Conviene (o meno) abolire Schengen?

Il ripristino definitivo dei controlli alle frontiere potrebbe avere un impatto economico notevole, dicono diversi studi

Mirko Spadoni
The Tank
4 min readOct 15, 2016

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Il numero di per sé dice parecchio sulla portata del fenomeno. L’Organizzazione internazionale delle migrazioni (OIM) calcola che, da gennaio a ottobre 2016, 314.003 persone hanno attraversato il mar Mediterraneo per arrivare in Europa. Anche se nello stesso periodo dell’anno precedente i migranti, che raggiunsero le coste europee, furono molti di più (518.181). Ad aumentare è stato invece il numero di quelli che non ce l’hanno fatta: il totale dei decessi registrati dall’inizio del 2016 (3.610) è superiore ai 3.029 del 2015. Quella dei migranti rimane quindi una questione ancora attuale e che, almeno secondo il parere dei cittadini europei, non è gestita al meglio da Bruxelles: un sondaggio Eurobarometro, condotto tra il 9 e il 18 aprile del 2016, rileva che il 66% degli europei sostiene che l’UE protegge i suoi confini esterni in modo insufficiente.

L’AGENZIA EUROPEA DELLA GUARDIA COSTIERA E DI FRONTIERA

L’Unione europea ha deciso così di introdurre qualche cambiamento. Il 6 ottobre 2016 è diventata legalmente operativa l’Agenzia europea della guardia costiera e di frontiera, nata in sostituzione di Frontex, l’Agenzia europea che dal 2005 ha coordinato gli sforzi per la sorveglianza dei confini dell’UE e per l’accoglienza dei richiedenti asilo.
Un cambio della guardia reso necessario per dotare l’UE di uno strumento — si spera dalle parti di Bruxelles — più efficace: a differenza di Frontex, la nuova agenzia disporrà di un personale permanente più numeroso, potrà acquistare attrezzature proprie e destinarle in breve tempo alle operazioni svolte alle frontiere. Avrà a sua disposizione una squadra di riserva rapida di almeno 1.500 guardie di frontiera offerte dai Paesi membri — l’Italia contribuirà con 125 uomini, ad esempio — e un parco di attrezzature tecniche, in modo tale da renderla pronta a qualsiasi evenienza. L’Agenzia richiederà uno sforzo economico crescente: dai 238 milioni di euro stanziati nel 2016 il costo crescerà fino a toccare i 322 milioni nel 2020, quando il personale raggiungerà i mille membri dai 417 attuali. Tutto ciò dovrebbe essere sufficiente per “rafforzare le frontiere esterne dell’UE, in modo che le persone possano continuare a vivere e circolare liberamente al suo interno”. La nuova agenzia dovrà aiutare a garantire la sopravvivenza dello spazio Schengen, in altre parole.

Fonte: Commissione europea

LA TEMPORANEA SOSPENSIONE DI SCHENGEN

Nei mesi scorsi, complice la crisi migratoria, diversi Stati membri — Austria, Belgio, Danimarca, Germania, Norvegia, Ungheria, Slovenia e Svezia — si sono appellati agli articoli 23, 24 e 25 del codice Schengen che offrono la possibilità di ripristinare, per massimo otto mesi, i controlli alle frontiere interne. L’elenco include anche la Francia, in realtà: a differenza degli Paesi elencati in precedenza, però, nel novembre 2015 Parigi ha introdotto i controlli alle frontiere per motivi legati al terrorismo. C’è anche chi ha deciso di impedire l’ingresso dei migranti nel modo più tradizionale possibile: costruendo un muro. Un’analisi condotta dall’agenzia di stampa Reuters su dati pubblici calcola che dal 1989 i Paesi europei hanno speso almeno 500 milioni di euro per costruire 1.200 chilometri di muri per arginare i flussi migratori.

ABOLIRE SCHENGEN? I COSTI ECONOMICI

La sospensione è cosa ben diversa da un’eventuale abolizione dello spazio Schengen, certo. Ma quest’ultima rimane comunque una via percorribile — addirittura auspicabile, per certe forze politiche — , anche se le perdite economiche sarebbero davvero notevoli. L’abolizione dello spazio Schengen impedirebbe ai tanti cittadini europei, che quotidianamente attraversano i confini interni dell’area — Bruxelles stima che sono 5,2 milioni, una parte dei quali (1,7 milioni) lo fa per motivi lavorativi — , di spostarsi liberamente e alle merci di fare altrettanto. Secondo la Commissione europea, i costi diretti sono compresi tra i 5 e i 18 miliardi di euro all’anno. Uno studio di France Stratégie condotto per conto del governo francese sostiene che i Paesi dell’area Schengen perderebbero oltre 100 miliardi di euro nel 2025, mentre le stime della Fondazione Bertelsmann sono ancor più pessimistiche: le perdite per il Prodotto interno lordo (PIL) dell’Europa sono comprese tra i circa 470 e i 1.430 miliardi di euro fino al 2025.

Questo articolo è stato pubblicato anche su T-Mag, il magazine on-line dell’Istituto di ricerca Tecnè, il 14 ottobre 2016.

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Mirko Spadoni
The Tank

Redattore per T-Mag. Ho scritto per Lazialità, il Caffè geopolitico e Zeppelin. Due libri — 1977 Juventus anno zero e Che peccato! — con il Collettivo Banfield.