Your Name. di Makoto Shinkai: quell’opera d’arte che vedranno in pochi

Matteo Cinti
The Shelter
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4 min readJan 25, 2017

Your Name. è il secondo film giapponese a incassare di più nella storia, eppure resta nelle nostre sale solo per tre giorni, per giunta feriali. L’approccio totalmente autolesionista da “evento speciale” è l’unica critica che voglio muovere verso questo film, che con la sua qualità, a mio avviso, poteva tranquillamente sostenere una distribuzione ordinaria, accanto a qualche altro blockbuster hollywoodiano che campa solo grazie alle star che contiene. È un incipit amaro, lo capisco, ma assolutamente doveroso ogni volta che parliamo di questi film “di nicchia”, più per scelta del distributore che per spirito proprio.

Makoto Shinkai dirige il suo quinto film d’animazione raccontandoci una storia dalle premesse (apparentemente) banali. Due ragazzi delle superiori, Taki e Mitsuha (lui vive a Tokyo, lei in un paesino di campagna), sono legati da un’esperienza onirica misteriosa, che li fa vivere alternativamente l’uno nel corpo dell’altra. Uno scenario visto innumerevoli volte in film americani e non, magari tra cheerleader e secchiona, tra padre e figlio, solitamente nell’ottica di far crescere i protagonisti imparando dalla prospettiva del proprio opposto. Ma le intenzioni di Shinkai non sono così ovvie: lo scambio dei corpi è un pretesto per un disegno molto più complesso focalizzato su uno dei temi più cari del regista, la distanza.

Come già visto dolorosamente in 5 cm per second, le storie di Shinkai gravitano attorno alla distanza e la separazione. Your Name. è infatti una continua corsa verso l’incontro dei due protagonisti, inizialmente presa alla leggera con spensierate scenette da commedia degli equivoci, ma che a partire dalla seconda metà del film assume toni drammatici tipici della narrativa giapponese che, in generale, tende ad assumere pieghe struggenti quando si tratta di dramma. La questione del bodyswap viene presto oscurata da un’inaspettata emergenza di livello catastrofico che proietta il film in una direzione tutt’altro che leggera, facendoci disperare scena dopo scena per ogni centimetro di distanza tra i due protagonisti.

Taki e Mitsuha che si scrivono insulti in faccia a vicenda. Che amori.

Sebbene Shinkai non voglia essere paragonato a Miyazaki (e chi lo biasima?), è innegabile come i due registi siano legati da alcuni metri stilistici in comune: primo fra tutti, l’attenzione per il dettaglio. Dalle vallate del lago Itomori fino alle trafficate ferrovie di Tokyo, ogni fotogramma di Your Name. è ricco di elementi, carico di una luce sempre tremendamente reale, studiata nei minimi riflessi. L’esperienza visiva per lo spettatore non si può definire solo notevole ma semplicemente straordinaria. Anzi, rispetto all’iperrealismo de Il giardino delle parole e di 5 cm per second il livello di dettaglio è anche leggermente calato; eppure, grazie a una sapiente ottimizzazione degli sforzi di realizzazione, resta ugualmente di altissima qualità.

Tra gli aspetti che mi hanno più affascinato c’è poi questo continuo dualismo degli elementi, a partire dai due protagonisti, ragazzo e ragazza, passando per la natura e la città, la tradizione e il progresso, la realtà e il sogno, il giorno e la notte. Elementi opposti che dipingono il Giappone di oggi, qui rappresentato nelle vesti più moderne e pragmatiche da un lato, e più tradizionali e mistiche dall’altro. In questo festival degli opposti, il regista riesce a collocare perfettamente uno spazio temporale in cui è possibile “vedere cose che non si potrebbero vedere normalmente”, il katawaredoki, ovvero il crepuscolo, quel momento della giornata che non è né giorno né notte, e che ci insegna che, alla fine, anche aspetti troppo distanti possono convivere nello stesso luogo e tempo.

Sicuramente Your Name. non è un film perfetto. Nella seconda parte Shinkai ha forse un po’ esagerato con il ritmo degli eventi, spingendo il film a una velocità supersonica che, sì, riesce a tenerci appesi fino all’ultimissimo fotogramma, ma ci tiene in apnea un po’ troppo. Nonostante questo la trama è sempre sotto controllo e tutti i pezzi trovano il loro posto, quindi si tratta di un difetto a mio avviso secondario. Da citare assolutamente l’ottima colonna sonora dei RADWIMPS, personalmente scelti da Shinkai, che enfatizza perfettamente gli eventi più concitati sia nella commedia che nel dramma.

Non posso neanche consigliarvi di precipitarvi al cinema perché probabilmente non farete in tempo nelle poche ore di programmazione rimaste, ma sarebbe un crimine perdersi questo film. Magari in attesa dell’home video potete farvi trascinare dal romanzo, sempre scritto da Shinkai, che, erede di Miyazaki o no, sicuramente sa fare il suo lavoro di regista di film d’animazione. Vedere Your Name. per credere.

9

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Matteo Cinti
The Shelter

Vorrei dire di saper scrivere bene ma non posso. In compenso guardare serie tv e leggere fumetti mi riesce benissimo anche a testa in giù.