Della provincia di Giorges

Massimo Lazzari
The Travelogue
Published in
4 min readAug 26, 2018
Monte Ushba, Caucaso Maggiore

Se fossi Marco Polo inizieresti questo racconto così:

«e ora vi conterò della provincia di Giorges, che Alessandro Grande non potè passare, perché dall’uno lato èe il mare e dall’altro le montagne».

Ma tu non sei Marco Polo, né Alessandro Magno.

E in Georgia sei passato.

In questo pezzo di terra, che i suoi confini naturali, il Mar Nero e le montagne del Caucaso, hanno difeso nei secoli da vicini ingombranti e agguerriti.

L’aquila bicipite russa in picchiata da Nord, che ancora volteggia su buona parte del territorio.

La spada del califfo persiano puntata da Sud e da Est, la cui lama spuntata ha lasciato ferite superficiali.

Le vele delle navi elleniche, che seguendo la rotta tracciata dalla prima fra tutte, la mitologica Argo, sono giunte fin qui spinte dal vento dell’Occidente.

Old Tbilisi

Quel vento che il popolo georgiano oggi più che mai inspira sognante a pieni polmoni.

Dai vicoli decadenti della città vecchia di Tbilisi.

Dai grattacieli moderni di Batumi sulle rive del Mar Nero.

Dalle antichissime torri dei villaggi del Caucaso.

Dai ponti di Kutaisi.

Dai monasteri rupestri di Vardzia.

Ushguli, Svaneti

Tutti i nasi sono puntati in un’unica direzione.

L’Occidente.

Lo stesso Occidente che fu richiamo irresistibile per Medea, la figlia del crudele re di Eete, che fuggì dalla Colchide insieme a Giasone, gli Argonauti e il leggendario vello d’oro.

Lo stesso Occidente che fu rifugio sicuro per Nino, la principessa di Tbilisi, che lasciò il nobile azero Ali, a difendere fino alla morte la loro casa, Baku, dall’invasione russa.

Annusando il profumo del vento di Ponente, capisci che la Georgia non è più Asia, forse non lo è mai stata.

Ma capisci anche che non è ancora Europa, per quanto lo desideri.

Fiume Rioni, Kutaisi

Troppo fiera, nell’ostentare la sua lingua e il suo alfabeto, unici al mondo.

Troppo ingenua, nel proclamare il suo messaggio di tolleranza e accoglienza, così poco di moda su altri meridiani.

Troppo anacronistica, nel celebrare amori incompiuti e finali tragici, robe da Sturm und Drang ottocentesco.

Come quello di Davit, il tassista di Borjomi, e la sua amante polacca.

Lui non è più un ragazzo, lo vedi chiaramente dall’auto che guida, dal telefonino “non smart”, dalle poche parole che riesce a spiccicare in inglese.

Eppure gli batte il cuore come a un adolescente, quando ti chiede di scattargli una foto a Vardzia, primo palcoscenico del loro amore clandestino, e di inviarla alla sua bella.

Vardzia, Samstskhe-Javakheti

E gli luccicano gli occhi, quando legge il messaggio di risposta di lei.

Un “I love you” che a te fa sorridere, ma a lui fa piangere.

E quasi quasi ti commuovi anche tu, quando lo vedi baciare lo schermo del telefono.

E te ne freghi se i due non sono più ragazzi, se vivono a migliaia di chilometri di distanza, se sono entrambi sposati.

Capisci che in questa storia c’è tutto l’amore della Georgia per l’Europa.

Un amore antico, a distanza, impedito da vincoli culturali e geopolitici.

Un amore incompiuto, come quello di Giasone e Medea o quello di Ali e Nino.

Monumento ad Ali e Nino, Batumi

Eppure un amore autentico, puro, denso.

Un amore che trascende i confini, anche se da un lato c’è il mare e dall’altro le montagne, e che passa, anche dove Alessandro Magno non riuscì a passare.

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Massimo Lazzari
The Travelogue

Autore di La Storia dell’Acqua (2021), La Fine della Terra (2019), Il libro perfetto (2017), Quando guardo verso Ovest (2015) ed Esprimi un desiderio (2012)