Quelle strade alberate della Virginia

Jacopo Di Iorio
The Shelter
Published in
5 min readSep 26, 2016

Un bagno, un lavandino e un beauty-case appoggiato. Le tue mani. Davanti a te uno specchio riflette la tua immagine. L’immagine di una donna impavida, piena di coraggio e aspirazione. Prendi il rossetto e con un gesto illumini di rosso le tue labbra. È un’azione a cui sei abituata e a cui il giocatore, fatta la conoscenza con Anne Tarver, dovrà presto abituarsi tra lunghi corridoi, viaggi in auto e misteri dai risvolti paranormali.

È questa la prima scena di Virginia, opera dei Variable State, che fin da subito mette in chiaro la sua natura: in quel guardarsi allo specchio, così come noi entriamo nella vita di Anne, quest’ultima osserva il giocatore instaurando un legame basato sulla sincerità, uno dei temi portanti di tutto il titolo. Virginia non è un videogioco qualsiasi, non tenta di intrattenere con il suo studiato gameplay ma, al contrario, rinuncia quasi totalmente alla sua natura ludica e interattiva per puntare a un diverso coinvolgimento, di stampo cinematografico. Una scelta che estremizza la tendenza del nostro media preferito di pescare a piene mani dal grande schermo, portandola a un nuovo livello, spiazzando l’utente per la sua scarsa interazione ma costruendo una nuova tipologia di narrativa a cui solo pochi titolo riescono ad aspirare.

Virginia è un mistero on the road. È un legame che si rinforza tra i sedili di un’auto.

Virginia non è un videogioco tipico. Pur non essendolo, il titolo firmato Variable State non può non colpire l’attenzione, in negativo o in positivo, per più di uno dei suoi aspetti. Non si può infatti rimanere impassibili di fronte alla magnificenza estetica e alla cura per i dettagli con cui l’opera è stata confezionata. Dal punto di vista meramente estetico, una palette di colori sapientemente tendente ai toni acidi e un irrealistico ma efficace “contouring” di luci e ombre riescono a trasmettere l’essenza di ogni ambiente, sia esso un sottoscala opprimente o un ampio viale alberato. Virginia va oltre l’essenza e l’impatto estetico iniziale, riuscendo a narrarci la storia delle sue stanze e delle persone che le vivono grazie a un’oculata operazione di arredamento degli interni, in cui l’attenzione per ogni minuzia è stupefacente e riesce davvero ad arricchire l’esperienza, infarcendo e dettagliano l’universo di gioco. Gli scatoloni ancora non aperti di Anne, la sedia con il montascale per anziani a casa di Maria (co-protagonista dell’avventura) e tanti altri piccoli oggetti, più o meno importanti, danno al giocatore più attento la possibilità di affondare il volto nelle vite degli abitanti di Kingdom, di vivisezionare le loro paure e le loro ossessioni.

Virginia non è il videogioco tipico

È forse anche per questo motivo che gli sviluppatori hanno deciso di narrare la loro storia con un videogioco: per dare realmente la possibilità di vivere con diversi gradi di approfondimento gli eventi che hanno voluto raccontare. Infatti, considerando che l’interazione da parte del giocatore è piuttosto esigua, precisamente muoversi da un punto A a un punto B per poi premere, su PlayStation 4, il tasto X, Virginia punta, come detto in parte prima, a un coinvolgimento principalmente emotivo e, più generalmente, intellettuale, basato anche sulla libertà di rallentare e prendersi i propri tempi per osservare l’arredamento anni Novanta, l’asetticità degli uffici dell’FBI o la vistosa croce sopra il letto di Lucas Fairfax, il ragazzo scomparso che le protagoniste devono trovare. Rallentare però non sarà soltanto comodo per ammirare gli scorci dipinti da Variable State, ma sarà fondamentale per riflettere sugli stranianti avvenimenti del gioco.

La trama di Virginia, pur partendo dal semplice pretesto di un’indagine condotta da due agenti dell’FBI, trova gusto a evolversi in maniera squisitamente inaspettata grazie a un continuo intrecciarsi tra dimensione onirica e realtà, dominato da un montaggio composto principalmente da tagli improvvisi e repentini cambi di scena.

Ed è anche in questa continua dissoluzione delle certezze che Virginia assomiglia moltissimo ad alcune produzioni televisive e cinematografiche degli anni Novanta, da cui pesca a piene mani per dipingere a schermo l’ineffabilità e l’assurdità della vita a Kingdom, novella Twin Peaks o Lumberton dei videogiochi che, dietro alla sua tranquillità da cartolina, nasconde turpi e inconfessabili misteri. Una trama complessa e una fonte d’ispirazione importante però non lasciano che il giocatore si senta sconfortato o, peggio, preso in giro ma, al contrario lo coinvolgono, grazie a un citazionismo sempre intelligente e mai scomodo e a una progressione degli eventi che si fa sempre più intricata e interessante, nella risoluzione del mistero e soprattutto nella difficile convivenza tra le due protagoniste della vicenda, due donne tanto distanti quanto caratterialmente simili.

È proprio su questa distanza che intercorre tra Anne e Maria — tra l’altro due protagoniste di colore in un panorama di protagonisti principalmente bianchi — che Virginia mostra con orgoglio la sua totale assenza di dialoghi. Ogni battuta mancante viene infatti veicolata tramite le espressioni e il linguaggio del corpo, creando un tipo differente di comunicazione, minimale ma davvero efficace nell’alimentare gli innumerevoli misteri che compongono la trama. Così, tra il silenzio dei personaggi e i loro movimenti più o meno vistosi, Virginia riesce ad emozionare con una facilità disarmante, incidendo ogni singolo istante non soltanto da un punto di vista visivo ma soprattutto sonoro. Infatti, tutta l’assenza di suono che comporta la mancanza di dialoghi viene compensata da una vasta gamma di suoni ambientali come vento, passi o battute su tastiera, e soprattutto da una colonna sonora da applausi a scena aperta. Ogni brano rimane ancorato in testa e non fatica a evidenziare gli avvenimenti a schermo, riempiendoli allo stesso tempo di un significato più ampio, quasi universale.

Un band si esibisce in un bar: impossibile non pensare Blue Velvet e a Isabella Rossellini.

Concludendo, Virginia è un susseguirsi di tensione e interrogativi che conduce a un finale frastagliato, somma di un percorso emotivo che tiene impegnati per un paio di ore il giocatore. Un giocatore però che perde la sua centralità, accettando il ruolo di spettatore, per lasciare spazio ad Anne e Maria, due personaggi creati per raccontarsi.

Siccome non tutti sono disposti a farsi prendere così prepotentemente per mano da un videogioco, il titolo di Variable State non è per tutti ma solo per pochi. Quei pochi però, ne sono sicuro, lasceranno il cuore nelle strade alberate della Virginia.

Ho fatto un giro con Virginia su PlayStation 4 grazie a un codice download graziosamente concesso dagli sviluppatori.

8

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Jacopo Di Iorio
The Shelter

Da piccolo volevo fare il pittore ora come ora il pirata. Scrivo di videogiochi, di cultura pop e di tutto ciò che “c’entra perché ci capa”.