Shelterbook #08

Chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio

Alessandro Di Romolo
The Shelter
11 min readJun 5, 2017

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C’è che nella redazione di The Shelter esiste un enclave di appassionati… ma che dico appassionati, malati di calcio. Gente che discute, che tifa, che ama i propri colori e le proprie bandiere, ma anche gente con una passione sincera e viscerale, capace di travalicare la propria fede e apprezzare il calcio in tutte le sue manifestazioni di ammaliante potenza espressiva.

C’è però che la stagione è ormai finita. Una stagione che ha regalato emozioni forti sia in ambito calcistico che fanta-calcistico (il torneo redazionale ha emesso i suoi verdetti solo all’ultima giornata) e che, proprio per questo, risulterà più difficile da consegnare agli annali. Ci aspetta un’estate piena di domeniche vuote, che le sole notizie di calciomercato (il più delle volte false) non possono riempire. Però estate significa anche vacanza, significa ombrellone. E non c’è modo migliore di riempire i momenti morti in spiaggia con un buon libro.

Il caso vuole che questo sia un periodo d’oro per l’editoria calcistica italiana. All’improvviso ci si è resi conto che esiste un modo diverso di raccontare il calcio: diverso dal chiacchiericcio di pancia, dalla violenza negli stadi, dalle polemiche, dal moviolone del lunedì sera e dalle teorie del complotto. Ci si è resi conto che il calcio è più di un gioco, è un fenomeno culturale che scandisce la storia, s’intreccia con il costume e sottolinea il contesto sociale. Ci si è resi conto che produce epica, miti e leggende, e che lo fa non solo quando si guarda indietro, al passato, ma anche nel presente: la storia si scrive contestualmente all’azione, alla stagione in corso. E ci si è resi conto che questa epica vende, perché lì fuori è pieno di appassionati che non vedono l’ora di ascoltare qualcuno che gli dica di cosa parliamo quando parliamo di calcio.

Se dovessi individuare un momento in cui tutte queste cose sono apparse evidenti, direi che dobbiamo fare un salto indietro nel tempo alla prima giornata della stagione 2011/2012.

Guardate tutti e cinque i video della playlist.

Un alieno venuto dal pianeta del basket, all’anagrafe Federico Buffa, partecipa a Sky Calcio Show, la trasmissione che va in onda ogni domenica dopo le partite delle 15:00. È un modo diverso e spiazzante di parlare di calcio: Buffa usa riferimenti colti e popolari, dispensa analisi tattiche che non eravamo abituati ad ascoltare, racconta aneddoti sul soprannome di “El Frasquito” Maxi Moralez e intervista in spagnolo Luis Enrique, mettendo in mostra una cultura (non solo sportiva) e una conoscenza dei meccanismi tecnico-tattici fuori dalla portata dei colleghi, le cui risate sotto i baffi sono da interpretare come reazione a un forte e inatteso imbarazzo. Buffa utilizza una narrazione nuova, fresca e accattivante; sovrappone contesti con una nonchalance disarmante. È il giorno in cui sono morti (professionalmente, ci mancherebbe) i dinosauri di RAI Sport e del giornalismo parziale, delle trasmissioni spazzatura del lunedì sera e del sensazionalismo dei quotidiani sportivi, e sulle loro ceneri è sorto un nuovo tipo di storytelling.

Buffa se ne andrà, ahinoi, dopo una sola puntata di Sky Calcio Show, dirà che non era il suo ambiente. Ma intanto il seme è stato piantato: il grande pubblico s’è reso conto che si può parlare dello sport più bello del mondo in una maniera diversa, dicevamo. E siccome ne vuole di più, in risposta a una domanda così impellente nasce un’offerta da leccarsi i baffi: non solo vengono prodotte nuove trasmissioni di approfondimento su Sky (Buffa racconta, Storie Mondiali, Mister Condò, L’uomo della domenica etc…) e si assiste alla rivalutazione della figura professionale dell’opinionista (uno su tutti, Daniele Adani), ma vengono pubblicate anche nuove, meravigliose riviste cartacee e non (su tutte Rivista Undici, L’Ultimo Uomo e Uno-Due) e, soprattutto, una montagna di libri.

Quello che Aldo Grasso definì “il più bel programma culturale che mi sia capitato di veder negli ultimi tempi”. (lo trovate anche su Sky On Demand).

Siccome questa è Shelterbook, la rubrica in cui la redazione cerca di ricordarsi come si legge e contribuisce sensibilmente al vostro carrello della spesa, oggi parleremo (come penso si sia capito) di calcio.

Come al solito, alla fine di ogni contributo troverete il link per acquistare il volume in oggetto su Amazon.it: nel caso deciderete di darci retta e aprire il portafogli, una piccola percentuale di quel che spenderete finirà a noi, senza alcun sovrapprezzo per voi. Un bel modo per continuare a leggere tutti insieme.

Letture da bordo campo

Locos por el futbol
Carlo Pizzigoni

L’autore racconta, paese per paese, Divinità per Divinità, storie di campo, di calciatori, di campioni e di grandi allenatori che spesso hanno anticipato idee poi affermatisi in europa. L’Argentina di Bielsa, il grande Brasile del ’70 e quello dell’82, la Colombia di Maturana e il Cile di Sampaoli. Senza dimenticare di indagare le vite dei protagonisti, raccontando aneddoti inediti su Leo Messi, Neymar e eroi oggi meno famosi, come Juan Arango o Juan Alberto Schiaffino.

Noi italiani abbiamo un vizio ereditato dai nostri padri e maturato quando il nostro campionato era effettivamente il migliore del mondo: noi che tendiamo a essere esterofili sotto molti aspetti della vita quotidiana, quando si parla di calcio diventiamo i più accaniti campanilisti. Non solo snobbiamo il calcio sudamericano (ignorando il fatto che molti dei nostri idoli calcistici provengono da lì), ma se un giocatore o un allenatore non si afferma nella nostra lega, tendiamo a ignorare la sua storia e a bollarlo come una “pippa” che non merita considerazione. Guardate Oscar Tabarez, decano del calcio uruguagio marchiato a fuoco come ‘incompetente’ dopo trascorsi poco felici alla guida del Milan. Oppure a come tendiamo a ritenere Maradona superiore a Pelé solo perché quest’ultimo decise di non confrontarsi con il calcio europeo.

Il libro di Carlo Pizzigoni, che racconta vita morte e miracoli del calcio sudamericano trasudando amore per il subcontinente, spiega innanzitutto che ogni pianta ha il suo terreno fertile dove affondare le proprie radici e prosperare. Che certi personaggi e certe idee che non riescono ad attecchire qui da noi possono invece farlo in luoghi lontani (che con la globalizzazione non dovrebbero essere più tanto lontani, ma tant’è), dove il calcio viene preso ancor più sul serio ed è vissuto in maniera altrettanto viscerale. Locos por el futbol insegna che esiste un altro mondo, che esiste un’altra storia del calcio che vale la pena approfondire e imparare ad amare. Ed è così che le storie sulla “Nuestra” argentina e sul bielsismo cileno si rincorrono su un percorso che va dal primo giorno in cui è apparso un pallone da quelle parti fino ai giorni nostri.

Sarebbe riduttivo dire che Pizzigoni sia semplicemente l’autore che, in Storie Mondiali (a proposito, compratelo e mettetelo in naftalina in vista della Coppa del Mondo 2018), era riuscito a imbrigliare con redini di carta e inchiostro la meravigliosa parlantina di Federico Buffa. È anche uno scrittore appassionato e appassionante che con Locos por el futbol, attraverso una prosa pulita e fluente, ha dimostrato (semmai ce ne fosse bisogno) di avere una dignità artistica tutta sua.

Sperling & Kupfer
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Duellanti
Paolo Condò

Il calcio produce epica contestualmente all’azione, dicevamo. È apparso evidente, lapalissiano quando nell’aprile del 2011 la dea bendata ha fatto si che dall’urna del sorteggio della semifinale di Champions League uscissero fuori, appaiati, i nomi di F.C. Barcelona e Real Madrid Club de Futbol. Sì perché i due team più importanti della storia del calcio spagnolo, nell’aprile del 2011 avevano già in programma di sfidarsi altre due volte: in campionato e in finale di Copa del Rey. Due delle squadre più forti di tutti i tempi si sarebbero scontrate sul campo da gioco ben quattro volte in un lasso di tempo di 18 giorni. Una cosa mai vista.

Non solo Messi contro Cristiano Ronaldo, ma anche Piqué contro Sergio Ramos (i due compagni di reparto in nazionale nemmeno si salutano), i 99,354 posti del Camp Nou contro gli 81,044 del Santiago Bernabeu. Ma soprattutto Guardiola contro Mourinho: uno, timido e aristocratico (al punto da sembrare di primo acchito snob), incarna lo spirito del club blaugrana e cerca di innovare il proprio gioco seguendo i dettami del maestro Johan Cruyff; l’altro, il portoghese di Setubal che ha iniziato da secondo di Van Gaal proprio al Barcellona, è disposto a tutto pur di vincere, anche ad andare contro lo stile del proprio club (che lo ha assunto pur di riuscire a rompere il dominio del club catalano) e a “sporcarsi le mani” in sala stampa.

Il confronto tra le due personalità, asfissiante e psicologicamente devastante (almeno per Guardiola che, dopo quei diciotto giorni, non sarà più lo stesso e mediterà addirittura un prematuro ritiro), viene raccontato da Paolo Condò, l’unico giornalista sportivo italiano a votare per l’assegnazione del Pallone d’oro, che quello scontro tra titani l’ha vissuto da spettatore privilegiato, in quanto inviato de La Gazzetta dello Sport.

Condò analizza ogni smorfia, ogni cambio di tattica comunicativa e di atteggiamento, regala aneddoti, flashback e statistiche; pesa parole e microespressioni facciali, delineando il profilo psicologico dei due allenatori con un ritmo trascinante e che non lascia un attimo di respiro, come se fosse un duello a là Sergio Leone. A proposito, Condò è un appassionato di cinema e si vede: non c’è solo il titolo (chiaro riferimento all’esordio registico di Ridley Scott) a testimoniarlo, ma anche una serie di gustose citazioni che aggiungono pathos alla vicenda.

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91° minuto
Giacomo Giubilini

Il calcio viene spesso raccontato da due punti di vista. Il primo è apocalittico: il calcio come condizionamento e consolazione, oppio dei popoli, specchio di una società manipolata dai poteri economici e politici. Il secondo è nostalgico e identitario: il calcio come elemento di raccordo della propria parcellizzata memoria personale. La varietà degli approcci possibili al mondo del calcio non esaurisce la complessità del tema che risiede, questa è la tesi del libro, in un paradosso. Il calcio diventa sfida intellettuale interessante per tutto ciò che non è legato alla partita.

91° minuto, oltre che nel titolo, sta tutto qui: è una raccolta di saggi che raccontano l’evoluzione del contorno, di quello che accade attorno al rettangolo di gioco dopo il fischio finale. Mettendo alla berlina la nostalgia (specie quella delle “operazioni”) con un fact checking minuzioso e certificato dalle note a piè di pagina.

È così che il Milan di Berlusconi viene raccontato in una maniera diversa (e più interessante) dallo storytelling recente del club più titolato al mondo visto in TV, tutto lustrini e nostalgia canaglia. Oppure l’evoluzione del giocatore-brand, che viene spiegata portando due esempi agli antipodi: lo sfruttamento stile fenomeno da circo di un Garrincha alcolizzato e con un ginocchio continuamente siringato e la creazione di un “campione” spersonalizzato come Beckham, un brand privo di un’identità precisa (se non addirittura di talento). Nel mezzo, Giubilini infila anche una serie di aneddoti interessanti a sostegno delle proprie tesi come quello di Karl Power, un signor nessuno che appare nelle foto di squadra del Manchester United prima della finale di Champions del 2001, o di Ali Dia, un tizio che riuscì a giocare nel Southampton creando una fasulla raccomandazione di George Weah.
Quello dedicato all’ex presidente del Perugia Gaucci lo potete trovare in un estratto pubblicato sulle pagine de L’Ultimo Uomo.

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Tutti i numeri del calcio
Chris Anderson, David Sally

Se siete tifosi della Juventus, è molto probabile che nell’era Conte vi siate spesso lamentati della gestione dei calci d’angolo. Effettivamente appariva strana la gestione di questa situazione di gioco: di solito un giocatore accorciava verso l’angolo e riceveva il passaggio di Pirlo (o di chi era deputato al calcio dalla bandierina). Avevamo Bonucci e Chiellini, difensori alti e forti fisicamente con il vizietto del gol di testa, perché non crossare semplicemente in mezzo e sperare di insaccarla? Dopotutto si tratta di un calcio piazzato redditizio, giusto? Sbagliato!

Leggendo il libro di Chris Anderson e di David Sally, scoprirete una serie di verità nascoste dietro le statistiche alle quali molti non hanno mai badato, perché nel calcio “si è sempre fatto così”.
Ad esempio, i calci d’angolo: esaminando le conseguenze di 1434 corner in 134 partite di Premier League della stagione 2010–2011, i due analisti hanno scoperto che soltanto un corner su cinque si traduce in un tiro in porta, e che solo un tiro su nove finisce in rete. In altri termini, l’89 per cento dei tiri in porta da calcio d’angolo va sprecato. È per questo che si vedono sempre più squadre fare quello che faceva la Juve di Conte: ripiegare su un più redditizio schema piuttosto che buttarla in mezzo sperando di intercettare la capoccia del proprio giocatore più alto.

Le squadre di fama mondiale iniziano a prendere sul serio i numeri e a servirsi delle competenze di analisti professionisti che raccolgono e interpretano i dati degli allenamenti e delle partite. Tutti i numeri del calcio non è un borioso trattato di analisi: certo se avete dimestichezza con la statistica sarete un passo avanti a chi non ne capisce nulla. Ma lo stile ironico e asciutto di Anderson e Sally e la miriade di aneddoti lo rendono un libro alla portata di tutti. Una guida suggestiva per capire meglio il calcio e sfatare una serie di convinzioni apparentemente incrollabili. Un modo frizzante e appassionante di assistere alla grande tragedia della scienza, ovvero il massacro di una serie di belle ipotesi per mano di una manciata di brutti dati di fatto.

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La Tribù del calcio
Desmond Morris

Per capire l’enorme interesse globale che circonda il calcio (un’attività piuttosto semplice, in cui si prende a calci una palla) è fondamentale stroncare sul nascere l’idea semplicistica che sia “soltanto un gioco”. Questa è una frase che viene spesso pronunciata con tono esasperato da chi solitamente si indigna perché i media dedicano più spazio a questo che a temi di maggior rilevanza sociale. “Perché la gente spreca tutto quel tempo per qualcosa che è solo un gioco?” si chiedono, senza accorgersi che è molto più di questo. Se lo osservassero con più attenzione non ci metterebbero molto a capire che ogni partita è un evento di una certa complessità.

Evento che affonda le sue radici nel rituale della caccia per la sopravvivenza dei nostri antenati e che ha sostituito i giochi di sangue che sedavano gli istinti dei primi uomini, che avevano catturato e addomesticato le proprie prede. Pensateci: forza, abilità, resistenza, strategia, inseguimento, visione, mira, coraggio. Sono tutte parole che delineano caratteristiche comuni al cacciatore primordiale e al calciatore. Ma il calcio non è solo un rituale di caccia, è anche una riproduzione di una battaglia in miniatura, un’attestazione dello status sociale, una cerimonia quasi religiosa e anche una droga sociale.

A patto di non conoscerlo già in tempi non sospetti, sicuramente avrete sentito parlare di Desmond Morris a febbraio, quando Francesco Gabbani ha vinto il Festival di Sanremo con la sua Occidentali’s Karma. “La scimmia nuda balla” è un riferimento esplicito al libro più famoso di Morris (La scimmia nuda, per l’appunto), un rivoluzionario e divertente trattato di zoologia pubblicato nel 1967. Con lo stesso piglio ironico e analitico, Morris si approcciò nel 1981 al gioco del calcio, sviscerando ogni singolo aspetto del più importante evento di inclusione sociale dei nostri tempi.

Prendendo spunto dalle origini del gioco come evoluzione dei giochi di sangue nelle arene romane di cui sopra, Morris analizza tutto ciò che riguarda il calcio, dalle regole all’equipaggiamento, passando per le tradizioni, le derive violente del tifo, il culto dei campioni e chi più ne ha più ne metta.
Quella pubblicata da Rizzoli nel 2016 è un’edizione di pregio, riveduta, corretta e arricchita da nuovi capitoli, immagini in alta risoluzione, infografiche e dalla prefazione del già citato decano del calcio moderno José Mourinho. Un testo fondamentale, divertentissimo, profondo e pieno di curiosità utili a capire meglio lo sport che tanto amiamo.

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