Come As You Are

Gli anni Novanta sono una brutta bestia

Alessandro Pattume
The Snikt!
4 min readJun 2, 2017

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Io vengo da una periferia che non so descrivere. Direi da un pugno di case equidistante dalle due città più vicine e poco altro. Campi, tossici e case in costruzione. Poi un giorno mi sono perso in questa città grigia che non faceva nulla per farsi amare e mi è venuta voglia di spaccare tutto. Ma non potevo spaccare tutto. E avevo pure voglia di scappare, ma non potevo scappare. E avevo anche voglia di essere felice e diventare qualcosa di migliore ma non ci capivo un cazzo per davvero, e allora mi son detto, sai cosa? Si starà a vedere.

È un giorno di sole del 1994, credo. Ho 15 anni e nonostante sia un coglione imbranato, in questo liceo ho conosciuto un po’ di gente simpatica. Alcuni hanno pure qualche anno in più di me. Insomma, io non so nulla di musica o quasi, e quel giorno mi recapitano questa cassetta da 90. Col senno di poi credo sia stata una specie di prova, un’iniziazione. In quella cassetta, scopro di lì a poche ore, c’è un Olimpo di voci, chitarre, bassi e batterie: Nirvana, Pearl Jam, Soundgarden, Dinosaur Jr, Screaming Trees, Pixies, Sonic Youth, Mudhoney, Mother Love Bone, Alice in Chains e anche qualcun altro che non ricordo. All’improvviso la musica entra nella mia vita, mi colpisce allo stomaco e mi consegna a un certo spirito e a quella famiglia allargata. C’è l’incazzatura e il disagio, c’è l’amore e la malinconia, il dolore, la speranza e un intero apparato di supporto per il mondo intorno. Ci sono un sacco di cose mie in quelle note, in quelle melodie, e la mia vita, senza chiedere il permesso, non ha potuto più farne a meno.

Questa cassetta in fondo allo scatolone delle cassette è stata la mia prima vera presa di coscienza. È una piccola cosa, una cassetta, eppure un sacco di cose sono iniziate e finite con una cassetta nella mia vita. E chissà per quanti altri sarà stato così.

Poi sono venuti altri accordi e altri amori, altre infatuazioni, anche più consapevoli e ragionate. Ma quella cassetta è legata alle viscere: quel preciso momento della vita, quella musica e solo quella, quegli amici. È un nodo che non si può sciogliere, sono le fondamenta su cui è venuto e mancato tutto il resto. E chissà in quanti siamo e per quanti altri sarà stato così.

È l’estate del ’92 e non ho la più pallida idea di come fare a parlare con questa ragazza dai capelli corti, le lentiggini e un bikini rosso mozzafiato che incontro da qualche giorno in sala giochi . Avrà sedici anni e io non sono che un ragazzino un po' in carne con gli occhiali, e soprattutto con tre anni di meno addosso.

Lei gioca a Pang nel torpore del dopopranzo adriatico mentre io litigo con Dhalsim che non ne vuole sapere. Siamo soli.

Alla fine Mr Bison mi sconfigge e sbuffando mi allontano dallo schermo e lei non c’è più. Ma non se n’è andata. È solo all’altro lato della sala, ferma di fronte al jukebox.

Infila i soldi, preme un bottone, due giri di chitarra e una batteria che entra furiosa. Lei si volta, disegna un’ampia curva e passandomi davanti senza degnarmi di uno sguardo scompare nella luce del pomeriggio. Solo allora, avrei scoperto qualche anno dopo, Kurt Cobain comincia a cantare Smell Like Teen Spirit.

Quando sono arrivato io era comunque già tutto finito, con quella musica là. Però quella musica aveva un’onda lunga, lunghissima, che per anni ha continuato a sbattermi ai concerti degli amici, tra screwdriver, gin lemon fino all’alba e ritorni a passo d’uomo su un water rosso con due ruote. Alle notti in questa cattedrale del rock che una volta avevamo a Prato e che non tornerà mai più, in mezzo all’alcol, al pogo, alle risse e ai videogiochi, tenuto sveglio dall’impressione di dover per forza far chiusura perché certi momenti non sarebbero tornati più. Alle trasferte di una sola notte, Prato-Milano-Prato, con i camion neri sull’Appennino, il fischio nelle orecchie e il silenzio innaturale degli autogrill. E chissà in quanti siamo, e per quanti altri sarà stato così a Prato, in Italia e in tutto il resto del mondo.

La musica e gli amici non si scelgono, sono loro che scelgono te. È inevitabile. S’intrecciano e s’accumulano per caso e senza chiederti il permesso ti spingono ad essere quello che diventerai. Nel bene o nel male ti dicono, anche vent’anni dopo, eccoci ancora qui. Riconosco le facce, ricordo i viaggi e gli incontri, le discussioni, le sbronze, le ragazze. E mentre il concerto comincia ancora una volta mi rendo conto senza nostalgia alcuna com’eravamo. Ricordo chi è stato ed è qui con me e chi invece è andato e non c’è. E anche chi non ci sarà più. Centinaia di facce e di momenti, di storie e di melodie che in un unico istante questa musica ripesca e dispone finalmente lungo la linea della mia vita.

Sorrido. Un mostruoso quadro d’insieme nitido e febbricitante al tempo stesso. E mi viene in mente una cosa. Forse anche voi continuate ad alzarvi certe mattine con la voglia di scappare da qualche parte o vi ritrovate ancora a guardarvi intorno e a voler spaccare tutto. E magari cercate ancora d’esser felici o solo un poco migliori, ma avete anche capito che non c’è soluzione logica, che è così che funziona. Che non finisce mai. E che non siete da soli.

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Alessandro Pattume
The Snikt!

Ho scritto 12 anni su un giornale, poi mi sono ricordato di quello che diceva mio nonno. Giornalista freelance, babbo, co-founder di www.pratosfera.com