dico subito: il gioco merita assai, offre un sacco di appagamento per i giocatori più creativi e le premesse non sono state tradite, anche se alcuni limiti sono rimasti intatti e fanno sentire il loro peso sul giudizio.

Cominciamo col dire che la nuova formula Open World è fonte di continuo stimolo verso quel famoso “emergent gameplay”, che fa della freeform la sua arma più potente. Le cose che potremo sperimentare con il nostro team di cloni sono veramente parecchie e il tutto avverrà in un ambiente pieno di civili che seguiranno varie routine (alcuni di loro che proveranno addirittura a commettere crimini) e una polizia corporativa che cercherà sempre di mantenere il controllo della città e fare gli interessi dei cravattari ai piani alti. Infatti c’è talmente tanto di cui parlare che non so da dove cominciare. Parecchi sono anche i minuziosi dettagli estetici che formeranno quel bellissimo contesto cyberpunk, un po’ meno degradato, sporco e hard-boiled di un Blade Runner, ma pur sempre pieno di illusioni che nascondono crude verità. Graficamente è sullo stesso livello dei nuovi XCOM, con effetti di luce migliori ed esageratamente ultra-saturati e smarmellati per creare quell’atmosfera di fuga dalla realtà. E la pioggia, ovviamente, non poteva mancare. Purtroppo a mancare è qualcosa sul lato narrativo e pur essendo in piena sintonia con la stessa mancanza dei suoi antenati, comunque si sente ben presto il bisogno di qualche spiegazione in più. Già nell’introduzione il gioco tenderà subito a evitare “spiegoni” e verremo buttati direttamente sul campo, senza avere ben chiaro in quale contesto narrativo ci stiamo muovendo, quali sono le intenzioni di chi ci supporta e chi sono i nostri nemici. Solo alla fine del gioco capiremo, in parte, uno dei motivi di questa scelta ermetica, ma inizialmente ci sentiremo un po’ spaesati. Una intro meno criptica sarebbe stata cosa gradita.

Propaganda corporativa. GOMBLODDO! SCII KIMICII!

Sindacalisti 3.0

Controlleremo quattro agenti-clone, creati più o meno con le stesse diaboliche tecniche già viste nei vecchi Syndicate. Solo che questa volta non combatteremo sotto la bandiera di una delle corporazioni, ma dalla parte del popolo. Saremo una sorta di strumento di guerra con cui elargire morte in nome di un bene superiore e attorno a questa ambiguità ci girerà praticamente tutto il gioco, fino al culmine del plot twist nel finale. Ogni agente avrà la propria classe e il proprio stile: il Soldier sarà il tanker del team, il Rambo della situazione e colui che potrà attivare alcuni tipi di valvole che regolano fuoriuscite di gas venefico, oppure disattivare generatori che portano energia a telecamere, porte elettroniche e altre componenti dell’ambiente. Il Supporter sarà l’healer, ma più che curare sarà molto utile sia strategicamente (è l’unica classe che potrà attivare la modalità “Bullet Time”, con cui organizzare le nostre tattiche con più calma mentre il tempo rallenta) che come “scanner” dell’ambiente, visto che potrà usare una particolare visuale che ci mostrerà informazioni extra su ogni civile nella zona, sui nemici e su quali terminali alimentano porte bloccate e fastidiose telecamere. L’Hacker sarà lo smanettone che piazzerà device “succhia-soldi” su ogni ATM della città (soldi dei poveri civili), che violerà ogni terminale collegato a porte, telecamere e sistemi di sicurezza e potrà usare la sua speciale abilità “Hijack” per, letteralmente, “schiavizzare” ogni civile della città (ne parlerò meglio in seguito); infine c’è l’Infiltrator che è una sorta di ninja armato di katana e fucile da cecchino, particolarmente specializzato negli approcci da assassino furtivo e utile per ogni tipo di infiltrazione, grazie alla sua abilità che lo rende invisibile per un breve lasso di tempo. Tutte queste abilità speciali avranno un costo in energia, che si ricaricherà lentamente ed eviterà lo spam continuo.
Già solo da queste premesse capirete che di approcci e cose da fare ce ne saranno in abbondanza e infatti la parte migliore di Satellite Reign è proprio il come 5 Live Studios sia riuscito a combinare le skill di ognuno dei quattro cloni con la formula open world, dando vita a quel emergent gameplay a cui accennavo qualche riga fa. Salvo solo per il passaggio a un nuovo distretto (che richiede un pass recuperabile solo completando determinate missioni o accumulando un ingente somma di denaro), non ci saranno tappe da seguire obbligatoriamente in un dato ordine, così come non ci saranno limiti di spostamento nelle “zone franche”. Discorso diverso con le ben più pericolose “zone rosse”, di cui parlerà fra poco.

La nuova formula open world è fonte di continuo stimolo verso quel famoso “emergent gameplay” che fa della freeform la sua arma più potente.

Potremo portarci dietro due armi per agente (espandibili con un’apposita abilità), quattro augmentation e fino a quattro gear, che potranno sbloccare nuove skill o darci dei comodi bonus ai punti vita, all’armatura o al danno inferto e subito sul campo di battaglia. La crescita di ogni agente sarà pseudo-orizzontale, nel senso che guadagneremo esperienza (e nuove abilità) facendo varie azioni nella città e durante le missioni. Non avremo livelli da guadagnare, solo skill points da spendere. Non ci saranno requisiti di livello o limitazioni nell’uso di un equipaggiamento, cosa che permetterà non solo di specializzare al massimo ogni agente, ma anche di creare qualche ibridazione grazie ai gear. Esempio: date l’abilità di hacking a un Infiltrator e potrete portare a termine determinate missioni anche in solitario. Non avremo alcun obbligo di agire tutti insieme o in sinergia, potendo spostare ogni agente nei quattro angoli di ogni distretto. Ovviamente il problema sarà la gestione del tutto, sapendo che ogni combattimento si svolgerà senza pausa tattica e con al massimo il bullet time attivabile dal Supporter.

Vedete quei fili colorati? Seguite se volete capire cosa apre/sblocca chi.

Ci saranno invece diversi casi in cui sarà richiesto l’uso sinergico del team: potrebbe servire lo scanning del Supporter per capire quale terminale dovrà manomettere l’Hacker che, disattivando una telecamera piazzata di fronte a una porta sbloccata dal Soldier, darà il via libera all’Infiltrator per raggiungere l’obiettivo da assassinare. Ve l’ho semplificata, ma ci saranno situazioni quasi paragonabili a un pseudo-puzzle, dove dovrete hackerare/attivare anche più terminali nello stesso istante e nel mentre chiudere una valvola, usare un condotto, “possedere” un civile per distrarre la polizia corporativa e altro ancora, sapendo che un timer riattiverà ogni porta, telecamere e sistema di sicurezza.

È proprio in questi momenti che si sentirà addosso la tensione e il peso del come decideremo di approcciare. Ed è in queste “zone rosse” che dovremo fare molta attenzione, perché facendo scattare l’allarme arriveranno ondate di nemici che non fermeremo soltanto piazzandoci dietro ad una copertura e scaricandogli addosso fiumi di proiettili. Ogni nemico può allarmare i rinforzi, quindi più allarmi farete scattare e più creerete un caos esponenziale, ritrovandovi ben presto circondati da droni e bestioni corazzati. Se invece vi aggirerete in modalità furtiva e tenendo rigorosamente l’arma nel fodero, i nemici vi intimeranno di abbandonare l’area scambiandovi per un civile e se seguirete i loro ordini potrete passarla liscia, venir multati di qualche centinaio di dollari oppure vi beccherete un bel calcio nel culo (che toglie metà barra degli HP). Se invece vi ribellate, scatterà l’allarme e voleranno pistolate e pallettoni. Ci sarà anche l’opzione diplomatica in alcuni rari casi e potrete corrompere un poliziotto col vil denaro. Lo stesso vale per alcuni civili che hanno informazioni utili per scovare un’entrata segreta con cui accedere a un edificio super blindato e non condivideranno facilmente tale segreto se non dopo avergli messo in mano tanti bei bigliettoni verdi. Ora capite perché è importante succhiare i soldi dei civili dagli ATM? Il fine giustifica i mezzi.

Il Soldier, come al solito, si è mosso come un elefante in una cristalliera e sono partite le pistolate.

Intelligenze troppo artificiali

Il sistema di combattimento è disegnato attorno a 3 meccaniche: le coperture, i “finti turni”e l’approccio stealth. Le prime saranno attivabili cliccando vicino a specifiche parti dell’ambiente e saranno vitali per evitare di esporre gli agenti al fuoco nemico, soprattutto mentre ricaricano l’arma. I “finti turni” gestiranno il ritmo con cui ogni personaggio attaccherà in tempo reale dopo avergli impartito un ordine, dando una frequenza all’alternanza di fuoco e coperture. Se mentre un agente attacca daremo un altro ordine questi cambierà subito comportamento, cosa abbastanza scomoda se pensiamo che non ci sarà un comando “hold position” e basterà sbagliare un “clic” per vederselo allo scoperto sotto il fuoco nemico. Purtroppo non c’è nemmeno il comando di auto-attack attivabile non appena un nemico comincia ad attaccare, cosa che ci costringerà ad impartire sempre un ordine di attacco se non vogliamo ritrovarceli imbambolati mentre gli piovono addosso quintali di pallottole. Infine c’è l’approccio stealth, che a mio modesto parere regala sia le migliori soddisfazioni che le peggiori delusioni. Mi spiego: come numero di approcci, violenti e non, c’è l’imbarazzo della scelta tra poter usare condotti d’aria, la zipline (per lanciarsi agganciati ad un cavo), aggirare gli ostacoli senza far rumore o con l’invisibilità, usare un silenziatore per cecchinare i nemici, avvicinarsi a loro e sfruttare una “Stealth Kill” (morte istantanea), oppure hackerare un drone/robot per ritorcerlo contro i nemici. Il problema, in questi casi, è sempre lo stesso: l’intelligenza artificiale.

Come ormai è consuetudine, siamo di fronte a un ottimo esempio di città labirintica, piena di cunicoli e strade secondarie che si sposano benissimo con approcci alternativi, ma il tutto viene un po’ rovinato dalle troppe variabili che (non) entrano in gioco e che rendono meno intelligenti le reazioni che ogni nemico e civile ha (o non ha) di fronte a come noi agiamo. Di base parliamo comunque di una IA superiore alla media, perché ogni civile fugge non appena estraiamo l’arma in zone franche, ogni nemico ha il suo cono di visuale a lungo e breve raggio, può sentire i rumori dei nostri passi, degli spari, delle esplosioni e ti viene a controllare anche se ti becca ad hackerare un terminale o dare fastidio ad un civile. In alcune situazioni tende anche a circondare il nostro team, avvicinarsi a poco a poco sfruttando sempre le coperture e raramente li ho visti lanciarsi contro in pieno stile kamikaze. Le magagne cominciano quando uccidi uno di loro e il corpo sparisce, oppure quando capisci che basta allontanarsi un po’ per far diminuire il i quattro livelli di allarme e vederli tornare alle loro routine come se niente fosse. Di esempi ne potrei fare tanti, ma non è la quantità a fare la differenza in negativo, dato che parliamo di uno dei più grossi limiti del videogioco moderno e se dovessimo pesarlo in modo così severo allora dovremmo demolire un po’ di tutto (escluso solo Dwarf Fortress).

Se seguite la prassi quando vi beccano, non succede niente. Al massimo vi danno un calcio nel culo. Sul serio.

Il fine giustifica i mezzi

Completare missioni non solo ci farà guadagnare esperienze, skill point e denaro, ma ci darà accesso anche a dei prototipi, che potranno essere equipaggiati immediatamente (col rischio che se muore il clone che lo equipaggia perdiamo anche l’arma-prototipo), oppure si potranno dare in pasto al nostro team di scienziati arruolati in giro per la città (con l’abilità schiavizzante dell’hacker o pagando una somma di denaro). Dopo un certo lasso di tempo e un ingente costo, i prototipi diventeranno blueprint e saranno acquistabili ed equipaggiabili da tutti (se vi ricordate i vecchi Syndicate il meccanismo è simile). I cloni guadagneranno punti esperienza per quasi ogni cosa che faranno. Non ci saranno i classici livelli, ma ogni tanto guadagneremo uno skill point da investire in una delle abilità disponibili. Quando moriremo non perderemo queste abilità, nonostante si venga “reincarnati” in un altro clone: vi ricordate quando ho parlato di “schiavizzare i civili” descrivendo una delle migliori abilità del Hacker? Ecco, questa cosa mette in luce uno dei lati oscuri della nostra ribellione: il fine giustifica i mezzi. Di nuovo. Praticamente pur di portare a termine la missione ci approprieremo illecitamente del corpo di civili inermi, prima prendendone il controllo attraverso l’Hijacking e dopo decidendo se usarli come carne da macello da lanciare contro i nemici oppure se sfruttarli come nuovi cloni. Non mi chiedete quale tecnologia venga usata per fare una cosa simile, so solo che in questo contesto futuristico le memorie e skill di un agente morto vengono trasferite in un altro corpo e l’unico malus è la perdita di qualche punto esperienza se tardiamo troppo la fase di “respawn”. In pratica saremo immortali e non ci sarà mai un vero e proprio Gamer Over, anche se per ogni uso dello stesso corpo ci sarà un degrado dei punti vita e di altri bonus, cosa che a lungo termine ci costringerà ad abusare vergognosamente di altri civili.

Il problema è sempre lo stesso quando si parla di stealth: l’intelligenza artificiale.

Lo ammetto: un po’ mi sono sentito una persona brutta dentro nell’usare in quel modo degli innocenti e mi è sembrata una scelta troppo contraddittoria con il fine ultimo di questa ribellione, ma siccome arrivati a un certo punto ti ritrovi torrette, droni di ogni tipo, soldati super corazzati, robottoni, comandanti con armi che sparano robe che esplodono e altre diavolerie di varia natura, o cominci ad usare “carne fresca” oppure arrivi a subire malus troppo pesanti dopo la ventesima morte di seguito. È sempre quello il punto: il fine giustifica i mezzi. Discorso, invece, diverso nella modalità Iron Man, aggiunta con una recente patch, dove alla morte di un clone perderemo tutte le skill e l’esperienza. Olè. E sì, l’ho provata per un po’, ma sono subito tornato a quella normale, visto che più che divertirmi accumulavo solo inutili bestemmie. I duri amanti della sfida a tutti i costi ci si masturberanno su questa modalità, probabilmente. Un’altra aggiunta dell’ultima patch è l’Ultra Damage Mode che triplica i danni subiti e inferti, velocizzando parecchio ogni scontro a fuoco e rendendolo molto più letale e credibile del vedere due soldati che si sparano un intero caricatore nella faccia, stando in piedi per un minuto.

L’erede di Syndicate

La colonna sonora è roba per me, roba psichedelico-nostalgica degli anni ’80, abbastanza buona nel complesso ma con pochi brani che si ripetono fin troppo se spalmati su lunghe sessioni. È presa pari pari dai repertori della new wave, synth wave, retro wave e chi più wave ne ha più ne metta, ma non tocca i livelli epici di Perturbator in Hot Line Miami, purtroppo. Per finirlo ho impiegato quasi una quarantina di ore, molte delle quali passate ad aspettare che il contatore dei soldini arrivasse a cifre utili per acquistare nuovo equipaggiamento o ricercare un nuovo prototipo. Che i bigmoney in questo gioco siano vitali l’ho già detto, sì? Ma vi sto già vedendo che fate quelle facce furbette: no, non potete farmare denaro lasciando il PC accesso, perché dopo circa un paio di minuti si apre automaticamente il menu delle opzioni e il tempo si ferma (fermando anche il counter del completamento delle ricerche in corso). Dovrete giocare per fare soldi, come è giusto che sia. Purtroppo in questo schema il rischio di ripetitività, unito alla libertà offerta dall’open world, era dietro l’angolo e non tarderà ad arrivare quella sensazione di dover infiltrarsi di nuovo in una banca per accumulare altro denaro, oppure nel constatare che, cambiando distretto, la tipologia di missioni è sempre la stessa, con giusto poche varianti. Alla fine dovremo essere più noi a usare approcci creativi per dare varietà al tutto, perché tra numeri di tipologie di nemici abbastanza esiguo, IA non proprio al top e pattern di missioni un po’ ripetitivo, il rischio è di perdersi in una struttura che non ci obbliga a dover ripetere azioni in loop, ma nemmeno ci scoraggia se ne abusiamo.
Un’altra cosa che non ho digerito molto è la trama: troppo minimal e con un plot twist nel finale che non viene giustificato a dovere e lascia veramente l’amaro in bocca. Non che mi aspettassi chissà cosa da questo comparto e dall’incipit che andava a parare sempre sul solito gombloddo dei ricconi contro i poveri, ma resta un peccato soprattutto alla luce del fatto che il writing nei log delle missioni e nello scambio di battute con TAG non è affatto male.

Accingendoci alla chiusura, vi dico che di bug ne ho beccati quasi zero, che come difficoltà l’ho trovato ben bilanciato fino a 3/4 di gioco (per poi notare un’impennata improvvisa verso la fine, con una battaglia finale che è una mitragliata continua nelle gengive), e che se siete fan dei vecchi Syndicate secondo me questo gioco è fatto proprio per voi. Satellite Reign è quanto di più si avvicina a un Syndicate moderno e a tratti è anche migliore del suo storico predecessore, pur mantenendo parte dei suoi limiti. L’amore dell’autore verso il brand si vede e si sente, quindi se siete interessati ad entrare anche voi nella spirale amorosa lo potete trovare su Steam e GoG a una cifra che secondo me vale il costo del biglietto, soprattutto se vi piace sperimentare con la formula freeform. Se invece siete tra quelli che quando sentono “Syndicate” pensano subito “Ah quello sparatutto futuristico! FIGO!” allora forse è meglio se lasciate perdere. Io nel mentre vado ad installare un aggeggino che succhia soldi dal Bancomat del mio paesino… e se qualcuno ha da ridire posso sempre citare Machiavelli a random.

Ho portato ordine lì dove c’era caos e ho comprato degli occhiali sparaflashati fosforescenti grazie a un codice gentilmente offerto dagli sviluppatori.

8

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Carmelo Baldino
The Shelter

Web e Graphic designer per hobby. Troll di professione. Da quando gli è apparso in sogno il suo unico Dio (Chris Avellone) pensa di essere il suo araldo.