13 motivi per cui Una serie di sfortunati eventi è già una delle migliori serie del 2017

Matteo Cinti
The Shelter
Published in
5 min readJan 24, 2017

Anche se nel trailer siamo invitati a evitarla perché troppo deprimente (tanto che anche la sigla rimarca questo concetto), Una serie di sfortunati eventi è in effetti la prima migliore serie di quest’anno. Certo, è il 2017 da venti giorni, non è che ci voglia molto a essere “il meglio”… eppure possiamo scommettere che resterà nell’Olimpo delle serie più interessanti di quest’anno, per almeno tredici motivi:

1. Il narratore

Lemony Snicket è lo pseudonimo di Daniel Handler, il romanziere che ha dato vita ai racconti originali di Una serie di sfortunati eventi. In questo adattamento televisivo, Lemony Snicket non si limita a narrare i fatti, ma rompe la quarta parete interagendo con lo spettatore con allusioni, battute e riferimenti che sfruttano la sua posizione di onniscienza. Una scelta narrativa vincente, ben interpretata da Patrick Warburtron.

2. I tre orfani

Violet, Klaus e Sunny sono effettivamente sfigatissimi. Talmente sfigati che ci verrà da ridere il più delle volte, ma sarà inevitabile entrare in empatia con loro, soprattutto per la logorroica Sunny. Nella loro innocenza si dimostrano essere il trio più acuto, l’unico personaggio che riesce sempre a smascherare (per poi aggirare) i trucchi del conte Olaf. Finora, almeno.

3. Neil Patrick Harris

Il conte Olaf è interpretato dal Barney Stinson di How I Met Your Mother, a dir poco un pezzo da novanta. Neil ha calpestato il palco di Broadway per anni, diventando una delle star più complete e trasversali del nostro tempo. Anche in questa serie la sua interpretazione non si fa oscurare, anzi è la più divertente e riuscita senza però prevalere sul resto del cast. Camaleontico e sempre convincente, è in pratica il Johnny Depp di questa storia, ma molto meno noioso e macchiettistico.

4. La sigla

Sempre per approfittare della poliedricità di Neil, la sigla è composta e cantata da lui. Ad ogni arco narrativo testo e immagini cambiano, anticipando lievemente i contenuti della puntata che vedremo (ma tranquilli, fa tutto parte del gioco). In italiano è stata interpretata da Nanni Baldini (storico doppiatore di Stewie e Ciuchino, per capirci) che, pur facendo un ottimo lavoro vocale, resta un po’ vittima dell’adattamento.

5. La fedeltà ai romanzi

Rispetto al film, che condensava soltanto i primi tre romanzi della saga, nella serie ogni romanzo è adattato in due episodi. In pratica ogni libro equivale a circa due ore di girato, aspetto che lascia ampio spazio a tutti gli elementi minori dell’opera originaria, mantenendo comunque un ritmo senza inutili sbrodolamenti. Inoltre, aspetto tutt’altro che secondario, ha trovato spazio anche la sottotrama del simbolo a forma di occhio (il tatuaggio del Conte), assente nel film ma fondamentale nel libro.

6. Lo stile (quasi) unico

Se l’amico che l’ha già vista vi ha detto che la serie è un incrocio tra i distanti Tim Burton e Wes Anderson, tranquilli, non è pazzo. Personaggi ed eventi cupi e grotteschi tipici della narrativa di Burton si incontrano con lo stile registico di Wes Anderson, fatto di grandangoli e scenografie perfettamente costruite. Una serie di sfortunati eventi è un esperimento stilistico perfettamente riuscito che prende il meglio di entrambi i registi.

7. Il grottesco

Attingendo particolarmente dal pozzo burtoniano di cui sopra, la serie ci regala spesso momenti grotteschi, volti soprattuto a evidenziare la cecità dei personaggi secondari verso i tre orfani e i loro tentativi di smascherare il conte. Il conte stesso, tra travestimenti ed escamotage per fuggire all’arresto, è la calamita dei momenti più divertenti e assurdi.

8. Il cast secondario

Anche se di contorno, i personaggi secondari hanno un ruolo ben definito e una caratterizzazione chiara. Ciò è dato sicuramente da un’ottima costruzione degli stessi, ma anche dalle interpretazioni di stelle del cinema per niente secondarie come Joan Cusack, Catherine O’Hara e Alfre Woodard.

9. Le allitterazioni

Una delle cose curiose di questa strepitosa serie è che tutti i titoli contengono delle adorabili allitterazioni. Un infausto inizio, La stanza delle serpi, La funesta finestra e La sinistra segheria sono le piccole parti che la compongono. Non sarà un fatto fondamentale, ma direi decisamente divertente.

10. È per bambini ma anche no

La storia originale è a tutti gli effetti un racconto per bambini, e anche questa serie è costruita a misura di ragazzino. Pure se piena zeppa di elementi dark e grotteschi, come dicevamo, non è mai veramente violenta né volgare. Ciò non toglie che anche chi è abituato ai contenuti à la HBO potrà apprezzare.

11. Dura poco

La prima stagione è composta da otto episodi appena. Con un binge watching deciso si può completare in un pomeriggio, ma anche gustandoselo alla vecchia maniera (un episodio per volta… ma chi ci riesce?) ci permette di impegnarci per poco tempo.

12. È stata già rinnovata

A nemmeno una settimana dal lancio, la serie è già stata rinnovata per la seconda stagione e molto probabilmente sarà rinnovata anche per una terza e ultima. La serie quindi è già stata apprezzata e non vi lascerà con una storia monca.

13. Il numero 13

Tredici è un numero che ritorna spesso nella serie. È un chiaro riferimento alla sfortuna. Tredici sono i libri da cui è tratta. Tredici i capitoli di ogni libro. La serie è uscita su Netflix venerdì 13. Anche l’ultimo libro uscì di venerdì 13. Tredici sono i punti di questo articolo. E, incredibilmente, tredici sono le frasi che compongo il punto 13. Infine, tredici sono i secondi che impiegherete per lasciare questa pagina e aprire Netflix.

Magari preferite seguire i suggerimenti dei vari trailer, quelli che dicono di non guardare la serie. Magari invece questi tredici motivi vi hanno convinto del contrario. A voi la scelta.

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Matteo Cinti
The Shelter

Vorrei dire di saper scrivere bene ma non posso. In compenso guardare serie tv e leggere fumetti mi riesce benissimo anche a testa in giù.