Chi gioca a baseball, in Italia

Un breve viaggio tra i diamanti sparsi per il nostro Paese

Mirko Spadoni
The Tank 2
12 min readMay 30, 2016

--

Joe DiMaggio giocava divinamente. Negli Stati Uniti, dove trascorse tutta la sua carriera — DiMaggio indossò la maglia dei New York Yankees dal 1936 al 1951, vincendo nove World Series, realizzando 2.214 battute valide, 361 fuoricampo e battendo a casa 1.537 punti — lo sanno tutti. Fidatevi. Oppure andate a chiedere a Nettuno, una piccola città sul litorale laziale, quanto fosse bravo DiMaggio. Ve lo spiegheranno, raccontandovi un episodio avvenuto una domenica di tanti anni fa.

Estate 1957. Mentre soggiornava a Roma, DiMaggio venne a sapere che gli abitanti di Nettuno avevano — e hanno ancora, in realtà — una passione sfrenata per il baseball, un’eredità dei soldati americani che proprio su quelle coste sbarcarono durante la Seconda guerra mondiale. Evidentemente incuriosito, Di Maggio si fece accompagnare all’istante con una jeep, arrivando giusto in tempo per assistere alla partita tra il Nettuno e l’A.S. Roma. Al suo arrivo, l’incontro venne sospeso e l’ex giocatore degli Yankees fu invitato a dare prova della sua abilità, sfidando alla battuta quello che era considerato il lanciatore italiano più bravo di tutti e che all’epoca giocava proprio per il Nettuno: Carlo Tagliaboschi. DiMaggio non ci pensò due volte. Si fece dare una mazza e vestito di tutto punto si presentò al piatto. Le cose non andarono come previsto, almeno inizialmente: l’ex Yankees — autore di 361 fuoricampo nella Major League Baseball (MLB), il campionato professionistico statunitense — restò immobile di fronte ai primi due lanci di Tagliaboschi, che finirono nel guanto del ricevitore.

Joe DiMaggio in azione durante una gara di MLB, fonte: realclearsports.com

Con due tiri e altrettanti strike sul conto, DiMaggio si decise a fare sul serio. Dopo aver riposto con cura la giacca vicino al piatto di battuta, si arrotolò le maniche della camicia e invitò Tagliaboschi a tentare nuovamente il tiro. “More. Gimme some more”, disse DiMaggio, che venne accontentato con un lancio veloce. Veloce come i due che lo avevano preceduto, ma al quale DiMaggio aveva deciso di riservare un destino diverso. Colpì la palla — lo fece “senza sforzo”, assicura chi era tra il pubblico — , che volò sopra le teste dei giocatori, superò il muro che delimitava il campo da gioco e finì la sua corsa tra le onde del mare. Ma lo stupore dei presenti crebbe ulteriormente nei minuti successivi. Al primo home run, ne seguì un altro e poi un altro ancora. Tifosi e giocatori persero addirittura il conto: ancora oggi, non sappiamo con esattezza quanti lanci di Tagliaboschi vennero ribattuti fuori dal campo da Joe DiMaggio. Il New York Times scrive che, dopo l’ennesimo home run, uno spettatore osservò che, se nessuno avesse fermato DiMaggio, il Nettuno avrebbe finito presto le palle da gioco. L’ex Yankee capì che era giunto il momento di lasciar giocare gli altri. Quelli gliene furono grati e, prima di lasciarlo partire per Roma, chiesero di farsi una foto insieme a lui. Il campione.

Quel giorno, vedendo DiMaggio all’opera, alcuni presenti raccontano che capirono cosa volesse dire giocare veramente a baseball. Poi i successi della squadra locale — campione d’Italia per 17 volte e d’Europa in sei occasioni — e la passione dei suoi tifosi trasformarono definitivamente Nettuno nella capitale del baseball italiano, che è il più competitivo a livello europeo. “Da appassionato posso dirvi che l’Italian Baseball League [il massimo campionato in Italia, ndr] esprime di gran lunga il livello più alto di baseball che ci sia in Europa”, mi conferma il responsabile della Comunicazione della FIBS, la Federazione italiana baseball softball, Riccardo Schiroli. Difficile non essere d’accordo. Il baseball italiano ha una lunga tradizione. Volete delle prove? Perfetto. Allora andate a sbirciare l’albo d’oro della nazionale azzurra, che dal 1954 ad oggi ha vinto dieci Europei, oppure guardate il ranking stilato dalla WBSC — l’organizzazione che governa il baseball e il softball a livello mondiale — e che classifica le migliori nazionali al mondo. Tra le rappresentative europee, occupiamo il gradino più alto: il nono posto della graduatoria generale. Mica male. Anche se la distanza con le prime della classe (Giappone, Stati Uniti, Taipei, Corea del Sud e Cuba) appare incolmabile.

Il ranking WBSC, aggiornato al 30 maggio 2016

Negli ultimi anni la FIBS ha introdotto delle importanti novità, sostituendo nel 2007 la vecchia Serie A-1 con l’Italian Baseball League, un campionato disputato da sette franchigie e che, tra le altre cose, non prevede retrocessioni.

“Quando il progetto nacque — sottolinea Schiroli — ebbe il supporto convinto della MLB e dell’allora vice presidente con delega agli affari internazionali, Paul Archey. Dalla MLB sarebbe dovuto arrivare il supporto per le attività di promozione. Ma questo era prima della crisi dei mutui subprime negli USA. Quel mezzo disastro economico ha fatto cambiare la posizione della MLB, che non ha mai deliberato l’investimento. Oggi sono anche cambiati i vertici MLB, quindi siamo tornati esattamente al punto di partenza”.

Dovremmo comunque chiederci cosa potrebbe fare il baseball italiano per migliorarsi ancora. Incrementare il numero delle partite giocate ogni anno potrebbe essere la soluzione, ad esempio? “Da quando sono entrato per la prima volta in uno stadio di baseball (nel 1975, a 12 anni scarsi) sento dire che ‘bisogna giocare di più’. A parole, siamo tutti d’accordo. Ma le azioni che vedo compiere, esprimono nel concreto una volontà di giocare di meno”, osserva Schiroli.

I numeri del baseball, in Italia

Società affiliate alla FIBS, la Federazione italiana baseball softball: 327

Altri nuclei (società neo costituite in attesa di affiliazione, le leghe scolastiche, le associazioni amatoriali, i gruppi mini — baseball/softball, ecc…): 150

Squadre attive: circa mille

Il mio personale punto di vista — prosegue il responsabile della Comunicazione della FIBS — è che dovremmo avere una IBL giocata da maggio alla prima decade di settembre. Se non abbiamo la forza di creare un campionato parallelo, proverei a studiare un sistema di collaborazione con squadre della A federale per avere roster potenzialmente espandibili. Aprile dovrebbe essere utilizzato come il mese dello Spring Training, da chiudersi con la All Star Game come evento d’apertura della stagione. Marzo, le ultime tre settimane di settembre e ottobre dovrebbero essere usate per le competizioni internazionali. Per novembre e dicembre il mio sogno è organizzare una Winter League in Sicilia, sponsorizzata da FIBS e club IBL, con quattro squadre di prospetti Under 20 (e magari qualche over come rinforzo, specie se non gioca in Italia) a puro scopo di sviluppo giocatori. Se l’accordo fosse esteso a Olanda, Germania, Francia (i paesi che hanno Accademie come l’Italia) si potrebbe anche arrivare a otto squadre. Non credo sia insostenibile, dal punto di vista economico. Non sono nemmeno convinto — conclude Schiroli — che un progetto di questo genere solleverebbe entusiasmo, nel nostro movimento”. Che invece ne avrebbe bisogno anche per attirare l’interesse dei più giovani.

Il lanciatore — un bambino tra i nove e i dieci anni — ha commesso diversi errori, concedendo basi e punti agli avversari. Ma nessuno gliene fa una colpa. Nessuno. Né i compagni di squadra né il pubblico a bordo campo, mentre l’allenatore si limita a dargli qualche consiglio: alza il tiro, aggiusta la mira, non mollare. Mi rendo conto che sto assistendo ad una situazione inedita, almeno per me: ho visto innumerevoli partite di calcio giovanile, dove bastava pochissimo — un passaggio fuori misura, una rimessa laterale sbagliata… — , per scatenare il malcontento di compagni, mister e spettatori. Ma sono l’unico ad essere sorpreso da quanto sta avvenendo davanti ai miei occhi, sul diamante: l’uomo al mio fianco, il presidente della S.S. Lazio Baseball&Softball Giuseppe Sesto, tiene il conto del punteggio — siamo al terzo inning e i biancocelesti sono sotto di otto punti — , limitandosi ad osservare attentamente le mosse dei ‘suoi’ ragazzi. Di tanto in tanto, parliamo un po’ e mi spiega come funziona: “I ragazzi si allenano il martedì e il giovedì, per poi giocare il sabato”. Salvo imprevisti e tempo permettendo, naturalmente: se piove, non si gioca. Il baseball è un gioco diverso dagli altri. “In controtendenza”, mi dice Sesto. “La stagione del calcio e del nuoto — osserva il presidente biancoceleste — inizia a settembre e finisce a maggio, in pratica si svolgono contemporaneamente all’anno scolastico. Quella del baseball inizia ad aprile, per poi concludersi a settembre. E così il bambino che vuole giocare al nostro sport spesso non può farlo. Ti faccio un paio di esempi stupidi, ma significativi: a maggio ci sono le comunioni e alcuni ragazzi non possono venire al campo. E poi giochiamo nei mesi estivi, quando magari le famiglie sono in vacanza”. Questi non sono gli unici ostacoli, però. A volte, anche l’aspetto economico può tenere lontano il bambino dal diamante: “Alla Lazio, un anno di scuola baseball costa 600 euro. Forniamo una parte dell’occorrente (la divisa, il berretto…) e la mazza da gioco”. Mentre gli scarpini e il guanto devono essere acquistati dalla famiglia. Nel suo piccolo, la Lazio è riuscita a creare comunque un bel gruppo: “Abbiamo 60 ragazzi iscritti”, mi dice Sesto. Il bambino che si avvicina a questo sport ne rimane affascinato e lo abbandona soltanto dopo qualche anno. Il presidente biancoceleste me lo conferma, ammettendo che tra una stagione e l’altra la società non registra “fuoriuscite”: “I ragazzi smettono di giocare intorno ai 17 anni e — mi spiega, sorridendo — lo fanno per ovvi motivi”. Ma questo accade anche altrove. Negli Stati Uniti, ad esempio.

Qualche mese fa Marc Fisher, giornalista del Washington Post, ha raccontato la storia di Austin Albericci, un adolescente del New Jersey che, dopo aver calcato a lungo il diamante, ha preferito il football americano al baseball. Il motivo? “Il baseball è tutto pensieri, e io faccio una vita diversa dal baseball. Nel basket e nel football vivi l’attimo. Devi essere rapido. E tutto quello che faccio, io lo faccio in fretta”. Con buona pace di Rob Manfred — il commissioner della Major League Baseball, il campionato professionistico statunitense — , i coetanei di Austin Albericci sembrano pensarla allo stesso modo. Le statistiche certificano che il baseball sta perdendo appeal tra le nuove generazioni — lo scorso anno, per la prima volta il sondaggio di ESPN sui trenta atleti preferiti dai giovani americani non ha incluso nessun giocatore di baseball — e un progressivo innalzamento dell’età media dei tifosi: secondo ESPN, l’età media del pubblico del baseball ha raggiunto i 53 anni contro i 47 dei fans del football e i 37 anni di quelli del basket.

Il logo della MLB

Neanche i grandi eventi riescono a stimolare l’interesse dei più giovani: Fisher scrive che i ragazzi tra i 6 e i 17 anni sono diventati dal 7% al 4% del pubblico dei play-off di baseball, nelle ultime due stagioni. Peccato. Eppure il business legato al baseball non sembra risentirne, almeno per il momento. “I profitti — ha osservato Marc Fisher — sono a quote da record, l’afflusso di pubblico è intenso nei trenta stadi della Major League e in quelli delle serie minori, mentre i giocatori di baseball guadagnano il 50% in più di quelli di football”.

“Uno dei limiti alla diffusione del baseball e del softball in Italia è il fatto che questi sport necessitano di impianti specifici”, mi spiega Riccardo Schiroli. “I nostri sport piacciono molto, quando vengono presentati a scuola. Ma succede che il passaggio dalla scuola (o dal tunnel di battuta gonfiabile in una festa) sia difficoltoso”. Il numero dei giocatori di baseball d’età compresa tra gli 8 e i 13 anni ne è una prova evidente: nel 2015 il CONI contava 2.576 tesserati, la maggior parte dei quali (2.206) erano ragazzi.

Atleti agonisti tesserati dal CONI nel 2015, divisi per classi d’età

Fonte: FIBS

Tanto per farsi un’idea, nel 2013–2014 i bambini d’età compresa tra gli 8 e i 12 anni tesserati alla FIGC, la Federazione italiana giuoco calcio, erano 335mila. Difficile sorprendersi, però: il calcio è lo sport più praticato in Italia.

Fonte: Report Calcio 2015

“Penso che il movimento, lo dico da appassionato, debba interrogarsi su come fare a rendere più appetibile la sua proposta nella fascia d’età dai 14 ai 18 anni e — prosegue Schiroli — per quei giocatori che sono mediamente capaci, non destinati all’eccellenza dell’Accademia e forse nemmeno all’IBL. Ma che possono rappresentare lo zoccolo duro di appassionati del domani. Troppo spesso a quell’età si perde interesse. E a questo modo, non riusciamo a creare un sentimento di ‘senso d’appartenenza’ al movimento che sarebbe tanta salute per il baseball e il softball italiani”.

A Nettuno, hanno trovato un modo per far crescere l’interesse per il baseball anche tra i più giovani. “Con il ritorno ad un unico club, abbiamo reintrodotto un’iniziativa abbandonata qualche anno fa e che coinvolge i ragazzi delle scuole elementari e medie della città”, mi spiega il dirigente del Nettuno Baseball City, Gianluca Faraone, sottolineando che “l’iniziativa non riguarda i bambini delle scuole materne perché possono entrare gratuitamente allo stadio”. “Due settimane prima dell’inizio del campionato, formiamo quattro — cinque squadre composte da tre giocatori di Nettuno e uno straniero che, accompagnati da alcuni dirigenti del club, vanno nelle scuole elementari e medie della città per distribuire gli abbonamenti, che permettono ai ragazzi di assistere alle gare di campionato disputate in casa dal Nettuno”, prosegue Faraone. Sulla tessera, che costa soltanto 10 centesimi di euro, oltre al calendario delle partite sono presenti degli spazi per inserire i dati personali, la foto, il nome della scuola di appartenenza e gli autografi dei giocatori preferiti. “Il prossimo anno, intendiamo coinvolgere anche le scuole di Anzio”, mi spiega Faraone.

Del resto, l’iniziativa sembra funzionare — “Alla prima giornata di campionato giocata in casa, c’erano 300 bambini allo stadio ed è stato bellissimo” — , ma la società laziale vuole fare di più: “A Nettuno ci sono 4.300 bambini di età compresa tra i 6 e i 14 anni e vogliamo riportarli allo stadio insieme alle loro famiglie”. Riempire i gradoni dello Steno Borghese non è l’unico obiettivo del club che, pur non avendo un settore giovanile, invita i bambini allo stadio con la speranza di “avvicinarli a questo sport”. “Tanti genitori — racconta Faraone — ci hanno chiesto informazioni sulle squadre presenti in città, dove poter iscrivere i propri figli”.

Avvicinare i giovani al baseball può essere una soluzione per incrementare le presenze negli stadi italiani, contribuendo ad abbassarne anche l’età media. Secondo l’ultima Indagine sul pubblico del baseball in Italia, condotta nel 2010 dalla FIBS, il 55% del campione è un giocatore o ex-giocatore in una qualche forma di attività organizzata (giovanile, federale o puramente amatoriale). Inoltre, così come negli Stati Uniti, anche in Italia i giovani rappresentano una porzione esigua: tra i tifosi di baseball, il 13% ha tra i 16 e i 25 anni, mentre gli under 16 sono il 9%. Una percentuale particolarmente bassa, ma a cui la FIBS non dà un peso eccessivo: il sondaggio “non era rivolto a loro [gli under 16, ndr] e — osserva la Federazione — le diverse operazioni promozionali condotte da tutti i club (scuole, ingressi di favore, giovanissimi tesserati) rendono evidente una sottostima di questa fascia nei risultati” della rilevazione. Mentre risulta più rilevante la quota dei tifosi d’età compresa tra i 36 e i 45 anni, pari al 27% del totale. Tra le altre cose, l’indagine rileva che la presenza maschile è particolarmente significativa sugli spalti degli stadi italiani — sette spettatori su dieci sono uomini — , che sono frequentati da un pubblico ‘fedele’: il 68% del campione dichiara di assistere almeno a sei partite a stagione, con il 36% che vanta “oltre 15 presenze annuali”.

Tuttavia, secondo Riccardo Schiroli, “non si può essere soddisfatti dell’afflusso di pubblico. Anche se nel recente passato ci sono stati episodi incoraggianti, né della visibilità. Ma credo che vada fatta una valutazione a 360 gradi, che comprenda la congiuntura dello sport in Italia (quasi tutte le discipline soffrono cali di pubblico, a cominciare dal calcio) e una valutazione sul livello dell’accoglienza. Oggi in Italia non c’è uno stadio che si avvicini agli standard che il pubblico si aspetta. Bisogna esserne consapevoli”, conclude Schiroli.

Segui @SpadoniMirko

Nota a margine: nel rispondere alle mie domande, il responsabile della comunicazione della FIBS Riccardo Schiroli ha espresso esclusivamente il suo punto di vista.

--

--

Mirko Spadoni
The Tank 2

Redattore per T-Mag. Ho scritto per Lazialità, il Caffè geopolitico e Zeppelin. Due libri — 1977 Juventus anno zero e Che peccato! — con il Collettivo Banfield.