Il fenomeno ultras è ancora vivo

Intervista a Diego Mariottini, giornalista e autore di diversi saggi sul tifo organizzato

Mirko Spadoni
The Tank 2
7 min readMar 12, 2016

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Gli ultras dell’Atalanta non hanno esitato ad esprimere il proprio ‘disappunto’ verso Sebastiano Vernazza, giornalista de La Gazzetta dello Sport. Sabato 6 marzo, una manciata di tifosi orobici — circa una cinquantina, secondo la Gazzetta — si è recata sotto la sede del quotidiano sportivo per contestare il cronista, a loro dire reo di aver criticato in un articolo alcuni genitori bergamaschi per aver portato con sé i propri bambini, in occasione di una manifestazione organizzata in segno di solidarietà al Bocia, il leader della tifoseria orobica condannato a 18 mesi di sorveglianza speciale. Al di là della violenza solo verbale — sotto la sede della Gazzetta, gli atalantini hanno esposto uno striscione che recitava “Vernazza orfano…di cervello” — , l’episodio di sabato scorso è solo l’ultimo di una lunga serie: periodicamente gli ultras italiani trovano sempre il modo di attirare l’attenzione altrui. A differenza dei loro omologhi attivi nell’Europa settentrionale — specie in Gran Bretagna, dove il fenomeno degli hooligans è caratterizzato da una maggiore spontaneità — , una parte consistente dei gruppi organizzati italiani ha una struttura gerarchica, una sede dove riunirsi, confeziona striscioni ed emette comunicati che spesso vengono rilanciati dai canali di stampa tradizionali. Ma non è stato sempre così. In realtà, i primi gruppi ultrà nascono negli anni ’60 — ’70 come un fenomeno aggregante e spontaneo attorno alla propria squadra del cuore, per poi evolversi con il tempo. Più i gruppi crescono e si organizzano, più entrano in gioco interessi di diversa natura: politici ed economici. Nel corso degli anni, gli ultras si sono ritagliati così un loro spazio all’interno del panorama calcistico italiano. Lo hanno fatto con la forza o grazie alla complicità delle società, con cui intrattengono rapporti in modo ufficiale ed ufficioso. Un po’ come accade in Argentina, dove le Barras Bravas — l’equivalente dei nostri gruppi ultras — hanno libero accesso alle sedi dei club o possono essere ricevuti da calciatori e dirigenti.

La violenza non rappresenta l’unica ragione di vita dei gruppi ultras italiani, sia inteso. Sostenere la propria squadra è lo scopo principale. Ma spesso le tifoserie organizzate si sono mobilitate anche per eventi extra-calcistici, dimostrandosi sensibili a tematiche sociali e disposte a sospendere temporaneamente le rivalità calcistiche e campanilistiche. Come in occasione dell’alluvione di Genova e delle Cinque terre del novembre 2011, quando la Curva Nord dell’Atalanta organizzò una raccolta fondi per aiutare le persone in difficoltà. Quello dei tifosi bergamaschi non fu il primo né l’ultimo gesto di solidarietà da parte degli ultras italiani, che conquistano visibilità mediatica ed attirano l’attenzione dell’opinione pubblica per azioni di tutt’altro tenore (scontri, accoltellamenti…).

Eppure, rispetto alla totalità dei tifosi di calcio — in Italia sono circa 22 milioni, secondo un’indagine demoscopica della Lega di Serie A — , gli ultras sono soltanto una piccolissima porzione. Stando al Rapporto 2015 dell’Osservatorio Nazionale sulle manifestazioni sportive, nel 2014–2015 gli ultras erano circa 39.600 mila (ovvero 660 unità in meno rispetto all’anno precedente) mentre i gruppi considerati attivi erano 382 contro i 403 del 2014 (nel 2013 erano 377). Impossibile indovinare cosa accadrà in futuro — il fenomeno ultras tornerà in auge o è destinato ad estinguersi? — appare invece evidente una diminuzione degli episodi di violenza, con solo il 12% degli episodi totali che si registra negli stadi, mentre la criticità maggiori si verificano nelle immediate vicinanze degli impianti sportivi, come dimostrano i dati del Centro nazionale di Informazione sulle manifestazioni sportive. Secondo cui gli incontri di Serie A, Serie B e Lega Pro con feriti sono diminuiti tra il 2005–2006 e il 2014–2015, passando da 148 a 72 partite. Seppure nuovamente in aumento nelle ultime tre stagioni —in particolare, il Dipartimento della pubblica sicurezza denuncia “un vero e proprio salto di qualità nel livello di pericolosità, con un aumento degli atti illegali all’interno degli impianti, specie dovuto al largo uso di artifizi pirotecnici”—, le gare con feriti sono una manciata rispetto alle 2.016 partite di Serie A, Serie B e Lega Pro monitorate dalle forze dell’Ordine nel 2014–2015. Il calo degli episodi di violenza è in larga parte dovuto all’attività di prevenzione e di repressione dei reati da stadio, che richiede il dispiegamento di un numero notevole di agenti — nel 2014–2015 sono stati impiegati in Serie A, Serie B e Lega Pro 173.278 membri delle forze dell’Ordine (+12,2% su base annua) — e uno sforzo economico consistente, stimato in occasione della penultima stagione sportiva in 45 milioni di euro. Difficile sorprendersi, però.

Il tifo organizzato italiano richiede un’attenzione speciale e costante da parte delle forze dell’Ordine. Una direttiva del ministero dell’Interno del 12 febbraio 2001 ha istituito la “Squadra tifoserie”, una sezione informativa della DIGOS che ha il compito di seguire le dinamiche interne al tifo sportivo attraverso personale dedicato a ciascuna squadra di calcio presente nel territorio di competenza. Del resto, secondo il capo della Polizia di Stato Alessandro Pansa, alcuni gruppi ultras “sono molto simili ad associazioni criminali” e come tali vengono trattati.

Il fenomeno ultras ha mille sfaccettature, alcune delle quali sono più oscure di altre. Dagli anni ’70 ad oggi, alcuni episodi di violenza si sono conclusi tragicamente. Le morti di Giuseppe Plaitano, Alfredo Della Corte, Vincenzo Paparelli, Stefano Furlan e Marco Fonghessi sono stati episodi drammatici. Ma soltanto dopo l’assassinio di Nazzareno Filippini, il tifoso ascolano rimasto ucciso negli scontri a margine di Ascoli — Inter del 23 ottobre 1988, lo Stato istituisce la Commissione mista del ministero dell’Interno, del ministero del Turismo e della FIGC. Lo scopo? Elaborare la prima legge anti-violenza, la legge 401, approvata soltanto il 13 dicembre del 1989. Ma dalla nascita della commissione all’approvazione del testo, che è rimasto in vigore fino all’agosto del 2014, la lista delle vittime si fa più lunga: il 4 giugno del 1989 Antonio De Falchi, tifoso della Roma, viene ucciso da un gruppo di milanisti. Ma si continuerà a morire di calcio anche negli anni successivi, purtroppo. Vincenzo Spagnolo, Sergio Ercolano e Filippo Raciti perdono la vita negli stadi italiani. Altri (Gabriele Sandri, Matteo Bagnaresi e Ciro Esposito) muoiono mentre erano in viaggio per seguire in trasferta le rispettive squadre.

Periodicamente — soprattutto all’indomani di episodi tragici — , lo Stato interviene e risponde come meglio crede alla violenza, introducendo misure di sicurezza (tornelli, steward, biglietti nominali, tessera del tifoso…) e inasprendo le pene per i reati da stadio. L’ultimo intervento del legislatore risale alla seconda metà del 2014 e dunque a pochi mesi dalla morte di Ciro Esposito. Qualcosa potrebbe cambiare nuovamente, però. Nel maggio scorso è stata depositata in Parlamento una proposta di legge, firmata del presidente della commissione Lavori Pubblici di palazzo Madama Altero Matteoli, ma che deve essere ancora esaminata dalle commissioni Giustizia e Affari Costituzionali del Senato. Tra le altre cose, il testo intende assegnare alle società sportive la “responsabilità dell’ordine e della sicurezza” negli impianti sportivi e prevede il divieto di accesso negli stadi ai gruppi ultras “che non siano associazioni” mentre vengono aumentate le pene già previste dal codice penale per i reati di lesione e aggressione a pubblico ufficiale durante le manifestazioni sportive, che hanno sempre rappresentato un palcoscenico importante per chi vuole visibilità (e voti).

A partire dagli anni ’70, i movimenti politici di estrema destra ed estrema sinistra — alla costante ricerca di potenziali militanti e simpatizzanti — hanno iniziato a frequentare le gradinate degli stadi italiani. “In particolare, è l’estrema destra a trovare nel tifo calcistico un punto d’aggregazione molto importante”, mi spiega Diego Mariottini, giornalista ed autore di alcuni saggi sul fenomeno ultras. “L’estrema destra, che fatica a ritagliarsi uno spazio nelle piazze e gode di scarsa agibilità politica, trova nelle curve un luogo dove poter fare proselitismo. Quella dei camerati — osserva Mariottini — è una scelta prettamente strategica. Ma dobbiamo considerare anche il significato simbolico degli incidenti tra tifoserie, paragonabili a scontri bellici dove si combatte alla ricerca di superiorità dell’una sull’altra”.Nel corso degli anni, sono cambiate molte cose — l’interesse dei giovani per la politica è scemato rispetto agli anni ’70 — , ma la presenza nelle curve della destra estrema è ancora molto significativa. A differenza dei “compagni”, inoltre, i “camerati” godono di grande appeal sulle gradinate italiane: dei 17.502 tifosi appartenenti ai gruppi “politicizzati” censiti dalle forze dell’Ordine nel 2014–2015, circa 3.725 tifosi risultano far parte di gruppi orientati su posizioni di estrema destra. Mentre il discorso prende una piega diversa per i tifosi appartenenti ai sodalizi di estrema sinistra, il cui numero è pari a 2.045. Non tutti i tifosi censiti “fanno politica” attivamente, però. A sottolinearlo sono le forze dell’Ordine, secondo cui “soltanto una parte degli aderenti svolge una ‘effettiva militanza politica’, mentre la maggioranza risulta essere ‘simpatizzante’ in quanto non manifesta alcun orientamento politico”.

Gruppi ultras attivi in Italia nel 2014–2015

Quelli politici non sono gli unici, potenziali interessi dei gruppi ultras italiani, che a volte stringono legami con la criminalità organizzata e spesso la figura del capo ultras coincide con quella del boss criminale. Nelle grandi metropoli, principalmente. In diverse occasioni, alcuni esponenti di spicco del tifo milanese, romano e napoletano sono stati coinvolti in indagini che vedevano interessati anche membri della criminalità, per reati — spaccio, estorsioni, rapine… — che con lo sport non avevano niente a che fare. Effettivamente alcuni gruppi ultras sono una presenza ingombrante nel mondo del pallone italiano. “Sono una forza antagonista al sistema, ma che in fondo fa il gioco del sistema a tutti gli effetti”, chiosa Diego Mariottini. Del resto, le società hanno rapporti ambivalenti con il tifo organizzato: spesso sono costrette ad esaudirne le richieste, per poi servirsi degli ultras quando necessario. Senza dichiararlo, ovviamente.

Diego Mariottini è un giornalista e autore di molti libri sul fenomeno ultras. Il suo ultimo lavoro è Tiki-taka Budapest. Leggenda, ascesa e declino dell’Ungheria di Puskas, edito da Bradipolibri.

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Mirko Spadoni
The Tank 2

Redattore per T-Mag. Ho scritto per Lazialità, il Caffè geopolitico e Zeppelin. Due libri — 1977 Juventus anno zero e Che peccato! — con il Collettivo Banfield.