Un solo grado di separazione dal nulla

Storia di un sabato sera

Alessandro Pattume
The Snikt!
3 min readJan 20, 2017

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E’ sera e ti affacci alla finestra, ritiri i panni congelati, butti uno sguardo alla finestra dei vicini. È un finestrone senza tende, incastrato nel palazzo di fianco con cui condividi la corte. Getti sempre un’occhiata veloce. Ogni volta, ogni giorno. E col tempo, hai imparato come la luce s’insinua tra le piante per inondare quella stanza a mezzogiorno; le gobbe colorate dell’attaccapanni che sembrano sempre sul punto di scoppiare; il tavolo dove li vedi leggere, mangiare e lavorare. Per non parlare di quella curiosa finestra interna, oltre la quale s’intravede il salotto e uno strano manifesto su cui campeggia una frase scritta a mano, forse in spagnolo.

È sera, e dall’inverno scorso quel finestrone è diventato un piccolo rituale. Piccolo e segreto. D’inverno, lasci sempre qualcosa appeso al filo per ricordartene più tardi, all’improvviso. Di sera.

La fiamma della stufa che rimbalza sul vetro ti ricorda casa tua. Il focolare davanti al quale hai passato gli anni dei giochi e degli studi, dove hai raccolto gli odori e le voci dei tuoi, dove hai costruito pezzo dopo pezzo i tuoi sogni di ragazzina. Il treno col quale poi li hai rincorsi non rende più amari quei ricordi, li rende solo più lontani. E d’inverno, la fiamma della stufa li riaccende ogni sera.

Questa sera però il finestrone è buio, la stufa è spenta, e quel tenue chiarore che fissi senza capire sono io che contemplo il nulla.

Ti vedo.

Ripiegato nell’oscurità come un piumone in fondo all’armadio, fisso il cellulare quasi scarico e penso d’essere perduto.

Vattene.

Tra poco proverò a chiamare qualcuno che possa dare una svolta a questa serata. Così potrò riaccendere la luce, mettere in carica il cellulare e far tornare in vita la stufa e tutto il resto. Potrò tornare alla sera della mia normalità.

Però è tutta una miseria di cose vere, e non riesco a muovermi. Accendo la pila e scovo angoli di casa mia di cui non mi ero mai accorto. Questa palla di luce bianca sono io, bada bene, non un ladro come nei film. Non fare stronzate. Ho già lanciato un appello, chiamato invano qua e là, mandato messaggi deliranti. E l’unica mia preoccupazione è continuare a farlo, dopo aver ricaricato il cellulare.

Sono la mela senza torsolo che ho mangiato a pranzo. Torsolo è una parola così bella che quasi quasi ci scrivo un pezzo lirico come vanno adesso. In forma di lettera, sì. O almeno ci provo. Oppure vado a letto vestito di tutto punto e lascio la scala aperta come comodino, o mi metto a cercare candele che non troverò che tanto sono inutili, o busso alla porta di un vicino, e lui sì, se lo trovo, avrà luce da darmi. L’elettricità. Mai giocare con l’elettricità, la sera. Le persone si rilassano, escono, s’ubriacano la sera. Non si gettano in imprese elettriche dall’esito incerto, di sera. Cretino. È morto Bauman e l’unica cosa che posso sentire è il tempo, anche se non lo conoscevo. Col tempo, posso rimediare. Vattene.

C’è un solo grado di separazione tra me e il nulla. Ha la forma bianca e rettangolare di un differenziale. Bruciato sull’altare del faccio da solo in un’epoca che tenta di convincerci che possiamo fare a meno di noi stessi.

Poi, nel buio, una voce risponde.

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Alessandro Pattume
Alessandro Pattume

Written by Alessandro Pattume

Ho scritto 12 anni su un giornale, poi mi sono ricordato di quello che diceva mio nonno. Giornalista freelance, babbo, co-founder di www.pratosfera.com