The Town of Light racconta il vero volto dell’orrore
Tra le tante etichette con cui vengono catalogati i videogiochi, per praticità o necessità, ne esiste una poco conosciuta che nasconde dietro la sua breve dicitura una dimensione affascinante del mezzo ancora poco indagata. Con docu-games, o documentary games, si tende a indicare un videogioco in cui la realtà non è solo del proficuo materiale narrativo, come lo sbarco in Normandia in Medal of Honor o i periodi storici di Assassin’s Creed. La realtà diventa qualcosa da raccontare, o usando un termine più appropriato, testimoniare.
È un rapporto ancestrale quello tra testimonianza e medium, un rapporto che non sorprende se pensiamo a reportage fotografici o più semplicemente ai documentari che televisione e cinema propongono costantemente. The Town of Light è uno dei pochi titoli — l’altro che viene subito in mente è That Dragon, Cancer — che rientra di prepotenza nella categoria nonostante la sua forma da romanzo storico. Un’opera di fantasia ambientata in un contesto reale oltre che realistico, le cui vicende sono basate su approfondite ricerche votate a raccontare la storia dell’ex ospedale psichiatrico di Volterra. Siamo in Toscana, in pieno regime fascista, e qui Renèe, una ex paziente, torna nel manicomio ora dismesso per far luce sul suo passato.
The Town of Light tenta di inserirsi all’interno di un filone ben delineato. Quello dell’avventura in prima persona che predilige l’esplorazione — o la narrazione quando le due cose si sovrappongono — alla risoluzione di enigmi, ma lascia in disparte le velleità orrorifiche che è lecito aspettarsi dal genere. Non ci sono atmosfere lugubri — azzeccata l’idea di ambientare il gioco di giorno, donando al mood generale un realistico senso di solitudine e abbandono — o salti sulla sedia da video di youtube. Entriamo nel manicomio di Volterra con l’idea di capire cosa è successo, non per farlo diventare l’ennesimo tunnel degli orrori da Luna Park. I lunghi monologhi di Renèe e la lettura dei vari documenti portano alla luce le storie dei pazienti rinchiusi nel fatiscente edificio in tutto il loro crudo realismo. I pochi innesti onirici rappresentano l’unica concessione ai canoni del genere, col compito di solidificare le emozioni della protagonista piuttosto che di incantare il giocatore con astrusi viaggi mentali.
Nonostante l’affresco che ne esca riguardi il manicomio, inteso come edificio spazialmente e temporalmente ben delineato e non come astrazione iconica della follia umana, al centro della trama di The Town Of Light c’è la tormentata storia di Renèe, della sua reclusione, delle sue psicosi, e della sua sessualità. Finalmente affrontata in un videogioco con maturità e rispetto. Non un orpello pruriginoso ma un ruolo chiave nella vita psichica della donna, messa in primo piano attraverso un’analisi impietosa che non risparmia dettagli su abusi, violenze e che ben dipinge l’aria ipocrita che avvolgeva strutture come queste in un delicato periodo storico come quello degli anni 30 .
The Town of Light non si pone problemi nello sbattere in faccia al giocatore gli eventi in tutta la loro crudezza, senza edulcorarli, senza un montaggio climatico che affibbi loro una connotazione etica. Mai come in questo caso è possibile scindere ciò che viene raccontato dalle fonti usate come ispirazione. Come ripetuto continuamente all’interno del gioco, questi servizi sanitari in Italia spesso erano ben lontani dal rappresentare dei luoghi di guarigione. Qui le psicosi non erano malattie da sanare quanto comportamenti scorretti da correggere brutalmente o almeno nascondere alla vista degli sguardi indiscreti di chi si trovava oltre le mura di questi carceri autorizzati. Con chirurgica asetticità il gioco lavora in sottrazione, per scelta e in parte per necessità viste le limitazioni tecniche, mostrando un volto poco noto delle strutture sanitarie psichiatriche dell’epoca.
Sviluppato in Unity, il gioco non brilla certo tecnicamente. Il motore presenta problemi di stuttering e molte texture non sono all’altezza della situazione, meno ancora i vari modelli poligonali. Ma il lavoro di ricostruzione riesce nonostante tutto a catturare l’atmosfera di questo vecchio edificio e delle orripilanti vicende accadute al suo interno. La poca complessità tecnica paradossalmente si tramuta in un punto di forza nel presentare delle scene asciugate da ogni orpello visivo. Le vicende vissute sono spesso private di un accompagnamento musicale, senza una reale costruzione dell’atmosfera. Quello che si perde in fascino però si guadagna in verosimiglianza. Privati di caratura artistica gli eventi inscenati si caricano solo della loro forza fattuale, del loro realismo mimetico capace, in più di qualche occasione, di far spostare lo sguardo dal monitor di fronte a scene psicologicamente soverchianti dove, spesso e volentieri, viene lasciato ben poco spazio all’immaginazione.
The Town of Light è un gioco scarno. Tecnicamente, ludicamente e per certi versi anche narrativamente. Ma questa sua deprivazione ludica dono forza espressiva alle vicende narrate. Sopra ogni cosa non è un gioco horror, non come siamo abituati a intenderlo. L’orrore non ha qui nessuna valenza simbolica, metafisica, o iconica. Al centro dell’esperienza restano ben salde le condizioni di vita inumane dei pazienti rinchiusi, i soprusi inconfessabili degli aguzzini e le turbolente emozioni sedate con tecniche oggi ritenute aberranti. Pochi titoli possono vantarsi di essere riusciti a dare voce a un capitolo così oscuro della storia italiana contemporanea.
Guardando il lato prettamente ludico è doveroso precisare come alcune scelte di design più curate avrebbero sicuramente aiutato l’esperienza. Capita a volte di trovarsi sperduti senza avere ben chiaro come avanzare, in questi frangenti comunque la voce di Renée viene in aiuto al giocatore dandogli indizi sui luoghi da visitare o sulle azioni da compiere. Più in generale il gioco fa fatica a scrollarsi di dosso una certa mancanza di rifinitura, che va dai menù decisamente asettici al riciclo di asset a volte troppo evidente. Parliamo comunque di difetti marginali che non intaccano minimamente la forza e l’importanza del titolo.
The Town of Light sarebbe potuto essere molte cose: un reportage fotografico, un documentario, perfino un’installazione artistica. Ma Lka.it ha scelto la strada meno ovvia, e il risultato è un contributo sostanzioso e concreto per il videogioco. Un’opera prima imperfetta, ma coraggiosa, che affronta in modo maturo dei temi fin troppo abusati ridandogli il lustro e la concretezza che meritano se trattati con serietà. Un titolo che non nasconde la sua anima italica, capace di valorizzare la realtà che ci circonda e di saperne cogliere sfumature e possibilità. Un videogioco fatto da un piccolo team di sviluppo di cui possiamo, e dobbiamo, solo che essere orgogliosi.
Mi sono immerso nelle incredibili atmosfere del gioco grazie a un codice gentilmente offerto dagli amici sviluppatori.