IL LATO NASCOSTO DELLE COSE

Manuela Bonfanti Bozzini
The Travelogue
Published in
5 min readMar 23, 2018

Oman, febbraio 2018

Djebel Shams, Oman

La notte si illumina di mille vetrine scintillanti. Il rantolo dell’aria condizionata, sempre troppo ghiacciata rispetto all’esterno, non scoraggia i clienti e anzi, garantisce loro frescura. Anche di notte, l’Oman lavora. Un susseguirsi di negozi vendono, riparano, ristorano, puliscono, confezionano. Mercanzia di vario genere e tanti, tantissimi gioielli, macchine da cucire o gomme forate, coffee shops, car wash, ladies o gentleman tailoring. Basta un’occhiata alla vetrina per capire la specialità di ciascuno. Anche nei luoghi più remoti.

E di luoghi remoti, in Oman ve ne sono molti.

Wadi Al-Farah: la compagnia è composta da simpatiche caprette

Il paese è vasto, immenso. Dal deserto alle montagne, una popolazione di poco meno di quattro milioni di abitanti vive su un territorio di poco più di 300.000 km2, una densità di quasi cento volte più bassa dell’Italia. Distese praticamente deserte coprono la maggior parte del paese. Percorrendo le piste sassose e sterrate dei wadi, i canyon omaniti, capita di non incontrare anima viva. La popolazione si accumula lungo le coste e nei pressi delle città. Muscat, la capitale in cui ha eletto dimora il Sultano Qabus, ne accoglie circa la metà.

Suk di Mutrah, Muscat

Lo stupore aumenta quando, uscendo dalle cittadine brulicanti di vita, le attività non conoscono sosta. Sotto il sole già caldo di febbraio, destinato a divenire rovente e implacabile durante l’estate, una moltitudine di operai lavorano alla costruzione di grandi cantieri: ponti, autostrade, le barche tradizionali dhow.

Cantiere di dhow

La manodopera proviene da altri paesi, in particolare da India e Pakistan che ne hanno influenzato la cucina e, probabilmente, imposto il bilinguismo su moltissime insegne e cartelli stradali. Tutto viene costruito o riparato. È un’economia di mercato che abbiamo conosciuto anche nei paesi dell’Occidente, ma caduta in disuso dall’incalzante usa e getta favorito da prezzi così bassi da rendere la riparazione obsoleta. Qui, invece, in una società ancora tradizionale eppure palesemente in crescita, mestieri antichi come il sarto o il riparatore di apparecchi elettrici hanno conservato tutto il loro valore.

Riparatore di macchine da cucire

Questo è il lato visibile delle cose.

E poi c’è quello nascosto.

Le donne sono vestite di lunghe abaya nere che ne celano il corpo, mentre si susseguono vetrine che vendono, ma soprattutto confezionano, abiti femminili colorati, scintillanti, a paillettes, pur rigorosamente lunghi e coprenti. Un tripudio di colori affascinante come il lato visibile di questo paese tranquillo e accogliente che, grazie al suo sultano, ha saputo entrare nella modernità conservando le tradizioni.

Le vetrine di sarti per donna sono chilometriche

Mentre osservo le vetrine inizio a percepire un paradosso. Tento di ricordare donne che portano quel genere di abiti. Ribobino il film dei giorni trascorsi in Oman e vedo donne in nero. Donne che nemmeno in spiaggia si separano dalla tenuta tradizionale. Donne che portano addirittura mascherine di vario genere, nascondendo anche il volto.

Maschere per il volto, Museo nazionale di Muscat

La domanda mi brucia: dove sono le donne che hanno comprato i vostri arcobaleni? Devono esistere. Il numero di atelier è impressionante, zone intere dedicate ai sarti per donne, oltre a quelli che propongono la tunica tradizionale maschile di colore bianco o chiaro, la dishdasha. E se i sarti prosperano, certamente le donne si fanno confezionare quegli abiti. Mi astengo dal porre la domanda direttamente ai sarti, entrare nei loro atelier multicolore mi indurrebbe in tentazione. Ma la pongo agli impiegati di un albergo. Mi rispondono con un sorriso che pare perdonare la mia ingenuità: in casa, per le feste. Lo sospettavo. Me lo confermano le letture. E soprattutto il ricordo di mia figlia, mamma, ma non l’hai notata quella donna oggi? No, amore, dimmi. Sotto portava vestiti normali. Benedetta figliola, hai visto giusto allora. C’è un lato nascosto delle cose.

Quello visibile, invasivo, folgorante, è nero — malgrado non si vedano che rarissimi sarti di abaya. Nero che significa modestia, volontà di non apparire (o forse di sparire), uniformità e probabilmente anche, grazie a ciò, protezione. La tradizione delle donne in nero è ancora più che mai ancorata nella società omanita. Esse colonizzano i luoghi, visibili ma discrete, nella calura soffocante alla quale vengono abituate già da bambine.

Wadi Bani Khalid: le donne resistono stoicamente all’invitante acqua fresca

Beati gli uomini, le cui dishdasha sono sempre candidamente bianche o tuttalpiù beige o marroni, ma con una caratteristica comune: mai sporche e sempre stirate con cura. Merito delle lavanderie pubbliche.

O del lavoro invisibile delle donne?

Dettagli invisibili nella penombra del forte di Nizwa

The Travelogue è una rivista on line curata da scrittori e scrittrici che viaggiano, alla ricerca di spunti, suggestioni, emozioni da trasformare in storie. Il viaggio per noi è una fonte di ispirazione, uno strumento per allargare i confini delle nostre vite, una scusa buona per inventare una nuova storia. La scrittura per noi è una necessità.

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Manuela Bonfanti Bozzini
The Travelogue

scrittrice e esploratrice — autrice di Ladra di memorie, Punti e interrogativi, La lettera G, Ladakh&Rupshu e blog Voci dal silenzio. FB manuelabonfantiautrice