I “bangla” della Capitale

Sono gli alimentari gestiti dai cittadini provenienti dal Bangladesh che in genere offrono alcolici a buon mercato. Se ne contano a centinaia, tant’è che esiste un’app per individuarli più facilmente

Mirko Spadoni
The Tank 2
5 min readApr 28, 2016

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Mahbub — il nome è di fantasia — mi guarda sornione e rifiuta gentilmente la mia richiesta. Lo fa porgendomi l’ennesima birra di una serata trascorsa davanti al suo piccolo alimentare, che tiene aperto per circa diciotto ore al giorno, in una viuzza del quartiere San Paolo, a Roma. Nonostante la confidenza che caratterizza il nostro rapporto — conosco Mahbub da circa cinque anni — , dice che preferirebbe non rispondere alle mie domande e la cosa non mi sorprende: altri suoi connazionali hanno fatto altrettanto.

Massimo — 50 anni, romano verace — sa quello che dice. “I bengalesi sono persone tranquille, che pensano soltanto al lavoro”, mi spiega mentre sorseggiamo una birra e commentiamo il gentile rifiuto di Mahbub. “Avendo lavorato al centro di accoglienza a Tor Sapienza, ho conosciuto tanti stranieri che sono venuti qui in Italia. La loro presenza non mi dà fastidio. Devono solo avere la voglia di lavorare”. Proprio come Mahbub, che con la sua attività non rappresenta un’eccezione: secondo un’analisi Unioncamere–InfoCamere sulla base dei dati del Registro delle imprese delle Camere di commercio italiane, i cittadini provenienti dal Bangladesh titolari di un’impresa individuale sono 28.800 e rappresentano una porzione considerevole dell’imprenditoria extra-comunitaria attiva in Italia, che vanta complessivamente 354.113 attività. Del resto, il lavoro rappresenta la ragione principale che ha spinto i bengalesi ad insediarsi nel nostro Paese: secondo l’ISTAT, tra le prime dieci collettività per numero d’ingressi nel 2014 — oltre al Bangladesh, l’elenco include anche Marocco, Cina, Albania, Pakistan, India, Nigeria, Stati Uniti, Egitto e Ucraina — , solo tra i cittadini bengalesi i permessi di soggiorno sono stati concessi prevalentemente per motivi di lavoro.

Anche in tempi economicamente difficili come quelli attuali, i bengalesi hanno dimostrato un grande dinamismo — nel 2015, hanno aperto il più alto numero di imprese tra gli stranieri (3.195) — e una resistenza notevole. Secondo la Banca d’Italia, negli ultimi anni le rimesse degli immigrati — ovvero il denaro che i lavoratori stranieri inviano nel proprio Paese — sono crollate del 27%, passando dai 600 milioni di euro del 2011 ai 440 milioni del 2014. Un crollo che ha riguardato i bengalesi solo marginalmente. Incrociando i dati sulle rimesse della Banca d’Italia con quelli dell’ISTAT sull’immigrazione, il quotidiano online Linkiesta ha calcolato la variazione del dato pro-capite avvenuta tra il 2011 e il 2014. Dall’analisi emerge che le rimesse dei connazionali di Mahbub hanno subito un calo molto contenuto, passando dai 3.523 del 2011 ai 3.244 euro di tre anni dopo (-7,9%). Agli altri (cinesi, marocchini, filippini…) è andata decisamente peggio.

Fonte: Linkiesta.it

Delle 28.800 imprese con titolare bengalese, circa 19mila sono attive nel commercio. Come Mahbub, del resto. La presenza delle cittadini del Bangladesh è meno consistente nel manifatturiero (743 unità) mentre detengono il primato in due comparti: “informazione e comunicazione” e “noleggio, agenzie di viaggio, servizi alle imprese”, con 769 e 5.119 imprese. E (sempre) come Mahbub, una buona parte delle imprese bengalesi è attiva nel Lazio. Difficile sorprendersi, però. L’ISTAT, secondo cui al 1° gennaio 2015 risultavano residenti in Italia 3.929.916 cittadini non comunitari, rileva che il 28,6% dei 138.837 bengalesi presenti nel nostro Paese vive nella regione laziale, dove detengono un primato ‘speciale’. I cittadini del Bangladesh sono i titolari del più alto numero di imprese extra-comunitarie attive nel Lazio: 12.561, pari al 31,5% delle attività straniere disseminate nella regione.

Per quanto poco significativo a livello statistico — in tutto, avrò parlato con circa quaranta persone che frequentano assiduamente i “bangla” — , la stragrande maggioranza dei clienti non ritiene l’aspetto economico l’unico punto di forza delle alimentari bengalesi. “Spesso ci ritroviamo qui perché è più comodo rispetto ad un pub, dove magari dobbiamo aspettare qualche minuto prima di sederci ad un tavolo e poter bere una birra”, mi spiega un gruppo di ragazzi. “Inoltre — concludono — è possibile trovarne uno in qualunque quartiere, zona o borgata”. Ed effettivamente è proprio così: nella Capitale, le alimentari “bangla” sono centinaia. Tant’è che esiste un’applicazione per trovarli più facilmente.

Tutto è nato da un’esigenza: trovare la birra economica più vicina e garantirsi un aperitivo low cost. Due giovani romani, Andrea Frangipane e Luca Cavaliere, hanno creato così Bangla di Roma, un’applicazione che consente all’utente di individuare il “bangladino” meno distante. Me ne sono servito diverse volte, durante la scrittura di questo articolo e in occasione di aperitivi improvvisati nelle zone della Capitale a me sconosciute, trovandola fantastica. E non sono l’unico a pensarla in questo modo, perché anche il pubblico sembra apprezzarne l’utilità: ad oggi, la pagina Facebook vanta 590 “mi piace” e la maggior parte delle recensioni su Google Play sono entusiaste.

“L’idea è nata quando abbiamo capito che sarebbe stata utile a tante persone”, mi spiegano i “papà” di Bangla di Roma, contattati attraverso Facebook. “Ormai in quel periodo, in qualsiasi quartiere sapevi che se volevi un aperitivo a tre euro lo potevi ottenere solamente sapendo dove fosse un bangladino”. Occorreva individuarne il più possibile, dunque. Quanti sono stati i “bangla” registrati nel corso del primo censimento? “Erano intorno ai 300”, mi rispondono. “Per tracciare i punti sulla mappa, abbiamo girato con la macchina tutta la città, utilizzando un’applicazione che ti segna il percorso che fai. Ad ogni “bangla” siamo scesi e gli abbiamo chiesto l’orario di chiusura”. Con l’aiuto degli utenti — chi utilizza l’app può contribuire al suo aggiornamento, aggiungendo un “bangla” assente sulla mappa — , il numero delle alimentari bengalesi è cresciuto notevolmente. Infine, una curiosità. Riferendomi ai “bangla”, chiedo ai due ragazzi cosa pensano della loro applicazione e (a sorpresa) mi rispondono: “Una volta l’abbiamo fatta vedere ad uno dei tanti e ci ha confessato che in realtà in Bangladesh non ci sono gli elefanti!”. Fantastico.

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Gli scatti fotografici sono stati realizzati da Matteo Buttaroni.

Un ringraziamento al mio amico Luca Di Luzio che mi ha segnalato l’applicazione Bangla di Roma.

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Mirko Spadoni
The Tank 2

Redattore per T-Mag. Ho scritto per Lazialità, il Caffè geopolitico e Zeppelin. Due libri — 1977 Juventus anno zero e Che peccato! — con il Collettivo Banfield.